Mente Emilio Carelli propone di rivoltare come un calzino la compagine 5 stelle al governo, cambiando ministri e sottosegretari, "per non fare la finte di Matteo Renzi", Roberto Fico lancia la sua "rivoluzione". Di fatto, scarica Luigi Di Maio e bacchetta tutto il Movimento 5 Stelle, sostenendo l'utopica teoria che il Movimento sarebbe dovuto rimanere tale, senza istituzionalizzarsi e diventare un partito.
Nelle scorse ora c'è stata una riunione fiume che ha interessato i gruppi parlamentari pentastellati di Camera e Senato, riuniti in assemblea congiunta, per analizzare la batosta delle elezioni Europee, la posizione traballante di Di Maio (che comunque ha incassato la fiducia degli iscritti su Rousseau) e le prossime mosse come forza di governo alleata allìamico-nemico leghista Matteo Salvini.
Bene, il presidente della Camera è intervenuto e su Facebook ha voluto fare il resoconto delle sue parole ai colleghi, nella quale si detto avverso all'impostazione dell'uomo solo al comando:"Sono sempre stato contrario alla politica che si identifica in una sola persona. Se il focus resta sulla fiducia da accordare o meno a una figura, e non sui tanti cambiamenti che invece, insieme, occorre porre in essere, non ci potrà essere alcuna evoluzione. Significa non cambiare niente...". Insomma, il messaggio è chiaro.
Dunque, Fico chiosa così: "Occorre allora domandarsi se diventare, anche nelle forme standard, un partito a tutti gli effetti, con le dinamiche e i limiti che abbiamo sempre ritenuto di dover superare; oppure restare ancorati a una bellissima idea di movimento. Ma questo presuppone capire insieme come continuare a sviluppare questa idea oggi, in un contesto generale per forza di cose più ampio e complesso. Questo percorso da trovare insieme non è più rinviabile".
E in tutto questo aleggia il fantasma di Alessandro Di Battista: che ruolo avrà - ammesso che lo avrà... - nel futuro (prossimo o anteriore?) del Movimento 5 Stelle?
venerdì 31 maggio 2019
Conte e la sua strategia per rimanere alla guida del Governo, evitandone la caduta (AGI)
Archiviate le elezioni e le polemiche politiche post voto, Giuseppe Conte prende in mano le redini dell'azione di governo e nel giro di due giorni convoca a palazzo Chigi prima i due vicepremier e poi i capigruppo di maggioranza.
Nel mezzo, il premier sale al Quirinale per un colloquio con il Capo dello Stato, quindi vede il ministro dell'Economia Giovanni Tria.
Al termine del 'giro' di incontri, il presidente del Consiglio scandisce i tempi delle prossime mosse: subito il via libera ai decreti Sblocca cantieri e Crescita, entrambi già all'esame del Parlamento.
Sia M5s che Lega confermano al premier volontà e determinazione ad andare avanti: "Abbiamo così tanto lavoro da fare che l'idea di tornare al voto sarebbe una rovina per gli italiani", afferma il capogruppo pentastellato alla Camera, Francesco D'Uva, lasciando Palazzo Chigi. "Ovviamente si va avanti, per noi è scontato, ci sono ancora tanti punti nel contratto di governo da realizzare", aggiunge.
Sulla stessa linea i leghisti: "Un confronto sereno e utile per andare avanti", assicura il presidente dei senatori Massimiliano Romeo.
Il faccia a faccia con i capigruppo di maggioranza, incontrati separatamente, è servito per esaminare i provvedimenti attualmente in discussione alla Camera e al Senato, con un focus sullo stato di avanzamento dei lavori.
Dai colloqui sono emersi "riscontri molto positivi sul percorso che riguarda provvedimenti ritenuti strategici e di fondamentale importanza per il Paese. La comune determinazione è di procedere speditamente alla loro approvazione", sottolinea Conte.
Tempi stretti per i due decreti
I tempi per licenziare in via definitiva i due decreti sono strettissimi (lo Sblocca cantieri scade il 17 giugno, il dl Crescita il 30 giugno), e si 'scontrano' con i nodi ancora da sciogliere.
L'esame nell’Aula del Senato del decreto Sblocca cantieri, che doveva riprendere già da ieri, è stato rinviato, a causa della mancanza dei pareri della commissione Bilancio su emendamenti e sub emendamenti presentati al testo.
Le opposizioni, con Pd e Forza Italia, hanno chiesto una riunione dei capigruppo per definire le nuove tempistiche.
Ma nuove tensioni potrebbero rallentare ulteriormente l’iter del provvedimento: se infatti è stato 'sminato' il terreno sul fronte Tav, che non sarà oggetto di una modifica del testo ma di un ordine del giorno, la Lega va alla carica sul Codice appalti.
Leggi anche: Tav, la verità dei fatti
Matteo Salvini ha infatti annunciato un emendamento “per la sospensione per due anni del Codice appalti e per il rispetto della normativa europea vigente. Mi auguro che che non ci siano preclusioni politiche né dalle opposizioni né dalla maggioranza a sbloccare i Cantieri”. Ma i 5 stelle alzano subito il muro dicendosi contrari. I relatori hanno presentato 27 proposte di modifica. Dal Governo poi è arrivato un pacchetto di quattro modifiche.
Quanto all’iter del decreto Crescita, ancora all’esame delle commissioni alla Camera, è stato fissato a sabato mattina il termine per gli emendamenti del governo. La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha stabilito l’avvio dell’iter in Aula per martedì 4 giugno, ma non viene escluso che potrebbe slittare di qualche giorno, a giovedì 6.
Ancora da sciogliere, in questo caso, il nodo delle norme cosiddette ‘Salva Roma’. Per entrambi i provvedimenti si tratta della prima lettura, quindi bisognerà considerare il tempo necessario per il secondo passaggio. Tanto che non viene escluso il ricorso alla fiducia sui due decreti.
Slitta ancora il prosieguo dell'esame del decreto Sblocca cantieri al Senato, che riprenderà martedì prossimo, alle 9.30. Inizialmente, il calendario dei lavori dell'Aula di Palazzo Madama prevedeva che l'esame proseguisse nel pomeriggio di oggi.
I tempi per l'approvazione definitiva, quindi, si stringono ulteriormente: il decreto, infatti, scade il 17 giugno e deve fare ancora un passaggio alla Camera, dove da calendario è previsto a partire da martedì 11 giugno.
Nel mezzo, il premier sale al Quirinale per un colloquio con il Capo dello Stato, quindi vede il ministro dell'Economia Giovanni Tria.
Al termine del 'giro' di incontri, il presidente del Consiglio scandisce i tempi delle prossime mosse: subito il via libera ai decreti Sblocca cantieri e Crescita, entrambi già all'esame del Parlamento.
Sia M5s che Lega confermano al premier volontà e determinazione ad andare avanti: "Abbiamo così tanto lavoro da fare che l'idea di tornare al voto sarebbe una rovina per gli italiani", afferma il capogruppo pentastellato alla Camera, Francesco D'Uva, lasciando Palazzo Chigi. "Ovviamente si va avanti, per noi è scontato, ci sono ancora tanti punti nel contratto di governo da realizzare", aggiunge.
Sulla stessa linea i leghisti: "Un confronto sereno e utile per andare avanti", assicura il presidente dei senatori Massimiliano Romeo.
Il faccia a faccia con i capigruppo di maggioranza, incontrati separatamente, è servito per esaminare i provvedimenti attualmente in discussione alla Camera e al Senato, con un focus sullo stato di avanzamento dei lavori.
Dai colloqui sono emersi "riscontri molto positivi sul percorso che riguarda provvedimenti ritenuti strategici e di fondamentale importanza per il Paese. La comune determinazione è di procedere speditamente alla loro approvazione", sottolinea Conte.
Tempi stretti per i due decreti
I tempi per licenziare in via definitiva i due decreti sono strettissimi (lo Sblocca cantieri scade il 17 giugno, il dl Crescita il 30 giugno), e si 'scontrano' con i nodi ancora da sciogliere.
L'esame nell’Aula del Senato del decreto Sblocca cantieri, che doveva riprendere già da ieri, è stato rinviato, a causa della mancanza dei pareri della commissione Bilancio su emendamenti e sub emendamenti presentati al testo.
Le opposizioni, con Pd e Forza Italia, hanno chiesto una riunione dei capigruppo per definire le nuove tempistiche.
Ma nuove tensioni potrebbero rallentare ulteriormente l’iter del provvedimento: se infatti è stato 'sminato' il terreno sul fronte Tav, che non sarà oggetto di una modifica del testo ma di un ordine del giorno, la Lega va alla carica sul Codice appalti.
Leggi anche: Tav, la verità dei fatti
Matteo Salvini ha infatti annunciato un emendamento “per la sospensione per due anni del Codice appalti e per il rispetto della normativa europea vigente. Mi auguro che che non ci siano preclusioni politiche né dalle opposizioni né dalla maggioranza a sbloccare i Cantieri”. Ma i 5 stelle alzano subito il muro dicendosi contrari. I relatori hanno presentato 27 proposte di modifica. Dal Governo poi è arrivato un pacchetto di quattro modifiche.
Quanto all’iter del decreto Crescita, ancora all’esame delle commissioni alla Camera, è stato fissato a sabato mattina il termine per gli emendamenti del governo. La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha stabilito l’avvio dell’iter in Aula per martedì 4 giugno, ma non viene escluso che potrebbe slittare di qualche giorno, a giovedì 6.
Ancora da sciogliere, in questo caso, il nodo delle norme cosiddette ‘Salva Roma’. Per entrambi i provvedimenti si tratta della prima lettura, quindi bisognerà considerare il tempo necessario per il secondo passaggio. Tanto che non viene escluso il ricorso alla fiducia sui due decreti.
Slitta ancora il prosieguo dell'esame del decreto Sblocca cantieri al Senato, che riprenderà martedì prossimo, alle 9.30. Inizialmente, il calendario dei lavori dell'Aula di Palazzo Madama prevedeva che l'esame proseguisse nel pomeriggio di oggi.
I tempi per l'approvazione definitiva, quindi, si stringono ulteriormente: il decreto, infatti, scade il 17 giugno e deve fare ancora un passaggio alla Camera, dove da calendario è previsto a partire da martedì 11 giugno.
La Dama con l'Ermellino e la Viola Organista. Concerto a CARUGATE
L’Accademia di Musica Antica di Milano con il sostegno di BCC Milano, in collaborazione con il Comune della Città di Carugate e con FAI Lombardia, e soprattutto grazie all’ospitalità dei proprietari di Villa Gallerani Melzi d’Eril, terrà il 12 giugno 2019 ad ore 21.00, il concerto straordinario:
La Dama con l’ermellino e la Viola organista
La Viola organista, ricostruita a Cracovia da Slawomir Zubrzycki su un’idea di Leonardo da Vinci
Villa Gallerani Melzi d’Eril - Piazza A. Manzoni n.12 Carugate (Milano)
L’ingresso è gratuito con prenotazione obbligatoria al numero di telefono 02.76015728 (dal lunedì al venerdì ore 9.00-13.00 e ore 15.00-19.00 - sino al 10 giugno).
Per chi avesse necessità è previsto un servizio gratuito di navetta A/R Milano-Carugate.
giovedì 30 maggio 2019
Lo psicodramma dei CINQUESTELLE raccontato dai giornali ( AGI NEWS)
Salvate il soldato Di Maio. Ma saranno sufficienti le preghiere di don Peppino Gambardella, il parroco di Pomigliano d’Arco che si definisce padre spirituale dell’illustre concittadino, che dice “domani pregherò per Di Maio”, come scrive il Corriere nella sua versione cartacea, a sottrarlo al giudizio sommario del Movimento? Per il momento il leader incassa il sostegno dell’empireo pentastellato, Grillo e Casaleggio, che lo blindano al vertice per la guida del Movimento, insieme a gran parte del gruppo dirigente e parlamentare. Resta, però, la grande incognita del voto della Rete sulla piattaforma Rousseau, previsto per oggi. Come si esprimerà la massa? Sarà crocifisso o graziato?
Piattaforma Rousseau che viene rappresentata nella vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera come un trampolino di lancio per un tuffo a occhi chiusi, di schiena, nel vuoto. Un’incognita, appunto. Mentre Vauro, sul Fatto, sceglie di rappresentare il volto del leader vestito da donna, con collana, in una smorfia piangente, con sotto scritto: “Di May”. Presagio di un addio imminente, come la leader inglese alla vigilia del voto europeo dopo il fallimento sulla Brexit?
E che il capo stellato abbia fallito non c’è dubbio alcuno. Glielo rimproverano in molti, come si può leggere in più cronache e retroscena. Mercoledì il senatore Paragone, poi la deputata Carla Ruocco, esponente dell’ala grillina ortodossa, che nell’intervista al Corriere dice: “Il M5s è sempre stato contrario al doppio incarico, qui siamo addirittura a quattro. È evidente che questa sovrapposizione di ruoli ha prodotto l’uomo solo al comando. Che non rientra nei nostri valori”.
Di Maio “Si metta in discussione, faccia un passo indietro e si vedrà. L’importante è che si passi a una condivisione e una collegialità nelle scelte”. Ma Di Maio contrattacca: “Prendo schiaffi solo io, devo andare avanti?” chiede il leader agli eletti in quella che potrebbe essere l’ultima sfida come si legge nel racconto dell’assemblea sul quotidiano di via Solferino.
Il ricorso al voto sulla piattaforma viene giudicato però “un errore”, perché, semmai, “prima c’era l’assemblea” degli eletti. E proprio sulla rete va in onda lo psicodramma dove “sula pagine dei big la base si sfoga” e giudica “un errore l’alleanza” con la Lega.
Il Fatto Quotidiano racconta invece che “il capo che ha straperso non mette in gioco se stesso, sul piatto mette proprio il governo. ‘Dobbiamo decidere se sostenere ancora o meno questo esecutivo, il premier Giuseppe Conte vuole saperlo’ scandisce Luigi Di Maio all’assemblea dei 5Stelle con folla da stadio dentro la Camera”. Così “rilancia prima del plebiscito di oggi sulla piattaforma web, in cui chiederà agli iscritti di ‘confermare la fiducia al capo politico’, cioè a lui. E sa che vincerà facilmente” prevede o scommette il quotidiano diretto da Marco Travaglio. Ipotesi sostenuta per altro anche da Il Giornale: “Per rilegittimare Di Maio dopo il flop elettorale e le conseguenti critiche interne, oggi si voterà sulla piattaforma Rousseau il quesito ‘confermi Luigi Di Maio come capo politico del Movimento 5 Stelle?’”
La discussione sul capo pentastellato si intreccia tuttavia con i venti di crisi che spirano sul governo. Il Foglio scrive che “Salvini dice di non volerlo ma intanto la Lega si prepara al voto anticipato” e La Stampa è addirittura più esplicita: “Ipotesi voto il 29 settembre”. Ma Il Giornale titola così: “Salvini sceglie il capo grillino” tanto che “se vince Di Battista cade il governo” sostiene il ministro dell’Interno. “La linea Di Battista non deve passare” scrive la Repubblica attribuendo questa espressione al leader leghista.
Ma sarà sufficiente il tifo di Salvini pro Di Maio assieme alle preghiere di don Gambardella a sottrarlo alla graticola? Oggi il verdetto.
Piattaforma Rousseau che viene rappresentata nella vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera come un trampolino di lancio per un tuffo a occhi chiusi, di schiena, nel vuoto. Un’incognita, appunto. Mentre Vauro, sul Fatto, sceglie di rappresentare il volto del leader vestito da donna, con collana, in una smorfia piangente, con sotto scritto: “Di May”. Presagio di un addio imminente, come la leader inglese alla vigilia del voto europeo dopo il fallimento sulla Brexit?
E che il capo stellato abbia fallito non c’è dubbio alcuno. Glielo rimproverano in molti, come si può leggere in più cronache e retroscena. Mercoledì il senatore Paragone, poi la deputata Carla Ruocco, esponente dell’ala grillina ortodossa, che nell’intervista al Corriere dice: “Il M5s è sempre stato contrario al doppio incarico, qui siamo addirittura a quattro. È evidente che questa sovrapposizione di ruoli ha prodotto l’uomo solo al comando. Che non rientra nei nostri valori”.
Di Maio “Si metta in discussione, faccia un passo indietro e si vedrà. L’importante è che si passi a una condivisione e una collegialità nelle scelte”. Ma Di Maio contrattacca: “Prendo schiaffi solo io, devo andare avanti?” chiede il leader agli eletti in quella che potrebbe essere l’ultima sfida come si legge nel racconto dell’assemblea sul quotidiano di via Solferino.
Il ricorso al voto sulla piattaforma viene giudicato però “un errore”, perché, semmai, “prima c’era l’assemblea” degli eletti. E proprio sulla rete va in onda lo psicodramma dove “sula pagine dei big la base si sfoga” e giudica “un errore l’alleanza” con la Lega.
Il Fatto Quotidiano racconta invece che “il capo che ha straperso non mette in gioco se stesso, sul piatto mette proprio il governo. ‘Dobbiamo decidere se sostenere ancora o meno questo esecutivo, il premier Giuseppe Conte vuole saperlo’ scandisce Luigi Di Maio all’assemblea dei 5Stelle con folla da stadio dentro la Camera”. Così “rilancia prima del plebiscito di oggi sulla piattaforma web, in cui chiederà agli iscritti di ‘confermare la fiducia al capo politico’, cioè a lui. E sa che vincerà facilmente” prevede o scommette il quotidiano diretto da Marco Travaglio. Ipotesi sostenuta per altro anche da Il Giornale: “Per rilegittimare Di Maio dopo il flop elettorale e le conseguenti critiche interne, oggi si voterà sulla piattaforma Rousseau il quesito ‘confermi Luigi Di Maio come capo politico del Movimento 5 Stelle?’”
La discussione sul capo pentastellato si intreccia tuttavia con i venti di crisi che spirano sul governo. Il Foglio scrive che “Salvini dice di non volerlo ma intanto la Lega si prepara al voto anticipato” e La Stampa è addirittura più esplicita: “Ipotesi voto il 29 settembre”. Ma Il Giornale titola così: “Salvini sceglie il capo grillino” tanto che “se vince Di Battista cade il governo” sostiene il ministro dell’Interno. “La linea Di Battista non deve passare” scrive la Repubblica attribuendo questa espressione al leader leghista.
Ma sarà sufficiente il tifo di Salvini pro Di Maio assieme alle preghiere di don Gambardella a sottrarlo alla graticola? Oggi il verdetto.
mercoledì 29 maggio 2019
Della Rai, io 'me ne frego' - afferma Salvini-Pinocchio, il quale poi sottolinea che...
Lerner torna in Rai, e la controllerei io....». Lo ha detto il vicepremier Matteo Salvini in una diretta Facebook si è lamentato per il ritorno in tv di Gad Lerner. «Se la Rai del cambiamento passa dal ritorno in video di Gad Lerner ... e Fazio e Saviano e Gad Lerner ... manca solo Santoro», ha aggiunto.
E, aggiungiamo noi, speriamo che ora Salvini con cambi fidanzata ogni sei mesi, perchè altrimenti dovrà trovare anche per loro qualcosa da fare in Rai, dopo la belle Eloise - che , ad onor del vero, già vi lavorava prima della liaison con Bullo-Salvini - che anche se fra loro è tutto finito, nessuno si azzarderà a toccarla, finchè il suo ex Boyfriend spadroneggia in Italia, con il consenso degli IGNARI elettori ( P:A.)
E, aggiungiamo noi, speriamo che ora Salvini con cambi fidanzata ogni sei mesi, perchè altrimenti dovrà trovare anche per loro qualcosa da fare in Rai, dopo la belle Eloise - che , ad onor del vero, già vi lavorava prima della liaison con Bullo-Salvini - che anche se fra loro è tutto finito, nessuno si azzarderà a toccarla, finchè il suo ex Boyfriend spadroneggia in Italia, con il consenso degli IGNARI elettori ( P:A.)
Il GOVERNO CONTE appeso ad un filo? ( da CORRIERE DELLA SERA, di Marzio Breda)
Sapeva già che il premier si sarebbe mostrato «moderatamente ottimista» sulla tenuta del governo, tentando di spegnere le convulsioni post-voto. Ma sapeva anche che «la ripartenza» della quale il suo speranzoso interlocutore gli ha parlato non può dirsi scontata. Per il momento la fiducia si fonda soltanto su uno spiraglio. Almeno fino a quando i due partner della maggioranza (specie Di Maio, che si sottopone oggi al giudizio dei 5 stelle) non avranno fatto un vero vertice tra loro dopo il ribaltamento degli equilibri all’interno dell’esecutivo e preso decisioni definitive. Insomma: lo spettro di una crisi politica come effetto collaterale delle elezioni europee non è dissolto, per il presidente della Repubblica.
Per cui, dopo il colloquio di mercoledì al Quirinale con Giuseppe Conte, verificherà nei prossimi giorni l’orizzonte che l’inquilino di Palazzo Chigi avrà sul serio davanti. Nella prospettiva che, se ogni intesa franasse magari per un «incidente» al Senato, dove i numeri ballano, non gli resterebbe altra chance che svolgere d’urgenza le consultazioni e, in assenza di una nuova maggioranza, chiudere la legislatura e mandarci alle urne in settembre. In modo di scongiurare con una manovra d’emergenza il default dell’Italia.
C’è poco tempo. La lettera spedita dall’Ue all’esecutivo ha cambiato lo scenario, peggiorandolo molto, per Sergio Mattarella. Impone infatti una risposta rapida e convincente che, per l’aria che ancora adesso tira nei dintorni di Palazzo Chigi, difficilmente potrà accontentare la Commissione Ue. Proprio per questo, nel faccia a faccia con Conte, il capo dello Stato ha caldamente consigliato una frenata generale. La campagna elettorale è se Dio vuole finita e d’ora in poi bisogna che si misurino le parole e i toni. E le pretese.
Dunque, basta proclami, qui come con Bruxelles. Quel che serve — questo il senso della sua raccomandazione — è dare subito segni di condivisa consapevolezza, chiamiamoli così. In primo luogo nella replica (entro domani) alla missiva della Commissione che ci ha messo in mora sul percorso di rientro del debito pubblico. E poi (il 5 giugno) nell’affrontare le raccomandazioni sul Def, nell’ambito del semestre europeo, sull’andamento dei conti. Per inciso: la tenaglia tra deficit e debito, fatto un sommario calcolo che al Quirinale ben conoscono, potrebbe costarci 50 miliardi abbondanti ogni anno. Da oggi fino al 2023, compreso. Uno sforzo mostruoso.
Ecco gli appuntamenti ricordati da Mattarella e su cui i partner dell’Ue si preparano a giudicare il livello di responsabilità dei nostri governanti alla vigilia di un negoziato che si preannuncia assai difficile. Il premier, che non era in grado di impegnarsi già nei dettagli con il presidente, ha condiviso l’allarme. Tanto che, una volta sceso dal Colle, ha chiamato a consulto il ministro Tria. La preoccupazione per lui è pressante anche alla luce della sua ultima trasferta a Bruxelles, dove ha misurato come nell’Ue si stiano ridisegnando i campi di forza e come l’Italia rischi la marginalità.
Una fase incertissima, che ha spinto Mattarella a un appello all’unità, parlando a un gruppo di studenti ma rivolgendosi a tutti. «È bene che ci sia confronto, dialettica di idee, posizioni e convinzioni. Ma quel che tiene insieme il Paese è il complesso dei valori indicati dalla Costituzione».
Per cui, dopo il colloquio di mercoledì al Quirinale con Giuseppe Conte, verificherà nei prossimi giorni l’orizzonte che l’inquilino di Palazzo Chigi avrà sul serio davanti. Nella prospettiva che, se ogni intesa franasse magari per un «incidente» al Senato, dove i numeri ballano, non gli resterebbe altra chance che svolgere d’urgenza le consultazioni e, in assenza di una nuova maggioranza, chiudere la legislatura e mandarci alle urne in settembre. In modo di scongiurare con una manovra d’emergenza il default dell’Italia.
C’è poco tempo. La lettera spedita dall’Ue all’esecutivo ha cambiato lo scenario, peggiorandolo molto, per Sergio Mattarella. Impone infatti una risposta rapida e convincente che, per l’aria che ancora adesso tira nei dintorni di Palazzo Chigi, difficilmente potrà accontentare la Commissione Ue. Proprio per questo, nel faccia a faccia con Conte, il capo dello Stato ha caldamente consigliato una frenata generale. La campagna elettorale è se Dio vuole finita e d’ora in poi bisogna che si misurino le parole e i toni. E le pretese.
Dunque, basta proclami, qui come con Bruxelles. Quel che serve — questo il senso della sua raccomandazione — è dare subito segni di condivisa consapevolezza, chiamiamoli così. In primo luogo nella replica (entro domani) alla missiva della Commissione che ci ha messo in mora sul percorso di rientro del debito pubblico. E poi (il 5 giugno) nell’affrontare le raccomandazioni sul Def, nell’ambito del semestre europeo, sull’andamento dei conti. Per inciso: la tenaglia tra deficit e debito, fatto un sommario calcolo che al Quirinale ben conoscono, potrebbe costarci 50 miliardi abbondanti ogni anno. Da oggi fino al 2023, compreso. Uno sforzo mostruoso.
Ecco gli appuntamenti ricordati da Mattarella e su cui i partner dell’Ue si preparano a giudicare il livello di responsabilità dei nostri governanti alla vigilia di un negoziato che si preannuncia assai difficile. Il premier, che non era in grado di impegnarsi già nei dettagli con il presidente, ha condiviso l’allarme. Tanto che, una volta sceso dal Colle, ha chiamato a consulto il ministro Tria. La preoccupazione per lui è pressante anche alla luce della sua ultima trasferta a Bruxelles, dove ha misurato come nell’Ue si stiano ridisegnando i campi di forza e come l’Italia rischi la marginalità.
Una fase incertissima, che ha spinto Mattarella a un appello all’unità, parlando a un gruppo di studenti ma rivolgendosi a tutti. «È bene che ci sia confronto, dialettica di idee, posizioni e convinzioni. Ma quel che tiene insieme il Paese è il complesso dei valori indicati dalla Costituzione».
Nastasi, Muti, Laterza e il cemento dello scandalo a Napoli e a Pompei
Son passati pochissimi giorni da quando Paolo Isotta, sul Fatto Quotidiano, è tornato a parlare di Muti, Nastasi e della mamma di quest'ultimo, a proposito degli scandalosi restauri a Pompei ed al Teatro San Carlo.
Perchè di Nastasi? Perchè nel lunghissimo periodo in cui era direttore generale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, oltre ad essersi fatto il giro di quasi tutte le Fondazioni liriche in dissesto, con la formula del 'commissario' governativo - in fondo commissario di se stesso, visto che al ministero di cui era direttore generale competeva la nomina - ed aver nominato - di fatto era così - i dirigenti successivi, s'era occupato anche dei restauri di alcuni monumenti di grande interesse storico oltre che architettonico o archeologico, avallando disastri .
Il restauro del teatro Grande di Pompei - per il quale è stato condannato il responsabile diretto, di nomina bondiana-nastasiana - letteralmente 'cementificato' è uno scandalo dalle proporzioni inimmaginabili.
Isotta rimprovera a Muti di essersi prestato ad inaugurare con un concerto la riapertura, nonostante che molti intellettuali gli si fossero rivolti perchè denunciasse quello scandalo - che aveva la benedizione di Nastasi, è bene rimarcarlo - e rinunciasse al concerto inaugurale. Che Muti invece diresse e non denunciò. Colpevolmente, anche secondo Isotta.
Perchè? Isotta con penna di piuma ma intinta nel fuoco, si lascia sfuggire il cattivo pensiero che Nastasi, il grande elemosiniere del Ministero, ripagasse con congrui contributi Muti e sua moglie Cristina, rispettivamente per l'Orchestra Cherubini e il Ravenna Festival, che fra breve inaugura l'edizione del 2019, dell'appoggio ricevuto in quegli anni in molte occasioni.
Non è, come ognun sa, un semplice cattivo pensiero. Chi segue queste storie sa che è così. Basta solo che si consideri il caso dell'Orchestra Verdi di Milano, sempre osteggiata da quel brav'uomo di Nastasi, tenuta ' a stecchetto' con i contributi ministeriali negati per anni e anni, quasi volesse la sua morte, forte di cavilli giuridici nei quali l'azzeccagarbugli ministeriale era ed è maestro - una infamia!- per far diventare il sospetto un' amara realtà.
Nastas,i tanto per aggiungere prova a prova, non è stato con l'Orchestra Mozart di Claudio Abbado di manica larga come con l'Orchestra Cherubini di Muti. All'azzeccagarbugli vanno imputati anche numerosi altri misfatti, primo fra tutti quell'algoritmo con il quale ha falcidiato il panorama delle attività musicali in Italia, dopo che negli anni in cui ha comandato al ministero ha fatto 'il buono e cattivo tempo', rispettivamente con amici e nemici, quelli considerati tali, richiedenti finanziamenti attraverso il FUS.
Muti , ricorda Isotta, aprendo il capitolo altrettanto doloroso del restauro dell'amato San Carlo, si fece fotografare all'interno del teatro, nel corso del restauro che cambiò il colore della sala e costruì sotto il 'golfo mistico' un bar che ne ha irrimediabilmente compromesso l'acustica, con Nastasi e con l'arch. Elisabetta Fabbri che in molti restauri di teatri all'epoca, era il jolly ministeriale.
Anche allora Muti, secondo Isotta, avrebbe dovuto opporsi e non lo fece, per la solita ragione.
Quanto stretti fossero i rapporti Nastasi-Muti a noi lo confermò anche un altro episodio del quale fummo testimoni diretti. L'inaugurazione del nuovo 'provvisorio' Conservatorio Casella dell'Aquila, dopo che il terremoto aveva distrutto la sua sede storica a Collemaggio.
Muti volle, generosamente - come sa essere in molte occasioni - essere presente a quella inaugurazione, qualche giorno prima di Natale dello steso 2009, arrivando direttamente da Bari, dove la sera prima aveva diretto al Petruzzelli. Arrivò con qualche ora di ritardo rispetto all'orario previsto - giustificato! - con un pullmann dal quale scesero, dopo di lui, sua moglie, e Nastasi. Che c'entrava Nastasi, direte. Ecco, appunto.
Nella storia e fortuna di Nastasi, che ora, dopo essere passato dal Ministero a Palazzo Chigi e da Bagnoli, come commissario nominatovi da Renzi, è approdato alla SIAE, c'entrano altri personaggi dei quali i giornali hanno da tempo parlato, noi compresi. C'entra Letta, il cardinale, suo protettore, e cliente dell'ufficio tributario del padre, da poco scomparso, di Nastasi, e c'entra - come potrebbe essere altrimenti - anche sua madre Enrica Laterza, potente giudice della Corte dei Conti, che presiede il settore di controllo degli enti pubblici - non è quello nel quale suo figlio ha lavorato per tanti anni? nessun conflitto di interesse? - e che , come si legge qui sotto, Renzi voleva a suo tempo far diventare addirittura presidente della Corte medesima.
Ognuno tiri le sue conclusioni. Buona lettura!
Di Enrica Laterza ( fonte: Lettera 23)
Accade così che Renzi, insieme con il Giglio magico, stia provando in tutti i modi a sostenere la nomina di Enrica Laterza, attuale presidente della sezione che controlla gli enti tra i quali anche ovviamente la Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione su cui si è giocato in questi anni uno scontro acceso a livello istituzionale, in particolare all'interno dell'Arma dei Carabinieri e dell'Aise, il nostro servizio segreto estero. Laterza non è solo un magistrato contabile, è anche madre di Salvo Nastasi, che proprio Renzi ha voluto a Palazzo Chigi come vice segretario generale, un incarico che ancora oggi ricopre. Qualcuno ha iniziato a storcere il naso, parlando di conflitto di interesse. Ma a quanto pare sulla nomina di Laterza ci sarebbe l'assenso di un pezzo da novanta della Roma che conta. Stiamo parlando di Raffaele Squitieri, ex presidente della magistratura contabile e frequentatore del Circolo Canottieri Aniene di Giovanni Malagò, presidente del Coni, da sempre legato al mondo della giustizia sportiva come a Luca Lotti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e attuale ministro allo Sport. Mattarella vigila. E tutti sono in attesa da un giorno all'altro che escano i nomi dei possibili candidati.
Read more at https://www.lettera43.it/corte-conti-presidente-renzi-laterza/#PpqXGjSXOi78UBwU.99
Perchè di Nastasi? Perchè nel lunghissimo periodo in cui era direttore generale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, oltre ad essersi fatto il giro di quasi tutte le Fondazioni liriche in dissesto, con la formula del 'commissario' governativo - in fondo commissario di se stesso, visto che al ministero di cui era direttore generale competeva la nomina - ed aver nominato - di fatto era così - i dirigenti successivi, s'era occupato anche dei restauri di alcuni monumenti di grande interesse storico oltre che architettonico o archeologico, avallando disastri .
Il restauro del teatro Grande di Pompei - per il quale è stato condannato il responsabile diretto, di nomina bondiana-nastasiana - letteralmente 'cementificato' è uno scandalo dalle proporzioni inimmaginabili.
Isotta rimprovera a Muti di essersi prestato ad inaugurare con un concerto la riapertura, nonostante che molti intellettuali gli si fossero rivolti perchè denunciasse quello scandalo - che aveva la benedizione di Nastasi, è bene rimarcarlo - e rinunciasse al concerto inaugurale. Che Muti invece diresse e non denunciò. Colpevolmente, anche secondo Isotta.
Perchè? Isotta con penna di piuma ma intinta nel fuoco, si lascia sfuggire il cattivo pensiero che Nastasi, il grande elemosiniere del Ministero, ripagasse con congrui contributi Muti e sua moglie Cristina, rispettivamente per l'Orchestra Cherubini e il Ravenna Festival, che fra breve inaugura l'edizione del 2019, dell'appoggio ricevuto in quegli anni in molte occasioni.
Non è, come ognun sa, un semplice cattivo pensiero. Chi segue queste storie sa che è così. Basta solo che si consideri il caso dell'Orchestra Verdi di Milano, sempre osteggiata da quel brav'uomo di Nastasi, tenuta ' a stecchetto' con i contributi ministeriali negati per anni e anni, quasi volesse la sua morte, forte di cavilli giuridici nei quali l'azzeccagarbugli ministeriale era ed è maestro - una infamia!- per far diventare il sospetto un' amara realtà.
Nastas,i tanto per aggiungere prova a prova, non è stato con l'Orchestra Mozart di Claudio Abbado di manica larga come con l'Orchestra Cherubini di Muti. All'azzeccagarbugli vanno imputati anche numerosi altri misfatti, primo fra tutti quell'algoritmo con il quale ha falcidiato il panorama delle attività musicali in Italia, dopo che negli anni in cui ha comandato al ministero ha fatto 'il buono e cattivo tempo', rispettivamente con amici e nemici, quelli considerati tali, richiedenti finanziamenti attraverso il FUS.
Muti , ricorda Isotta, aprendo il capitolo altrettanto doloroso del restauro dell'amato San Carlo, si fece fotografare all'interno del teatro, nel corso del restauro che cambiò il colore della sala e costruì sotto il 'golfo mistico' un bar che ne ha irrimediabilmente compromesso l'acustica, con Nastasi e con l'arch. Elisabetta Fabbri che in molti restauri di teatri all'epoca, era il jolly ministeriale.
Anche allora Muti, secondo Isotta, avrebbe dovuto opporsi e non lo fece, per la solita ragione.
Quanto stretti fossero i rapporti Nastasi-Muti a noi lo confermò anche un altro episodio del quale fummo testimoni diretti. L'inaugurazione del nuovo 'provvisorio' Conservatorio Casella dell'Aquila, dopo che il terremoto aveva distrutto la sua sede storica a Collemaggio.
Muti volle, generosamente - come sa essere in molte occasioni - essere presente a quella inaugurazione, qualche giorno prima di Natale dello steso 2009, arrivando direttamente da Bari, dove la sera prima aveva diretto al Petruzzelli. Arrivò con qualche ora di ritardo rispetto all'orario previsto - giustificato! - con un pullmann dal quale scesero, dopo di lui, sua moglie, e Nastasi. Che c'entrava Nastasi, direte. Ecco, appunto.
Nella storia e fortuna di Nastasi, che ora, dopo essere passato dal Ministero a Palazzo Chigi e da Bagnoli, come commissario nominatovi da Renzi, è approdato alla SIAE, c'entrano altri personaggi dei quali i giornali hanno da tempo parlato, noi compresi. C'entra Letta, il cardinale, suo protettore, e cliente dell'ufficio tributario del padre, da poco scomparso, di Nastasi, e c'entra - come potrebbe essere altrimenti - anche sua madre Enrica Laterza, potente giudice della Corte dei Conti, che presiede il settore di controllo degli enti pubblici - non è quello nel quale suo figlio ha lavorato per tanti anni? nessun conflitto di interesse? - e che , come si legge qui sotto, Renzi voleva a suo tempo far diventare addirittura presidente della Corte medesima.
Ognuno tiri le sue conclusioni. Buona lettura!
Di Enrica Laterza ( fonte: Lettera 23)
Accade così che Renzi, insieme con il Giglio magico, stia provando in tutti i modi a sostenere la nomina di Enrica Laterza, attuale presidente della sezione che controlla gli enti tra i quali anche ovviamente la Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione su cui si è giocato in questi anni uno scontro acceso a livello istituzionale, in particolare all'interno dell'Arma dei Carabinieri e dell'Aise, il nostro servizio segreto estero. Laterza non è solo un magistrato contabile, è anche madre di Salvo Nastasi, che proprio Renzi ha voluto a Palazzo Chigi come vice segretario generale, un incarico che ancora oggi ricopre. Qualcuno ha iniziato a storcere il naso, parlando di conflitto di interesse. Ma a quanto pare sulla nomina di Laterza ci sarebbe l'assenso di un pezzo da novanta della Roma che conta. Stiamo parlando di Raffaele Squitieri, ex presidente della magistratura contabile e frequentatore del Circolo Canottieri Aniene di Giovanni Malagò, presidente del Coni, da sempre legato al mondo della giustizia sportiva come a Luca Lotti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e attuale ministro allo Sport. Mattarella vigila. E tutti sono in attesa da un giorno all'altro che escano i nomi dei possibili candidati.
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martedì 28 maggio 2019
SBLOCCA CANTIERI o INSTALLAZIONE TELECAMERE, IN SCUOLE E CASE PER ANZIANI? ( da LA REPUBBLICA)
Ci saranno le telecamere di sicurezza a guardare quel che succede in asili (servizi per l'infanzia e scuole materne) e case di riposo.
Con il decreto Sblocca cantieri arriva infatti l'obbligo di installare telecamere in tutte le aule delle scuole dell'infanzia e in tutte le strutture di assistenza e cura di anziani e disabili: è stato approvato dalle commissioni Lavori pubblici e Ambiente del Senato l'emendamento bipartisan al decreto, firmato da senatori di Lega, M5S, Pd e Forza Italia. La proposta, come annunciato, è stata rivista soltanto sulle coperture. Anche Matteo Salvini l'ha commentata, parlando di "altra promessa mantenuta".
La proposta assegna al ministero dell'Interno una dotazione di 5 milioni per il 2019 e 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024 che serviranno ai Comuni per installare in ogni aula di ogni scuola per l'infanzia sistemi di videosorveglianza e apparecchiature finalizzate alla conservazione delle immagini. Altrettanti ne vengono stanziati per fornire gli stessi strumenti alle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità, a carattere residenziale, semiresidenziale o diurno.
L'esame del provvedimento complessivo è ripreso stamattina nelle commissioni. Nel pomeriggio è arrivato il via libera, con mandato ai relatori. Il testo, modificato nelle Commissioni, approderà in Aula domani. In Assemblea saranno presentati ulteriori emendamenti del governo e dei relatori, ha confermato il sottosegretario Vito Crimi.
Contro il testo sono scesi in piazza, a Montecitorio, i sindacati. "Con il decreto Sblocca cantieri - hanno lamentato le tre Confederazioni - il governo mira a stravolgere il Codice degli appalti pubblici e riconsegnare il sistema nelle mani delle consorterie dei comitati d'affari, in un paese come l'Italia ad altissima possibilità di infiltrazione mafiosa. Un provvedimento che produrrà meno lavoro sicuro e garantito".
***
Il paese è fermo e attende di riprendere a camminare con la ripresa delle opere, soprattutto pubbliche. Nel frattempo il governo continua con la 'propaganda': in tutte le scuole per l'infanzia e nella case di riposo e cura per anziani saranno installate telecamere. Sacrosante e benvenute. Ma con i 5 milioni stanziati allo scopo, riparte il paese? E siamo sicuri che il cosiddetto decreto 'sblocca cantieri' non stravolga il 'codice degli appalti' riconsegnando il paese alle mafie ed alla malavita organizzata? ( P.A.)
Con il decreto Sblocca cantieri arriva infatti l'obbligo di installare telecamere in tutte le aule delle scuole dell'infanzia e in tutte le strutture di assistenza e cura di anziani e disabili: è stato approvato dalle commissioni Lavori pubblici e Ambiente del Senato l'emendamento bipartisan al decreto, firmato da senatori di Lega, M5S, Pd e Forza Italia. La proposta, come annunciato, è stata rivista soltanto sulle coperture. Anche Matteo Salvini l'ha commentata, parlando di "altra promessa mantenuta".
La proposta assegna al ministero dell'Interno una dotazione di 5 milioni per il 2019 e 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024 che serviranno ai Comuni per installare in ogni aula di ogni scuola per l'infanzia sistemi di videosorveglianza e apparecchiature finalizzate alla conservazione delle immagini. Altrettanti ne vengono stanziati per fornire gli stessi strumenti alle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità, a carattere residenziale, semiresidenziale o diurno.
L'esame del provvedimento complessivo è ripreso stamattina nelle commissioni. Nel pomeriggio è arrivato il via libera, con mandato ai relatori. Il testo, modificato nelle Commissioni, approderà in Aula domani. In Assemblea saranno presentati ulteriori emendamenti del governo e dei relatori, ha confermato il sottosegretario Vito Crimi.
Contro il testo sono scesi in piazza, a Montecitorio, i sindacati. "Con il decreto Sblocca cantieri - hanno lamentato le tre Confederazioni - il governo mira a stravolgere il Codice degli appalti pubblici e riconsegnare il sistema nelle mani delle consorterie dei comitati d'affari, in un paese come l'Italia ad altissima possibilità di infiltrazione mafiosa. Un provvedimento che produrrà meno lavoro sicuro e garantito".
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Il paese è fermo e attende di riprendere a camminare con la ripresa delle opere, soprattutto pubbliche. Nel frattempo il governo continua con la 'propaganda': in tutte le scuole per l'infanzia e nella case di riposo e cura per anziani saranno installate telecamere. Sacrosante e benvenute. Ma con i 5 milioni stanziati allo scopo, riparte il paese? E siamo sicuri che il cosiddetto decreto 'sblocca cantieri' non stravolga il 'codice degli appalti' riconsegnando il paese alle mafie ed alla malavita organizzata? ( P.A.)
Aspirante PREMIER SALVINI, dove trova i 30 miliardi per la FLAT TAX? ( da AVVENIRE, di Marco Iasevoli)
Il contrasto è evidente. Mentre da Bruxelles Giuseppe Conte risponde fuggevolmente alle domande dei cronisti, cercando di allontanarsi dal punto-stampa dopo ogni breve risposta, Matteo Salvini da Roma bombarda l’Unione europea su tutto: nomine, conti pubblici, spread. «Non sono un premier commissariato», è l’unica risposta politica che Conte riesce a dare insieme alla promessa di «vedere presto» i due leader della maggioranza. Il minimo sindacale mentre il leader della Lega continua a far lavorare la ruspa fiscale: «La flat tax si farà, ho un piano da 30 miliardi per i redditi fino a 50mila euro», annuncia Salvini comunicando che oggi vedrà i vertici economici del partito. «Non è ancora tempo di manovra...», si scansa Conte.
Nei fatti, l’atteso vertice di governo non è previsto a strettissimo giro. Salvini sfoglia l’agenda, dice di essere a Roma fino a domani, e che poi venerdì riprenderà il tour per i ballottaggi delle Comunali. Ci sarebbero 48 ore: saranno utilizzate per un chiarimento? Forse, a patto che Luigi Di Maio superi il "processo interno" di M5s e si faccia dare un nuovo mandato a negoziare. Se ci sarà vertice politico, allora a cascata può esserci un Cdm sul decreto-sicurezza. Un rimpasto può essere una soluzione? «No, niente giochini, in quel caso meglio il voto», chiude Salvini.
A 48 ore dalle Europee, quindi, è ancora tutto in aria. Ma Salvini questo stallo lo riempie di dirette Facebook. «Lo spread sale perché c’è a chi conviene che gli italiani siano vincolati alle regole vecchie». Regole da cambiare, dunque, come il mandato della Banca centrale europea: «La Bce dovrebbe garantire il debito governativo in modo da tenere bassi i rendimenti di Stato». Parole pronunciate mentre i capi di Stato e di governo iniziano la discussione sulle euronomine che riguardano anche il successore di Mario Draghi a Francoforte. Lo stacco è evidente. Conte, evidentemente isolato e senza bilaterali con nessuno dei 27 colleghi, cerca di tenere l’Italia aggrappata al treno franco-tedesco, già abbastanza indaffarato a trovare una quadra a due. Salvini, da Roma, fa sapere che la linea del governo italiano è fare più deficit con le spalle coperte dalla Bce. «Proponiamo una grande conferenza intergovernativa su crescita e investimenti», insiste Salvini. Una divisione così netta ed evidente dentro il governo italiano non è una situazione ideale. E infatti lo spread sale ancora, schizza a 290 e infine chiude a 284.
Ma si capisce lontano il miglio che il pomo della discordia è la flat-tax. Oggi il gotha del Carroccio dovrebbe far capire di cosa si parla. Dovrebbe dire quanti, di questi 30 miliardi, vengono dal bonus-Renzi e dalle detrazioni fiscali, ad esempio. «È una provocazione», dicono a denti stretti uomini di governo di M5s. Quella di Salvini è più che altro una forma di pressione psicologica su M5s e sul tandem Di Maio-Conte, anche se ad entrambi Salvini manda messaggi rassicuranti: «Ho dato la mia parola, non la cambio per il 34% alle Europee. A patto che si rispetti il contratto...». Ecco, il contratto: che contiene la flat-tax, la ridiscussione della Tav, l’Autonomia e anche le dimissioni di chi viene condannato in primo grado, come potrebbe accadere al viceministro leghista Rixi a fine mese. Insomma, se i due leader vogliono, possono tornarsi a parlare. Per ora fanno il gioco del cerino. E Di Maio, che pure vuole tornare al tavolo, non può muoversi sino a quando non ricompatta il Movimento.
Sono giorni comunque sprecati, dal punto di vista economico. Perché lo spread sale. E l’Europa fa sul serio. Oggi arriverà la lettera con richieste di chiarimento sul debito. In 48 ore il Tesoro dovrà rispondere. Il 5 giugno le Raccomandazioni Paese potrebbero avviare la procedura per debito eccessivo, che poi dovrebbe essere ratificata all’Ecofin del 9 luglio, a meno che l’Italia non faccia una manovra correttiva. «Quella delle multe non è la strada che preferisco», dice l’eurocommissario alle Finanze Moscovici. In serata poi Conte ha un faccia a faccia con il presidente della Commissione Juncker, ilquale gli fa sapere che oggi i conti dell’Italia saranno sul tavolo del "governo" europeo per un dibattito sui prossimi passi da compiere nei confronti di Roma. Secondo Bruxelles, ci sarebbe uno scostamento dello 0,7% (circa 11 miliardi) rispetto agli obiettivi Ue. E questo a fronte di una richiesta di riduzione del deficit strutturale di 0,6% avanzata a maggio scorso dalla Commissione e di una promessa di taglio dello 0,3% fatta dall’Italia.
Ma per l'Unione Europea c'è un buco da 11 miliardi
Le cifre della Flat tax e della prossima manovra, unite ai riflettori accesi dai mercati, fanno intravedere una strada in salita per il governo. Il Def ha un deficit 2020 fissato al 2,1% del Pil. Con la legge di bilancio, il governo è davanti a un bivio: far scattare gli aumenti dell’Iva o trovare 23 miliardi di risorse alternative, partendo da tagli di spesa che potrebbero includere gli sgravi fiscali o nuove entrate come la lotta all’evasione. Il rifinanziamento delle spese indifferibili costerebbe altri 3-4 miliardi che avvicinano il conto ai 27 miliardi. Certo si potrebbero sfruttare gli eventuali risparmi del Fondo per quota 100 e Reddito di cittadinanza. Ma almeno un miliardo sarebbe destinato al fondo per la famiglie. E poi c’è la flat tax, per la quale la Lega puntava a una proposta a un costo di circa 13 miliardi: un intervento che a regime lieviterebbe a 30 miliardi.
La cifra finale delle risorse da trovare per il 2020, per stare dentro gli impegni del Def, parte quindi da 40 miliardi, e potrebbe volare ben oltre i 50 stando alle cifre indicate dal leader della Lega: un macigno con crescita già vicina a zero. Vista da Bruxelles, a politiche invariate le previsioni d’inizio maggio vedono schizzare il deficit al 3,5% in percentuale del Pil nel 2020, e il debito dal 133,7% quest’anno e al 135,2% il prossimo. Una "bomba ad orologeria" con lo spread a un passo da 300 e le agenzie di rating che hanno già acceso i riflettori. Passato il voto delle Europee, il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici ha subito ripreso in mano il dossier evocando «misure aggiuntive». Assieme alle Raccomandazioni), per l’Italia è in arrivo il rapporto "126.3" sul debito pubblico: l’anno scorso Bruxelles aveva chiesto a Roma un miglioramento del deficit strutturale di 0,9 punti di Pil nel biennio 2018-2019, che si ridurrebbe a 0,4 sottraendo la massima deviazione consentita (0,5%).
Tuttavia le stime Ue calcolano un peggioramento di 0,3 punti. Ne deriva un buco di 0,7, ovvero oltre 11 miliardi di euro. Le previsioni della Commissione, solo per il 2019, individuano un peggioramento strutturale pari a 0,2 (circa 3,5 mld), che doveva essere invece pari a zero in base agli accordi di dicembre con cui l’Italia aveva faticosamente evitato una procedura per debito.
Nei fatti, l’atteso vertice di governo non è previsto a strettissimo giro. Salvini sfoglia l’agenda, dice di essere a Roma fino a domani, e che poi venerdì riprenderà il tour per i ballottaggi delle Comunali. Ci sarebbero 48 ore: saranno utilizzate per un chiarimento? Forse, a patto che Luigi Di Maio superi il "processo interno" di M5s e si faccia dare un nuovo mandato a negoziare. Se ci sarà vertice politico, allora a cascata può esserci un Cdm sul decreto-sicurezza. Un rimpasto può essere una soluzione? «No, niente giochini, in quel caso meglio il voto», chiude Salvini.
A 48 ore dalle Europee, quindi, è ancora tutto in aria. Ma Salvini questo stallo lo riempie di dirette Facebook. «Lo spread sale perché c’è a chi conviene che gli italiani siano vincolati alle regole vecchie». Regole da cambiare, dunque, come il mandato della Banca centrale europea: «La Bce dovrebbe garantire il debito governativo in modo da tenere bassi i rendimenti di Stato». Parole pronunciate mentre i capi di Stato e di governo iniziano la discussione sulle euronomine che riguardano anche il successore di Mario Draghi a Francoforte. Lo stacco è evidente. Conte, evidentemente isolato e senza bilaterali con nessuno dei 27 colleghi, cerca di tenere l’Italia aggrappata al treno franco-tedesco, già abbastanza indaffarato a trovare una quadra a due. Salvini, da Roma, fa sapere che la linea del governo italiano è fare più deficit con le spalle coperte dalla Bce. «Proponiamo una grande conferenza intergovernativa su crescita e investimenti», insiste Salvini. Una divisione così netta ed evidente dentro il governo italiano non è una situazione ideale. E infatti lo spread sale ancora, schizza a 290 e infine chiude a 284.
Ma si capisce lontano il miglio che il pomo della discordia è la flat-tax. Oggi il gotha del Carroccio dovrebbe far capire di cosa si parla. Dovrebbe dire quanti, di questi 30 miliardi, vengono dal bonus-Renzi e dalle detrazioni fiscali, ad esempio. «È una provocazione», dicono a denti stretti uomini di governo di M5s. Quella di Salvini è più che altro una forma di pressione psicologica su M5s e sul tandem Di Maio-Conte, anche se ad entrambi Salvini manda messaggi rassicuranti: «Ho dato la mia parola, non la cambio per il 34% alle Europee. A patto che si rispetti il contratto...». Ecco, il contratto: che contiene la flat-tax, la ridiscussione della Tav, l’Autonomia e anche le dimissioni di chi viene condannato in primo grado, come potrebbe accadere al viceministro leghista Rixi a fine mese. Insomma, se i due leader vogliono, possono tornarsi a parlare. Per ora fanno il gioco del cerino. E Di Maio, che pure vuole tornare al tavolo, non può muoversi sino a quando non ricompatta il Movimento.
Sono giorni comunque sprecati, dal punto di vista economico. Perché lo spread sale. E l’Europa fa sul serio. Oggi arriverà la lettera con richieste di chiarimento sul debito. In 48 ore il Tesoro dovrà rispondere. Il 5 giugno le Raccomandazioni Paese potrebbero avviare la procedura per debito eccessivo, che poi dovrebbe essere ratificata all’Ecofin del 9 luglio, a meno che l’Italia non faccia una manovra correttiva. «Quella delle multe non è la strada che preferisco», dice l’eurocommissario alle Finanze Moscovici. In serata poi Conte ha un faccia a faccia con il presidente della Commissione Juncker, ilquale gli fa sapere che oggi i conti dell’Italia saranno sul tavolo del "governo" europeo per un dibattito sui prossimi passi da compiere nei confronti di Roma. Secondo Bruxelles, ci sarebbe uno scostamento dello 0,7% (circa 11 miliardi) rispetto agli obiettivi Ue. E questo a fronte di una richiesta di riduzione del deficit strutturale di 0,6% avanzata a maggio scorso dalla Commissione e di una promessa di taglio dello 0,3% fatta dall’Italia.
Ma per l'Unione Europea c'è un buco da 11 miliardi
Le cifre della Flat tax e della prossima manovra, unite ai riflettori accesi dai mercati, fanno intravedere una strada in salita per il governo. Il Def ha un deficit 2020 fissato al 2,1% del Pil. Con la legge di bilancio, il governo è davanti a un bivio: far scattare gli aumenti dell’Iva o trovare 23 miliardi di risorse alternative, partendo da tagli di spesa che potrebbero includere gli sgravi fiscali o nuove entrate come la lotta all’evasione. Il rifinanziamento delle spese indifferibili costerebbe altri 3-4 miliardi che avvicinano il conto ai 27 miliardi. Certo si potrebbero sfruttare gli eventuali risparmi del Fondo per quota 100 e Reddito di cittadinanza. Ma almeno un miliardo sarebbe destinato al fondo per la famiglie. E poi c’è la flat tax, per la quale la Lega puntava a una proposta a un costo di circa 13 miliardi: un intervento che a regime lieviterebbe a 30 miliardi.
La cifra finale delle risorse da trovare per il 2020, per stare dentro gli impegni del Def, parte quindi da 40 miliardi, e potrebbe volare ben oltre i 50 stando alle cifre indicate dal leader della Lega: un macigno con crescita già vicina a zero. Vista da Bruxelles, a politiche invariate le previsioni d’inizio maggio vedono schizzare il deficit al 3,5% in percentuale del Pil nel 2020, e il debito dal 133,7% quest’anno e al 135,2% il prossimo. Una "bomba ad orologeria" con lo spread a un passo da 300 e le agenzie di rating che hanno già acceso i riflettori. Passato il voto delle Europee, il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici ha subito ripreso in mano il dossier evocando «misure aggiuntive». Assieme alle Raccomandazioni), per l’Italia è in arrivo il rapporto "126.3" sul debito pubblico: l’anno scorso Bruxelles aveva chiesto a Roma un miglioramento del deficit strutturale di 0,9 punti di Pil nel biennio 2018-2019, che si ridurrebbe a 0,4 sottraendo la massima deviazione consentita (0,5%).
Tuttavia le stime Ue calcolano un peggioramento di 0,3 punti. Ne deriva un buco di 0,7, ovvero oltre 11 miliardi di euro. Le previsioni della Commissione, solo per il 2019, individuano un peggioramento strutturale pari a 0,2 (circa 3,5 mld), che doveva essere invece pari a zero in base agli accordi di dicembre con cui l’Italia aveva faticosamente evitato una procedura per debito.
Salvini, ascolti qualche buon consiglio del socio, ad elezioni alterne, Berlusconi
La lettera è un fatto automatico, non c'è nessuna decisione". Lo dice Silvio Berlusconi, dopo il vertice del Ppe a Bruxelles a proposito della lettera che la Commissione Ue starebbe per inviare al governo italiano per eccesso di debito.
Fa bene Salvini a scagliarsi contro i vincoli Ue? "No - risponde - è una regola di vita: se devi trattare con qualcuno perché ceda alle tue proposte e si convinca, devi stabilire un clima di cordialità e stima. Andare a battere i pugni sul tavolo, parlare a voce alta e dire addirittura come in passato che parli con Juncker prima delle dieci ma dopo è sbronzo, è il sistema peggiore per trovare accordi a noi favorevoli".
Fa bene Salvini a scagliarsi contro i vincoli Ue? "No - risponde - è una regola di vita: se devi trattare con qualcuno perché ceda alle tue proposte e si convinca, devi stabilire un clima di cordialità e stima. Andare a battere i pugni sul tavolo, parlare a voce alta e dire addirittura come in passato che parli con Juncker prima delle dieci ma dopo è sbronzo, è il sistema peggiore per trovare accordi a noi favorevoli".
lunedì 27 maggio 2019
Manifestiamo per RADIO RADICALE oggi pomeriggio a Roma, in Piazza Montecitorio
Appuntamento alle 15 per chiedere che i deputati possano pronunciarsi sulla proroga della convenzione all'emittente e sugli emendamenti sul fondo per il pluralismo. La Fnsi invita a partecipare tutti coloro che si sono schierati al fianco di Radio Radicale e delle testate finite nel mirino del governo.
La manifestazione di Pasqua a sostegno di Radio Radicale
«La decisione assunta dal solo gruppo del Movimento 5 Stelle di impedire la discussione e il voto sulla proroga della convenzione con Radio Radicale e sugli emendamenti sul fondo per il pluralismo dell'informazione è grave e non può trovare giustificazione alcuna. Chi ha negato la discussione, per paura di un libero voto del Parlamento, punta a oscurare le voci delle differenze e a colpire il pluralismo dell'informazione. Una decisione ancora più inquietante perché ha deliberatamente scelto di non ascoltare i ripetuti appelli del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e di ignorare l'invito dell'Agcom a rinnovare la convenzione in attesa della riforma del settore». Lo affermano, in una nota, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana.
La Fnsi, che ha già ricevuto dal Consiglio nazionale e dall'assemblea dei comitati di redazione il mandato a utilizzare tutti gli strumenti di lotta per bloccare i tagli e i bavagli, chiede ad ogni singolo parlamentare di porre la questione in aula e di rivendicare il diritto a potersi esprimere su una materia che investe direttamente l'articolo 21 della Costituzione.
«Il tentativo di soffocare Radio Radicale e di colpire il Manifesto, l'Avvenire, le cooperative di giornalisti e le voci delle minoranze e delle differenze – incalzano Lorusso e Giulietti – è solo il primo passo verso l'obiettivo di abrogare la funzione critica e il ruolo dei giornalisti. Questo progetto può e deve essere contrastato oltre ogni logica di parte e di partito. L'auspicio è che tutti i media diano voce alle preoccupazioni e alle proteste delle redazioni che rischiano di essere 'oscurate'».
La Giunta esecutiva della Fnsi e la Consulta delle Associazioni regionali di Stampa ne discuteranno in una riunione straordinaria convocata dal segretario generale Lorusso per domani, martedì 28 maggio. La riunione proseguirà in forma pubblica nel pomeriggio della stessa giornata, a partire dalle ore 15, in piazza Montecitorio, dove in concomitanza con i lavori dell'aula della Camera si terranno una conferenza stampa e un presidio per chiedere che l'Assemblea dei deputati possa pronunciarsi sugli emendamenti.
La Federazione nazionale della Stampa Italiana invita tutti coloro che si sono schierati al fianco di Radio Radicale e delle testate colpite dai tagli a intervenire al presidio.
Hanno aderito finora:
Alessio Falconio, direttore Radio Radicale; Paolo Borrometi, presidente Articolo21; Vittorio Di Trapani, segretario Usigrai; Paola Spadari, presidente Odg Lazio e coordinatrice, con Cristiano Degano, dei presidenti degli Ordini regionali; Ungp; Cpo Fnsi; Cgil; Cisl; Uil; Ucsi, Unione Cattolica Stampa Italiana; Rete NoBavaglio; Amnesty International Italia; Associazione Carta di Roma; Associazione per il rinnovamento della sinistra; Associazione Giulia Giornaliste; Uisp (Unione Italiana Sport Per tutti); Osservatorio Balcani e Caucaso; il Manifesto; l'Unità; il Giornale Radio Sociale.
La Fnsi, che ha già ricevuto dal Consiglio nazionale e dall'assemblea dei comitati di redazione il mandato a utilizzare tutti gli strumenti di lotta per bloccare i tagli e i bavagli, chiede ad ogni singolo parlamentare di porre la questione in aula e di rivendicare il diritto a potersi esprimere su una materia che investe direttamente l'articolo 21 della Costituzione.
«Il tentativo di soffocare Radio Radicale e di colpire il Manifesto, l'Avvenire, le cooperative di giornalisti e le voci delle minoranze e delle differenze – incalzano Lorusso e Giulietti – è solo il primo passo verso l'obiettivo di abrogare la funzione critica e il ruolo dei giornalisti. Questo progetto può e deve essere contrastato oltre ogni logica di parte e di partito. L'auspicio è che tutti i media diano voce alle preoccupazioni e alle proteste delle redazioni che rischiano di essere 'oscurate'».
La Giunta esecutiva della Fnsi e la Consulta delle Associazioni regionali di Stampa ne discuteranno in una riunione straordinaria convocata dal segretario generale Lorusso per domani, martedì 28 maggio. La riunione proseguirà in forma pubblica nel pomeriggio della stessa giornata, a partire dalle ore 15, in piazza Montecitorio, dove in concomitanza con i lavori dell'aula della Camera si terranno una conferenza stampa e un presidio per chiedere che l'Assemblea dei deputati possa pronunciarsi sugli emendamenti.
La Federazione nazionale della Stampa Italiana invita tutti coloro che si sono schierati al fianco di Radio Radicale e delle testate colpite dai tagli a intervenire al presidio.
Hanno aderito finora:
Alessio Falconio, direttore Radio Radicale; Paolo Borrometi, presidente Articolo21; Vittorio Di Trapani, segretario Usigrai; Paola Spadari, presidente Odg Lazio e coordinatrice, con Cristiano Degano, dei presidenti degli Ordini regionali; Ungp; Cpo Fnsi; Cgil; Cisl; Uil; Ucsi, Unione Cattolica Stampa Italiana; Rete NoBavaglio; Amnesty International Italia; Associazione Carta di Roma; Associazione per il rinnovamento della sinistra; Associazione Giulia Giornaliste; Uisp (Unione Italiana Sport Per tutti); Osservatorio Balcani e Caucaso; il Manifesto; l'Unità; il Giornale Radio Sociale.
NUOVE MUSICHE a UDINE
RISUONANZE 2019
incontri di nuove musiche
31 maggio, 1, 2, 10 giugno 2019
31 maggio 2019, ore 20:45 - Auditorium Elio Venier, Pasian di Prato (Udine)
Rocco Rescigno (trombone)
Rocco Rescigno (trombone)
musiche di Kalevi Aho (*), Antonio Agostini (*), Daniele Bertoldin (*), Andreina Costantini (*), Gianluca Deserti (*), Joao Pedro Oliveira (*), Rossano Pinelli (**),Stefano Procaccioli (*), Massimo Varchione (*)
1 giugno 2019, ore 18 - Casa Cavazzini, Udine
Ghenadie Rotari (fisarmonica)
Ghenadie Rotari (fisarmonica)
musiche di IVan Buffa (*), Sara Carvalho (*), Haris Kittos (*), Martyna Kosecka (*), Paolo Marchettini (*), Idin Samimi Mofakham (*), Biagio Putignano (**), Hugo Vasco Reis (**), Arshia Samsaminia (**)
1 giugno 2019, ore 21 - Casa Cavazzini, Udine
Verena Rojc e Oliver Dizdarević (violini)
Verena Rojc e Oliver Dizdarević (violini)
musiche di Anna Bofill Levi (*), Fabrizio De Rossi Re (*), Paolo Longo (*), Paolo Manfrin (*), Joseph Pereira (**), Mohammad Amin Sharifi (*), Andrea Talmelli (*), Nicolas Vérin (**)
2 giugno 2019, ore 20:45 - Casa Cavazzini, Udine
Tiziano Cantoni (flauti), Enrico Cossio (oboe), Nicola Bulfone (clarinetti)
Tiziano Cantoni (flauti), Enrico Cossio (oboe), Nicola Bulfone (clarinetti)
musiche di Umberto Bombardelli (*), Giorgio Colombo Taccani (*), Carlo Galante (*), Annachiara Gedda (*), Egid Jochl (*), Carla Magnan (*), Jane O'Leary (*), Davide Pitis (*), Paolo Rotili (*), George Stevenson (*), Bruno Zanolini (*)
10 giugno 2019, ore 20:45 - Auditorium della Casa della Musica, Trieste
Akiko Kozato (mezzosoprano) e Adele D'Aronzo (pianoforte)
Akiko Kozato (mezzosoprano) e Adele D'Aronzo (pianoforte)
musiche di Roberto Andreoni (*), Sonia Bo (*), Gliberto Bosco (*), Hunter Coblentz (*), Giuseppe Colardo (*), Dimitrios Katharopoulos (*), Carla Rebora (*), Gabrio Taglietti (*), Keiko Takano (*), Mladen Tarbuk (**), Kirsten Strom (**)
* prima esecuzione assoluta
** prima esecuzione italiana
** prima esecuzione italiana
Tutti i concerti sono ad ingresso libero.
Anche quest'anno, nella settima edizione di Risuonanze - incontri di nuove musiche, 9 interpreti specializzati eseguono, in 5 esibizioni (caso più unico che raro nel panorama nazionale - forse anche internazionale), ben 48 composizioni, di cui 41 in prima assoluta, e 7 in una prima italiana. Di queste, 15 sono state selezionate tra le quasi 400 pervenute da 43 paesi di tutti i continenti in seguito alla Call for Scores internazionale giunta ormai alla sesta edizione.
Rimane quindi inalterato il format della rassegna, che è stata concepita per favorire l'avvicinamento del pubblico ad una musica che si trova, allo stato attuale e quantomeno nel nostro Paese, al di fuori delle logiche del mercato di massa
Come di consueto, al posto del mero programma cartaceo viene proposta una pubblicazione (edita da L’Orto della Cultura - Pasian di Prato - Udine) contenente alcuni scritti inediti di vari intellettuali (tra i quali i compositori Jacobo Durán Loriga, Carlo Galante, Gilberto Bosco e Andrea Talmelli, ed i musicologi Enrico Fubini ePaolo Emilio Carapezza) nei quali vengono indagati i più diversi aspetti dei “problemi” esistenti tra la musica contemporanea, i suoi fautori, i possibili fruitori ed un ipotetico “mercato”. Tematiche queste che andranno ad animare le discussioni tra pubblico, compositori ed interpreti durante tutti gli eventi proposti da Risuonanze 2019: in ogni concerto è previsto un incontro, anche conviviale, tra i musicisti presenti (compositori ed intepreti) ed il pubblico, nella ricerca di un dialogo al di fuori di ogni formalità.
La media partnership con Radio Capodistria e TV Capodistria viene quest'anno rinforzata: Radio Capodistria trasmetterà in differita tutti i concerti della rassegna.
Per ulteriori informazioni: http://www.risuonanze.it
Media partner: Radio Capodistria, TV Capodistria
Avanzata vittoriosa della Lega. ANALISI ' territoriale' del VOTO ( da LA REPUBBLICA, di Tiziana Testa)
Nel cuore della notte - nel suo intervento con il rosario in mano dalla sede di via Bellerio - Matteo Salvini ha detto con tono trionfalistico: "La Lega è "primo partito al Nord e al Sud, abbiamo percentuali sopra al 50% in tante città e siamo anche primo partito in tante città del centro e del sud, ci metterò ancora più passione ed energia". Ma quanto è omogenea l'egemonia leghista sul territorio nazionale?
Salvini ringrazia: "Siamo primi. Non ci sarà crisi in Italia". Zingaretti (Pd): governo più debole. Silenzio del M5s
Partiamo dalla circoscrizione del Nord Est: qui la Lega sfiora il 40 per cento. Con il Partito democratico che insegue al 23,8 per cento. E i 5Stelle appena intorno al 10. Il top in Veneto, un vero feudo verde: il Carroccio qui sfiora il 50 per cento. In Friuli Venezia Giulia è al 42. In Trentino Alto Adige è testa a testa con la Svp. Ma il dato forse più eclatante è quello dell'Emilia-Romagna, dove la Lega è al 33 per cento contro il 31 del Partito democratico. Un dato che potrebbe essere significativo anche in vista delle amministrative, con i tanti Comuni "rossi" che hanno votato ieri ma i cui voti saranno scrutinati solo a partire dalle 14. Nelle città di sicuro fa eccezione Bologna, dove il Pd resta al 40% e la Lega al 21, ma a Ferrara - per esempio, dove si è votato per il sindaco - il Carroccio è al 36,6 (il Pd al 29).
Anche nella circoscrizione del Nord Ovest la Lega è il primo partito: 40% contro il 23,4 del Pd e l'11 dei 5Stelle. In Lombardia il partito di Salvini è al 43 contro il 23 del Pd. Resiste Milano, dove il Partito democratico è al 35,9 contro il 27 della Lega. In Piemonte la Lega è al 36 e il Pd insegue al 24 punti di distanza (ma a Torino i dem sono primi). Stessa situazione anche in Liguria, dove il ritardo dei dem rispetto al Carroccio è di quasi 9 punti (ma a Genova il Pd è primo, 30 per cento contro 27).
Lega prima anche nella circoscrizione dell'Italia centrale. Lega al 33, Pd al 26,9 e M5S al 15,9. Fa eccezione la Toscana dove il Pd è il primo partito (a Firenze addirittura con il 42 per cento). Mentre nelle Marche il vantaggio del partito di Salvini è di quasi 15 punti. Clamorosa anche l'affermazione della Lega in Umbria, dove si impone con il 38,1% - mentre, cinque anni fa, aveva ottenuto il 2,51% con appena 11.673 voti - ed è seguita dal Pd che al contrario è crollato dal 49,15% delle europee 2014 al 23,98%. Netto distacco anche nel Lazio a favore di Salvini. Fa eccezione la capitale, Roma, dove il Pd è oltre il 30 per cento, la Lega al 25 e il M5S sotto il 18.
Elezioni europee, i risultati: trionfo della Lega, primo partito al 34%. Pd secondo, crollo M5S
I 5Stelle mantengono invece il primato nella circoscrizione meridionale: 29 per cento contro il 23 della Lega e il 18 del Pd. Questo vale per tutte le regioni del Sud (Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise) e per le grandi città come Napoli e Bari. Fa eccezione l'Abruzzo, dove la Lega ha un vantaggio sui 5Stelle di quasi 13 punti. Anche nell'isola di Lampedusa la Lega fa il pieno di voti e raggiunge un sorprendente 45%.
Percentuali simili anche nelle isole, dove i 5Stelle sono primo partito e si attestano al 29,85 per cento la Lega è al 22,42 e il Pd al . Il Movimento va meglio in Sicilia (vince a Palermo e Catania) che in Sardegna (dove il Pd è il primo partito a Cagliari).
E l'affluenza? Davvero il calo al Sud ha pesato sul crollo dei 5Stelle? Di sicuro la flessione ha riguardato quasi tutte le regioni italiane: 2 punti e mezzo in meno rispetto al 2014. Ma certo spicca il meno 12 per cento di votanti in Abruzzo, il meno 4 in Campania, il meno 6 in Sardegna e il meno 5 in Sardegna.
Salvini ringrazia: "Siamo primi. Non ci sarà crisi in Italia". Zingaretti (Pd): governo più debole. Silenzio del M5s
Partiamo dalla circoscrizione del Nord Est: qui la Lega sfiora il 40 per cento. Con il Partito democratico che insegue al 23,8 per cento. E i 5Stelle appena intorno al 10. Il top in Veneto, un vero feudo verde: il Carroccio qui sfiora il 50 per cento. In Friuli Venezia Giulia è al 42. In Trentino Alto Adige è testa a testa con la Svp. Ma il dato forse più eclatante è quello dell'Emilia-Romagna, dove la Lega è al 33 per cento contro il 31 del Partito democratico. Un dato che potrebbe essere significativo anche in vista delle amministrative, con i tanti Comuni "rossi" che hanno votato ieri ma i cui voti saranno scrutinati solo a partire dalle 14. Nelle città di sicuro fa eccezione Bologna, dove il Pd resta al 40% e la Lega al 21, ma a Ferrara - per esempio, dove si è votato per il sindaco - il Carroccio è al 36,6 (il Pd al 29).
Anche nella circoscrizione del Nord Ovest la Lega è il primo partito: 40% contro il 23,4 del Pd e l'11 dei 5Stelle. In Lombardia il partito di Salvini è al 43 contro il 23 del Pd. Resiste Milano, dove il Partito democratico è al 35,9 contro il 27 della Lega. In Piemonte la Lega è al 36 e il Pd insegue al 24 punti di distanza (ma a Torino i dem sono primi). Stessa situazione anche in Liguria, dove il ritardo dei dem rispetto al Carroccio è di quasi 9 punti (ma a Genova il Pd è primo, 30 per cento contro 27).
Lega prima anche nella circoscrizione dell'Italia centrale. Lega al 33, Pd al 26,9 e M5S al 15,9. Fa eccezione la Toscana dove il Pd è il primo partito (a Firenze addirittura con il 42 per cento). Mentre nelle Marche il vantaggio del partito di Salvini è di quasi 15 punti. Clamorosa anche l'affermazione della Lega in Umbria, dove si impone con il 38,1% - mentre, cinque anni fa, aveva ottenuto il 2,51% con appena 11.673 voti - ed è seguita dal Pd che al contrario è crollato dal 49,15% delle europee 2014 al 23,98%. Netto distacco anche nel Lazio a favore di Salvini. Fa eccezione la capitale, Roma, dove il Pd è oltre il 30 per cento, la Lega al 25 e il M5S sotto il 18.
Elezioni europee, i risultati: trionfo della Lega, primo partito al 34%. Pd secondo, crollo M5S
I 5Stelle mantengono invece il primato nella circoscrizione meridionale: 29 per cento contro il 23 della Lega e il 18 del Pd. Questo vale per tutte le regioni del Sud (Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise) e per le grandi città come Napoli e Bari. Fa eccezione l'Abruzzo, dove la Lega ha un vantaggio sui 5Stelle di quasi 13 punti. Anche nell'isola di Lampedusa la Lega fa il pieno di voti e raggiunge un sorprendente 45%.
Percentuali simili anche nelle isole, dove i 5Stelle sono primo partito e si attestano al 29,85 per cento la Lega è al 22,42 e il Pd al . Il Movimento va meglio in Sicilia (vince a Palermo e Catania) che in Sardegna (dove il Pd è il primo partito a Cagliari).
E l'affluenza? Davvero il calo al Sud ha pesato sul crollo dei 5Stelle? Di sicuro la flessione ha riguardato quasi tutte le regioni italiane: 2 punti e mezzo in meno rispetto al 2014. Ma certo spicca il meno 12 per cento di votanti in Abruzzo, il meno 4 in Campania, il meno 6 in Sardegna e il meno 5 in Sardegna.
ITALIA MAI COSI' A DESTRA ( da HUFFINGTON POST, di Alessandro De Angelis)
L’Italia del 4 marzo non esiste più, sepolta nel più grande spostamento a destra della storia della Repubblica. Il governo, nel suo complesso, resta maggioranza del paese, ma con una inversione assoluta dei rapporti di forza: la Lega, che un anno fa era al 17, raddoppia raggiungendo il 33; i Cinque stelle, che un anno fa erano al 32,4, quasi dimezzano, precipitando sotto la soglia psicologica del 20, sorpassati, per la prima volta da anni dal Pd.
Si è aperta una “nuova fase”. Perché mai si era visto in Italia un blocco di estrema destra di queste dimensioni, né ai tempi della Dc, che per oltre cinquant’anni ha arginato ogni forma di “deriva autoritaria”, né ai tempi del berlusconismo, anzi allora si determinò, dopo la vittoria del ’94, un processo di “costituzionalizzazione” degli eredi del Movimento sociale, che nel lavacro purificatore di Fiuggi mondarono i retaggi di un passato ingombrante. Oggi la Lega, il secondo partito europeo per consistenza dopo la Cdu, è il primo partito sovranista d’Occidente e il suo leader ha iniziato la campagna elettorale pubblicando un libro per la casa editrice di Casa Pound e ammiccando all’elettorato neo-fascista. Sommato all’ottimo risultato di Giorgia Meloni (6,5) configura un blocco del 40 per cento, potenzialmente autosufficiente nelle urne. Destra radicale, populista, che non si definisce anti-fascista. Il vecchio centrodestra non c’è più da tempo, ma queste elezioni segnano l’approdo a una nuova configurazione, in cui ciò che resta di Forza Italia è irrilevante col suo 8 per cento, sotto la soglia psicologica del dieci. È cioè riuscita quella strategia del “prosciugamento” che Salvini ha posto in essere nel gioco spregiudicato della doppia maggioranza, al governo con i Cinque Stelle e nelle amministrative con Berlusconi: l’elettorato di centrodestra si è riversato nella Lega. L’Italia cambia colore davvero, scegliete voi se è blu o nero: con la conquista del Piemonte scommette sulla Lega tutto il partito del Pil, nel centro Italia è primo partito: 31 per cento nelle zone rosse, dove il Pd è al 28 e i Cinque stelle precipitano al 16.
Questi i numeri di una svolta a destra che i Cinque stelle hanno favorito, non arginato, in un anno di complicità, in cui hanno avallato tutte le bandiere securitarie del leader leghista, tranne poi improvvisare una poco credibile svolta a sinistra fondata sulle chiacchiere, e infatti giudicata poco credibile dagli elettori. È un crollo di partecipazione e di consenso al Sud (già anticipato dalle amministrative in Abruzzo, Basilicata, Sardegna) a determinare la debacle pentastellata: in Sicilia, Sardegna, Campania, regioni che un anno fa tributarono un plebiscito, calano i partecipanti e calano i voti. Debacle resa più amara dopo il varo del reddito di cittadinanza, unico caso di “voto di scambio” che non ha funzionato, perché confuso, pasticciato, incerto. Una volta filo-governativo per definizione nel lungo ciclo della Prima Repubblica e granaio di consenso del Potere finché ha funzionato la leva della spesa pubblica, negli anni della crisi il Mezzogiorno si conferma termometro delle sperimentazioni politiche e del voto cangiante, anticipando le novità nazionali: il grande successo di Renzi alle europee, poi la valanga dei Cinque Stelle, ora la Lega e l’ecatombe dei Cinque Stelle dove solo un anno fa registravano percentuali “maggioritarie”.
Parliamoci chiaro: questo voto segna la mutazione genetica del governo del contratto in un governo di estrema destra, con Salvini che, da oggi, è una sorta di premier virtuale, più legittimato del Re Travicello piazzato a palazzo Chigi un anno fa. E mette i Cinque Stelle con le spalle al muro. Perché il film di quel che accadrà è già scritto. Salvini si presenterà al prossimo consiglio dei ministri con la lista delle cose da fare (tav, autonomia, decreto sicurezza) perché lo “chiede il paese”. Subito. E Di Maio si troverà di fronte al drammatico dilemma se avallare provvedimenti finora giudicati indigeribili, per salvare la cadrega, compiendo la definitiva trasformazione in costola della Lega (e continuando a perdere consenso) o assumersi l’onere di un no che è, al tempo stesso, l’onere di una crisi di governo. E questo avviene nell’assoluta impasse strategica di un Movimento nel pieno di una crisi identitaria, segnata dal fallimento di una svolta a sinistra, improvvisata per recuperare il cedimento a destra dell’ultimo anno. Di Maio perde se incontra i gilet gialli, perde se fa il moderato, perde se vuole sforare il 3 per cento, perde se fa il custode, perché è chiaro che, quando alle chiacchiere non corrispondono atti concreti, un leader crolla nella baratro della sua non credibilità.
È prematuro parlare di rinascita del bipolarismo. Ma per la prima volta, da un po’ di tempo a questa parte, il centrosinistra torna a essere una alternativa potenziale. Perché si è rianimato il Pd (quattro punti in più dell’anno scorso) e, finita l’era dell’autosufficienza, si intravede un “campo largo”. Sommando al Pd i voti di più Europa (3,5) e dei Verdi (2,5), il centrosinistra è al 28 per cento circa. È un bel passo avanti. Più in generale è cambiata la dinamica politica. Questo è il punto. Fallito lo schema a due, di maggioranza e opposizione nell’ambito dello stesso governo, il centrosinistra è l’unica alternativa. C’è il governo, a trazione Salvini, con la complicità dei Cinque Stelle, privi della forza contrattuale per contrastarlo e della volontà, per ora, di farlo saltare. E c’è l’alternativa del centrosinistra. L’ambiguità è finita.
***
Italia, vergogna d'Europa! ( P.A.)
Si è aperta una “nuova fase”. Perché mai si era visto in Italia un blocco di estrema destra di queste dimensioni, né ai tempi della Dc, che per oltre cinquant’anni ha arginato ogni forma di “deriva autoritaria”, né ai tempi del berlusconismo, anzi allora si determinò, dopo la vittoria del ’94, un processo di “costituzionalizzazione” degli eredi del Movimento sociale, che nel lavacro purificatore di Fiuggi mondarono i retaggi di un passato ingombrante. Oggi la Lega, il secondo partito europeo per consistenza dopo la Cdu, è il primo partito sovranista d’Occidente e il suo leader ha iniziato la campagna elettorale pubblicando un libro per la casa editrice di Casa Pound e ammiccando all’elettorato neo-fascista. Sommato all’ottimo risultato di Giorgia Meloni (6,5) configura un blocco del 40 per cento, potenzialmente autosufficiente nelle urne. Destra radicale, populista, che non si definisce anti-fascista. Il vecchio centrodestra non c’è più da tempo, ma queste elezioni segnano l’approdo a una nuova configurazione, in cui ciò che resta di Forza Italia è irrilevante col suo 8 per cento, sotto la soglia psicologica del dieci. È cioè riuscita quella strategia del “prosciugamento” che Salvini ha posto in essere nel gioco spregiudicato della doppia maggioranza, al governo con i Cinque Stelle e nelle amministrative con Berlusconi: l’elettorato di centrodestra si è riversato nella Lega. L’Italia cambia colore davvero, scegliete voi se è blu o nero: con la conquista del Piemonte scommette sulla Lega tutto il partito del Pil, nel centro Italia è primo partito: 31 per cento nelle zone rosse, dove il Pd è al 28 e i Cinque stelle precipitano al 16.
Questi i numeri di una svolta a destra che i Cinque stelle hanno favorito, non arginato, in un anno di complicità, in cui hanno avallato tutte le bandiere securitarie del leader leghista, tranne poi improvvisare una poco credibile svolta a sinistra fondata sulle chiacchiere, e infatti giudicata poco credibile dagli elettori. È un crollo di partecipazione e di consenso al Sud (già anticipato dalle amministrative in Abruzzo, Basilicata, Sardegna) a determinare la debacle pentastellata: in Sicilia, Sardegna, Campania, regioni che un anno fa tributarono un plebiscito, calano i partecipanti e calano i voti. Debacle resa più amara dopo il varo del reddito di cittadinanza, unico caso di “voto di scambio” che non ha funzionato, perché confuso, pasticciato, incerto. Una volta filo-governativo per definizione nel lungo ciclo della Prima Repubblica e granaio di consenso del Potere finché ha funzionato la leva della spesa pubblica, negli anni della crisi il Mezzogiorno si conferma termometro delle sperimentazioni politiche e del voto cangiante, anticipando le novità nazionali: il grande successo di Renzi alle europee, poi la valanga dei Cinque Stelle, ora la Lega e l’ecatombe dei Cinque Stelle dove solo un anno fa registravano percentuali “maggioritarie”.
Parliamoci chiaro: questo voto segna la mutazione genetica del governo del contratto in un governo di estrema destra, con Salvini che, da oggi, è una sorta di premier virtuale, più legittimato del Re Travicello piazzato a palazzo Chigi un anno fa. E mette i Cinque Stelle con le spalle al muro. Perché il film di quel che accadrà è già scritto. Salvini si presenterà al prossimo consiglio dei ministri con la lista delle cose da fare (tav, autonomia, decreto sicurezza) perché lo “chiede il paese”. Subito. E Di Maio si troverà di fronte al drammatico dilemma se avallare provvedimenti finora giudicati indigeribili, per salvare la cadrega, compiendo la definitiva trasformazione in costola della Lega (e continuando a perdere consenso) o assumersi l’onere di un no che è, al tempo stesso, l’onere di una crisi di governo. E questo avviene nell’assoluta impasse strategica di un Movimento nel pieno di una crisi identitaria, segnata dal fallimento di una svolta a sinistra, improvvisata per recuperare il cedimento a destra dell’ultimo anno. Di Maio perde se incontra i gilet gialli, perde se fa il moderato, perde se vuole sforare il 3 per cento, perde se fa il custode, perché è chiaro che, quando alle chiacchiere non corrispondono atti concreti, un leader crolla nella baratro della sua non credibilità.
È prematuro parlare di rinascita del bipolarismo. Ma per la prima volta, da un po’ di tempo a questa parte, il centrosinistra torna a essere una alternativa potenziale. Perché si è rianimato il Pd (quattro punti in più dell’anno scorso) e, finita l’era dell’autosufficienza, si intravede un “campo largo”. Sommando al Pd i voti di più Europa (3,5) e dei Verdi (2,5), il centrosinistra è al 28 per cento circa. È un bel passo avanti. Più in generale è cambiata la dinamica politica. Questo è il punto. Fallito lo schema a due, di maggioranza e opposizione nell’ambito dello stesso governo, il centrosinistra è l’unica alternativa. C’è il governo, a trazione Salvini, con la complicità dei Cinque Stelle, privi della forza contrattuale per contrastarlo e della volontà, per ora, di farlo saltare. E c’è l’alternativa del centrosinistra. L’ambiguità è finita.
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Italia, vergogna d'Europa! ( P.A.)
E Conte? ( estratto da IL GIORNALE, di Adalberto Signore)
Da questa mattina Giuseppe Conte è un premier con un gigantesco bersaglio disegnato sulla schiena. Il risultato uscito dalle urne, infatti, ribalta completamente i rapporti di forza tra le due leadership che guidano l'autoproclamato "governo del cambiamento". La Lega di Matteo Salvini stravince la tornata elettorale, il M5s di Luigi Di Maio è invece il grande sconfitto, ben oltre ogni più cupa previsione. I Cinque stelle vengono scavalcati dal Pd e sembrano destinati a finire sotto la soglia psicologica del 20%. Uno scenario che rischia seriamente di far esplodere tutte quelle contraddizioni e conflittualità che hanno caratterizzato gli ultimi mesi dell'esecutivo. Ne è ben consapevole lo stesso presidente del Consiglio, che ieri sera sul punto non ha avuto esitazioni. "Se Luigi non lavorerà a trovare dei compromessi con Salvini, se non saprà adeguarsi ai nuovi equilibri, non farà altro - confidava in privato ai suoi ieri notte - che dargli il pretesto per rompere. Io, per quanto mi riguarda, non ho alcuna intenzione di farmi massacrare"...
Lega vince, Movimento perde. Ci siamo sbagliati sulle previsioni
I due dati incontrovertibili sono che la Lega vince, anzi stra-vince, e il MoVimento perde, anzi tracolla.
E per il resto? Per il resto, ma non di poco conto, il PD esiste. Ancora; la Meloni raddoppia i suoi consensi, Berlusconi lentamente ma inesorabilmente - voto dopo voto - esce di scena, i partiti della sinistra italiani restano al palo, sono cioè ininfluenti se continuano ad andare in ordine sparso e a esercitarsi nel mettere il bastone fra le ruote, volendo da lui distinguersi ad ogni costo, le pulci al partito, ora guidato da Zingaretti.
Questo il panorama nuovo che esce dalle Europee. Già, trattasi di elezioni europee. E in Italia? Premesso che le rassicurazione di Salvini, con il rosario fra le mani, sono le rassicurazioni di un 'baro', il Governo continuerà, sì, con la maggioranza presente nel Parlamento italiano, a favore del Movimento, ma solo fino a quando il 'Nero' deciderà di forzare sui punti che, secondo la sua visione, gli elettori gli avrebbero ordinato di insistere, senza altro indugio.
Adesso cominciano nuove danze, a guidare le quali nella coppia al governo non è più chi ne aveva reclamato il diritto a seguito dei risultati delle ultime elezioni politiche.
Adesso le cose no stanno più in questi termini e qualcosa cambierà. Cosa, come e quando più precisamente, sono le uniche incognite. Ma che le cose cambieranno è cosa certa. Ma in Italia, più che in Europa, dove i sovranisti non hanno ottenuto risultanti brillanti.
E per il resto? Per il resto, ma non di poco conto, il PD esiste. Ancora; la Meloni raddoppia i suoi consensi, Berlusconi lentamente ma inesorabilmente - voto dopo voto - esce di scena, i partiti della sinistra italiani restano al palo, sono cioè ininfluenti se continuano ad andare in ordine sparso e a esercitarsi nel mettere il bastone fra le ruote, volendo da lui distinguersi ad ogni costo, le pulci al partito, ora guidato da Zingaretti.
Questo il panorama nuovo che esce dalle Europee. Già, trattasi di elezioni europee. E in Italia? Premesso che le rassicurazione di Salvini, con il rosario fra le mani, sono le rassicurazioni di un 'baro', il Governo continuerà, sì, con la maggioranza presente nel Parlamento italiano, a favore del Movimento, ma solo fino a quando il 'Nero' deciderà di forzare sui punti che, secondo la sua visione, gli elettori gli avrebbero ordinato di insistere, senza altro indugio.
Adesso cominciano nuove danze, a guidare le quali nella coppia al governo non è più chi ne aveva reclamato il diritto a seguito dei risultati delle ultime elezioni politiche.
Adesso le cose no stanno più in questi termini e qualcosa cambierà. Cosa, come e quando più precisamente, sono le uniche incognite. Ma che le cose cambieranno è cosa certa. Ma in Italia, più che in Europa, dove i sovranisti non hanno ottenuto risultanti brillanti.
domenica 26 maggio 2019
Sulla mancata avanzata di Salvini, c'è chi la pensa come noi ( da LA STAMPA)
L’Italia arriva oggi al doppio appuntamento del voto con Europee e amministrative dopo una vigilia agitata dalle polemiche sul silenzio elettorale. L’attore principale è il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che con il consueto protagonismo sui social, da Facebook a Twitter, e gli inviti a votare Lega scatena le reazioni dell’opposizione, Pd in testa. «Salvini sta violando vergognosamente le regole che dovrebbe per primo rispettare», scrive Matteo Renzi su Facebook. Attaccano anche Carlo Calenda e Laura Boldrini, il Codacons annuncia denunce nei confronti degli esponenti politici che «si sono scatenati su web e social in piena violazione della normativa vigente». Complici leggi datate, varate tra il 1956 e il 1984, non basta evidentemente l’indicazione dell’Autorità garante per le Comunicazioni (Agcom) che ha sollecitato il rispetto del silenzio anche sui social network. L’appello al voto arriva anche, via Twitter, dal ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana, mentre in Campania esplode il caso che costringe alle scuse il direttore della Tgr Alessandro Casarin a causa di due dichiarazioni del ministro dell’Interno e del sindaco Luigi De Magistris andate in onda su Rai3 nel corso di un servizio sulla criminalità a Napoli.
n questo clima si apre l’lection day, che riguarderà anche il Piemonte e oltre 3.800 Comuni. Le urne resteranno aperte dalle 7 alle 23 per 50.952.719 elettori, chiamati a eleggere 76 deputati europei (tre diventeranno effettivi solo quando il Regno Unito lascerà la Ue) su 751 parlamentari. Il sistema è un proporzionale puro , con l’unico limite dello sbarramento del 4%. Il voto per l’Europarlamento prevede la possibilità di esprimere oltre al voto di lista (sbarrando il simbolo o il rettangolo che lo contiene) da una a tre preferenze (nome e cognome, o solo il cognome). Nel caso si vogliano esprimere più preferenze, sarà necessario votare per candidati di sesso diverso: viceversa, le preferenze successive alla prima saranno annullate. (La fonte delle tre proposte dei partiti è il blog Valigia Blu).
(Maria Rosaria Tommasello)
Di Maio (M5S): parte perdente ma resterà il capo
Tutto può diventare relativo in politica, soprattutto le sconfitte. E i 5 Stelle sono maestri nel trasformare un crollo nel suo esatto contrario. La cifra da tenere in considerazione è: 21,2 per cento. È quanto il Movimento prese cinque anni fa, alle Europee del 2014. Quelle stravinte da Matteo Renzi, quelle dell’ironica ammissione di Beppe Grillo che si calò un Maalox, mettendo in soffitta lo slogan «Vinciamo noi». Se il consenso di Luigi Di Maio resterà sopra la soglia del 21,2 sarà una festa in casa grillina, ancora di più se la Lega dovesse assestarsi intorno al 30 per cento, o, magari, qualcosina in meno. In quel caso addirittura leggeremo un trionfo sui volti dei 5 Stelle.
Bizzarrie delle politica: nonostante la perdita di oltre il dieci per cento di voti sulle elezioni del 2018, nonostante il consenso raddoppiato di Matteo Salvini e il ribaltamento tra alleati gialloverdi, sarà Di Maio a guidare il trenino dei festeggiamenti. Perché così è quando la narrazione di mesi di sondaggi celestiali sedimenta la certezza di un’apoteosi salviniana che potrebbe arrivare ma ridimensionata. Il ciclostile del M5S è già in azione con titoli entusiasti da diffondere alla prima luce dei risultati: «Abbiamo fatto meglio delle Europee di cinque anni fa». Oppure: «Questo è un voto sull’Europa, non era un voto nazionale».
Tattica di sopravvivenza all’onda d’urto mediatica che comunque si abbatterà su Di Maio. Il capo politico grillino sa di arrivare all’appuntamento elettorale come «il perdente predestinato». Ma in questi anni il leader dei 5 Stelle ha saputo irrobustire le spalle alle valanghe di critiche che dall’interno e dall’esterno gli sono piovute addosso. Il Movimento è nella posizione più complicata: deve guardarsi da Salvini e dalla quantità di voti che misureranno la distanza tra Lega e M5S. Ma soprattutto deve sperare che non riesca al Pd il sorpasso per il secondo posto. Il punto di forza per Di Maio, invece, resta sempre lo stesso. Il M5S non ha alternative al giovane leader che ondeggia tra convinzioni e posizionamenti politici a seconda della convenienza. «Salvini dica prima del voto se vuole finirla con il governo, avverte Di Maio: «Lunedì subito salario minimo e flat tax». Vezzeggiamenti che tradiscono una voglia matta di restare al governo e di trasformare la guerra a Salvini in una docile convivenza.
(Ilario Lombardo)
Nicola Zingaretti (Pd): la sua vittoria passa dal sorpasso sui 5S
Si può dire senza mezzi termini che in questa tornata di europee ed amministrative Nicola Zingaretti si gioca l’osso del collo. Lui terrà conto di due asticelle: quella del 20%, sopra la quale potrebbe mettersi al riparo dal «fuoco amico», dimostrando di aver fatto meglio di Renzi un anno fa, quando il Pd si fermò sopra il 18%. Ma è il secondo posto in classifica la vera posta in gioco. Strapparlo a Di Maio, ora che i sondaggi fotografano da settimane un’inversione di tendenza per M5S, sarebbe un risultato per lui straordinario.
Lo proietterebbe nell’Olimpo della sinistra, aprendo nuovi orizzonti: un dialogo con i grillini alla prossima legislatura potrebbe esser reso via via più digeribile se giocato da una posizione di forza numerica. Per questo alcuni suoi dirigenti sostengono che dopo le europee il Pd dovrà interrogarsi sulle possibili future alleanze, sperando in un’implosione e in una ricomposizione del mondo 5Stelle. La terza asticella da tenere d’occhio sarà non solo la tenuta o meno di una regione cruciale come il Piemonte; ma pure lo sconfinamento assai temuto di Salvini nelle terre emiliane di comuni come Modena, Reggio Emilia, Forlì, che vanno al voto.
Il che accenderebbe i riflettori su quella che ancora è un’incompiuta di Zingaretti: la rifondazione totale di un partito con sempre meno appeal nelle regioni rosse. E ancorato, specie al sud, a una classe dirigente legata al passato. Una rigenerazione con innesti di volti nuovi per rilanciare il brand logoro del Pd. Non solo tra le nuove generazioni più sensibili all’ambientalismo, ma anche nel ceto medio impoverito dalla crisi e tra le nuove figure professionali e imprenditoriali dell’Italia più produttiva e proiettata nel futuro. Ed è pure per affrancarsi dal peso di capi corrente che il segretario punta al voto anticipato. «Se dopo le europee cade il governo vuol dire che ho vinto io», va dicendo per far passare il messaggio che il vero obiettivo è dare la spallata a questo esecutivo.
Al di là di un’improbabile ritorno al governo, la corsa alle politiche consentirebbe a Zingaretti di non logorarsi in un partito ancora a trazione renziana, facendogli eleggere a breve gruppi parlamentari più a sua immagine e somiglianza.
(Carlo Bertini)
Salvini (Lega): sogna tre milioni di preferenze
C’è una sfida che Matteo Salvini si riserva di incassare, ma solo a cose fatte. E infatti è una sfida che per ora non ha mai lanciato in pubblico: superare il record di «tutti i tempi» delle preferenze personali alle elezioni Europee. Certo, può apparire un surrogato della sfida principale che resta quella di portare il vecchio, piccolo Carroccio bossiano a diventare il primo partito italiano e una delle più consistenti forze politiche europee. Ma Salvini sa che l’investitura plebiscitaria da parte del “suo” popolo avrebbe l’effetto di completare la sua mission più ambiziosa: diventare il “Capitano dell’Italia” e non solo della Lega.
E d’altra parte in 40 anni di Europee tutti i leader si sono cimentati con la partita delle preferenze. Foriera spesso di grandi gratificazioni, perché poche altre cose come il voto personale accarezzano l’ego dei capi, certificando ogni ragionevole dubbio un bene immateriale decisivo: il rapporto di fiducia tra il leader e gli elettori. Silvio Berlusconi si è vantato più volte per i suoi risultati clamorosi, in particolare per le 992.657 preferenze ottenute nella sola Circoscrizione Nord-ovest nelle elezioni del 1999, che aprirono la strada alla sua riconquista di palazzo Chigi nel 2001. Anche se il “re” (insuperato) delle preferenze in una sola Circoscrizione resta una personalità della Prima Repubblica come Ciriaco De Mita, che nel 1984 (da segretario della Dc) ottenne nel suo Sud la bellezza di 1.005.847 voti personali, un exploit che lo colloca al primo posto nella ideale classifica di «tutti i tempi».
Ma nella gara delle preferenze. c’è anche quella che somma i voti personali ottenuti in tutte e cinque le Circoscrizioni. In questa specialità il campionissimo è Silvio Berlusconi, che nell’indimenticabile 1994 riuscì a collezionare una montagna di preferenze: ben 2.995.000. Ed è questa la montagna che a Salvini piacerebbe scalare: il capo della Lega ha deciso di presentarsi come capolista in tutte e cinque le aree del Paese. Anche se non ha mai esplicitato la sfida, il capo della Lega conta di superare il record dei record, quello di Berlusconi. Ma per scavalcare il Cavaliere, Salvini dovrebbe valicare una quota sinora mai raggiunta da nessuno: 3 milioni di preferenze.
(Fabio Martini)
Silvio Berlusconi (Forza Italia): Deve sperare nel flop di Meloni
Per Berlusconi conteranno tre percentuali: la propria, quella di Salvini, più la somma aritmetica tra Fratelli d’Italia e Lega. Anzi, l’ultima cifra sarà quella davvero decisiva per la sorte politica del Cavaliere. Il quale rimane in campo nella speranza di levarsi qualche residua soddisfazione. All’età sua (82 anni compiuti) gli piacerebbe sentirsi ancora una volta il perno, l’ago della bilancia, «l’Imprescindibile». Dunque l’ideale per lui sarebbe che Salvini e Meloni stasera non facessero bingo; in altre parole, che quei due insieme si fermassero al 35-36 per cento, non oltre, restando ben lontani dalla soglia del 40-41 necessaria per conquistare la maggioranza del Parlamento.
Con il sistema elettorale inaugurato l’anno scorso, mancherebbero due milioni di voti ai sogni di gloria. E chi è che a punto potrebbe intervenire per colmare la differenza? Risposta esatta: un ex premier di casa ad Arcore. Il quale già pregusta la visita di Giorgia e Matteo con il berretto in mano che si scusano per averlo trattato da nonno e gli chiedono l’aiuto decisivo. Il suo immenso Ego ne sarebbe comunque gratificato.
Che poi Forza Italia superi quota 10 per cento, ai suoi occhi conta relativamente. Un po’ perché Silvio è stanco di regalare poltrone a gente che di voti non porta nemmeno il proprio. E poi per una ragione più sottile, quasi sofisticata. La doppia cifra di per sé non significa un bel niente. Il fuggi-fuggi verso Salvini ci sarebbe perfino con Berlusconi al 12, qualora il Capitano superasse di slancio il 30. La forza di attrazione leghista sarebbe irresistibile e molti gerarchi del Cav correrebbero in soccorso del futuro padrone. Mentre quegli stessi personaggi ci penserebbero due volte a lasciare Forza Italia nel caso in cui l’apporto di Berlusconi risultasse determinante: si sentirebbero meglio garantiti restando dove sono. Idem qualora l’astro del Capitano apparisse stasera un tantino appannato. Con la Lega al di sotto delle aspettative, tanti potenziali traditori si domanderebbero se ne vale la pena. Tanto più qualora Salvini indugiasse a governare con i Cinque stelle, logorandosi ogni giorno un po’. Ecco perché l’ex premier, nonostante tutto, ancora ci spera.
(Ugo Magri)
n questo clima si apre l’lection day, che riguarderà anche il Piemonte e oltre 3.800 Comuni. Le urne resteranno aperte dalle 7 alle 23 per 50.952.719 elettori, chiamati a eleggere 76 deputati europei (tre diventeranno effettivi solo quando il Regno Unito lascerà la Ue) su 751 parlamentari. Il sistema è un proporzionale puro , con l’unico limite dello sbarramento del 4%. Il voto per l’Europarlamento prevede la possibilità di esprimere oltre al voto di lista (sbarrando il simbolo o il rettangolo che lo contiene) da una a tre preferenze (nome e cognome, o solo il cognome). Nel caso si vogliano esprimere più preferenze, sarà necessario votare per candidati di sesso diverso: viceversa, le preferenze successive alla prima saranno annullate. (La fonte delle tre proposte dei partiti è il blog Valigia Blu).
(Maria Rosaria Tommasello)
Di Maio (M5S): parte perdente ma resterà il capo
Tutto può diventare relativo in politica, soprattutto le sconfitte. E i 5 Stelle sono maestri nel trasformare un crollo nel suo esatto contrario. La cifra da tenere in considerazione è: 21,2 per cento. È quanto il Movimento prese cinque anni fa, alle Europee del 2014. Quelle stravinte da Matteo Renzi, quelle dell’ironica ammissione di Beppe Grillo che si calò un Maalox, mettendo in soffitta lo slogan «Vinciamo noi». Se il consenso di Luigi Di Maio resterà sopra la soglia del 21,2 sarà una festa in casa grillina, ancora di più se la Lega dovesse assestarsi intorno al 30 per cento, o, magari, qualcosina in meno. In quel caso addirittura leggeremo un trionfo sui volti dei 5 Stelle.
Bizzarrie delle politica: nonostante la perdita di oltre il dieci per cento di voti sulle elezioni del 2018, nonostante il consenso raddoppiato di Matteo Salvini e il ribaltamento tra alleati gialloverdi, sarà Di Maio a guidare il trenino dei festeggiamenti. Perché così è quando la narrazione di mesi di sondaggi celestiali sedimenta la certezza di un’apoteosi salviniana che potrebbe arrivare ma ridimensionata. Il ciclostile del M5S è già in azione con titoli entusiasti da diffondere alla prima luce dei risultati: «Abbiamo fatto meglio delle Europee di cinque anni fa». Oppure: «Questo è un voto sull’Europa, non era un voto nazionale».
Tattica di sopravvivenza all’onda d’urto mediatica che comunque si abbatterà su Di Maio. Il capo politico grillino sa di arrivare all’appuntamento elettorale come «il perdente predestinato». Ma in questi anni il leader dei 5 Stelle ha saputo irrobustire le spalle alle valanghe di critiche che dall’interno e dall’esterno gli sono piovute addosso. Il Movimento è nella posizione più complicata: deve guardarsi da Salvini e dalla quantità di voti che misureranno la distanza tra Lega e M5S. Ma soprattutto deve sperare che non riesca al Pd il sorpasso per il secondo posto. Il punto di forza per Di Maio, invece, resta sempre lo stesso. Il M5S non ha alternative al giovane leader che ondeggia tra convinzioni e posizionamenti politici a seconda della convenienza. «Salvini dica prima del voto se vuole finirla con il governo, avverte Di Maio: «Lunedì subito salario minimo e flat tax». Vezzeggiamenti che tradiscono una voglia matta di restare al governo e di trasformare la guerra a Salvini in una docile convivenza.
(Ilario Lombardo)
Nicola Zingaretti (Pd): la sua vittoria passa dal sorpasso sui 5S
Si può dire senza mezzi termini che in questa tornata di europee ed amministrative Nicola Zingaretti si gioca l’osso del collo. Lui terrà conto di due asticelle: quella del 20%, sopra la quale potrebbe mettersi al riparo dal «fuoco amico», dimostrando di aver fatto meglio di Renzi un anno fa, quando il Pd si fermò sopra il 18%. Ma è il secondo posto in classifica la vera posta in gioco. Strapparlo a Di Maio, ora che i sondaggi fotografano da settimane un’inversione di tendenza per M5S, sarebbe un risultato per lui straordinario.
Lo proietterebbe nell’Olimpo della sinistra, aprendo nuovi orizzonti: un dialogo con i grillini alla prossima legislatura potrebbe esser reso via via più digeribile se giocato da una posizione di forza numerica. Per questo alcuni suoi dirigenti sostengono che dopo le europee il Pd dovrà interrogarsi sulle possibili future alleanze, sperando in un’implosione e in una ricomposizione del mondo 5Stelle. La terza asticella da tenere d’occhio sarà non solo la tenuta o meno di una regione cruciale come il Piemonte; ma pure lo sconfinamento assai temuto di Salvini nelle terre emiliane di comuni come Modena, Reggio Emilia, Forlì, che vanno al voto.
Il che accenderebbe i riflettori su quella che ancora è un’incompiuta di Zingaretti: la rifondazione totale di un partito con sempre meno appeal nelle regioni rosse. E ancorato, specie al sud, a una classe dirigente legata al passato. Una rigenerazione con innesti di volti nuovi per rilanciare il brand logoro del Pd. Non solo tra le nuove generazioni più sensibili all’ambientalismo, ma anche nel ceto medio impoverito dalla crisi e tra le nuove figure professionali e imprenditoriali dell’Italia più produttiva e proiettata nel futuro. Ed è pure per affrancarsi dal peso di capi corrente che il segretario punta al voto anticipato. «Se dopo le europee cade il governo vuol dire che ho vinto io», va dicendo per far passare il messaggio che il vero obiettivo è dare la spallata a questo esecutivo.
Al di là di un’improbabile ritorno al governo, la corsa alle politiche consentirebbe a Zingaretti di non logorarsi in un partito ancora a trazione renziana, facendogli eleggere a breve gruppi parlamentari più a sua immagine e somiglianza.
(Carlo Bertini)
Salvini (Lega): sogna tre milioni di preferenze
C’è una sfida che Matteo Salvini si riserva di incassare, ma solo a cose fatte. E infatti è una sfida che per ora non ha mai lanciato in pubblico: superare il record di «tutti i tempi» delle preferenze personali alle elezioni Europee. Certo, può apparire un surrogato della sfida principale che resta quella di portare il vecchio, piccolo Carroccio bossiano a diventare il primo partito italiano e una delle più consistenti forze politiche europee. Ma Salvini sa che l’investitura plebiscitaria da parte del “suo” popolo avrebbe l’effetto di completare la sua mission più ambiziosa: diventare il “Capitano dell’Italia” e non solo della Lega.
E d’altra parte in 40 anni di Europee tutti i leader si sono cimentati con la partita delle preferenze. Foriera spesso di grandi gratificazioni, perché poche altre cose come il voto personale accarezzano l’ego dei capi, certificando ogni ragionevole dubbio un bene immateriale decisivo: il rapporto di fiducia tra il leader e gli elettori. Silvio Berlusconi si è vantato più volte per i suoi risultati clamorosi, in particolare per le 992.657 preferenze ottenute nella sola Circoscrizione Nord-ovest nelle elezioni del 1999, che aprirono la strada alla sua riconquista di palazzo Chigi nel 2001. Anche se il “re” (insuperato) delle preferenze in una sola Circoscrizione resta una personalità della Prima Repubblica come Ciriaco De Mita, che nel 1984 (da segretario della Dc) ottenne nel suo Sud la bellezza di 1.005.847 voti personali, un exploit che lo colloca al primo posto nella ideale classifica di «tutti i tempi».
Ma nella gara delle preferenze. c’è anche quella che somma i voti personali ottenuti in tutte e cinque le Circoscrizioni. In questa specialità il campionissimo è Silvio Berlusconi, che nell’indimenticabile 1994 riuscì a collezionare una montagna di preferenze: ben 2.995.000. Ed è questa la montagna che a Salvini piacerebbe scalare: il capo della Lega ha deciso di presentarsi come capolista in tutte e cinque le aree del Paese. Anche se non ha mai esplicitato la sfida, il capo della Lega conta di superare il record dei record, quello di Berlusconi. Ma per scavalcare il Cavaliere, Salvini dovrebbe valicare una quota sinora mai raggiunta da nessuno: 3 milioni di preferenze.
(Fabio Martini)
Silvio Berlusconi (Forza Italia): Deve sperare nel flop di Meloni
Per Berlusconi conteranno tre percentuali: la propria, quella di Salvini, più la somma aritmetica tra Fratelli d’Italia e Lega. Anzi, l’ultima cifra sarà quella davvero decisiva per la sorte politica del Cavaliere. Il quale rimane in campo nella speranza di levarsi qualche residua soddisfazione. All’età sua (82 anni compiuti) gli piacerebbe sentirsi ancora una volta il perno, l’ago della bilancia, «l’Imprescindibile». Dunque l’ideale per lui sarebbe che Salvini e Meloni stasera non facessero bingo; in altre parole, che quei due insieme si fermassero al 35-36 per cento, non oltre, restando ben lontani dalla soglia del 40-41 necessaria per conquistare la maggioranza del Parlamento.
Con il sistema elettorale inaugurato l’anno scorso, mancherebbero due milioni di voti ai sogni di gloria. E chi è che a punto potrebbe intervenire per colmare la differenza? Risposta esatta: un ex premier di casa ad Arcore. Il quale già pregusta la visita di Giorgia e Matteo con il berretto in mano che si scusano per averlo trattato da nonno e gli chiedono l’aiuto decisivo. Il suo immenso Ego ne sarebbe comunque gratificato.
Che poi Forza Italia superi quota 10 per cento, ai suoi occhi conta relativamente. Un po’ perché Silvio è stanco di regalare poltrone a gente che di voti non porta nemmeno il proprio. E poi per una ragione più sottile, quasi sofisticata. La doppia cifra di per sé non significa un bel niente. Il fuggi-fuggi verso Salvini ci sarebbe perfino con Berlusconi al 12, qualora il Capitano superasse di slancio il 30. La forza di attrazione leghista sarebbe irresistibile e molti gerarchi del Cav correrebbero in soccorso del futuro padrone. Mentre quegli stessi personaggi ci penserebbero due volte a lasciare Forza Italia nel caso in cui l’apporto di Berlusconi risultasse determinante: si sentirebbero meglio garantiti restando dove sono. Idem qualora l’astro del Capitano apparisse stasera un tantino appannato. Con la Lega al di sotto delle aspettative, tanti potenziali traditori si domanderebbero se ne vale la pena. Tanto più qualora Salvini indugiasse a governare con i Cinque stelle, logorandosi ogni giorno un po’. Ecco perché l’ex premier, nonostante tutto, ancora ci spera.
(Ugo Magri)
sabato 25 maggio 2019
RADIO RADICALE scrive al Presidente MATTARELLA
Ci rivolgiamo a Lei quale garante dei principi della Costituzione che all'articolo 21 afferma il diritto di tutti i cittadini ad informare, informarsi ed essere informati, perché crediamo che il servizio pubblico garantito da Radio radicale, così ben descritto nella segnalazione urgente dell'Agcom, meriti di non finire e meriti per ciò una Sua dichiarazione". Così il Cdr dell'emittente radiofonica in una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
"Le decisioni prese dal governo con la legge di Bilancio- prosegue la lettera- mettono a rischio dopo 43 anni la vita di Radio radicale. In queste settimane abbiamo ricevuto sostegno da ogni parte: partiti politici e singoli parlamentari, sindaci e amministrazioni locali, società scientifiche e personalità del mondo accademico, fondazioni culturali, tutte le componenti della magistratura associata, avvocati penalisti, civilisti e amministrativisti, scrittori, registi, attori, decine e decine di migliaia di cittadini. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella sua segnalazione urgente al governo, ha definito quello di Radio radicale un servizio di interesse generale che come tale non deve essere interrotto e che va garantito fino al generale riassetto del sistema e ad un nuovo bando di gara".
"La decisione di non ammettere gli emendamenti al 'decreto crescita'- spiegano- va però in direzione opposta e pone una seria ipoteca sul proseguimento del nostro lavoro. Tolto il solo Movimento 5 Stelle, che comunque ha visto emergere al suo interno posizioni diverse, sulla vicenda di Radio radicale si e' formata una vera e propria unità nazionale che chiede di essere rappresentata. EsprimendoLe i sentimenti di massimo rispetto per il Suo ruolo e la Sua persona. Le chiediamo di valutare l'opportunità di un Suo intervento in merito. Non si tratta solo della sopravvivenza di una testata giornalistica ma piu' in generale della questione dell'informazione e della democrazia nel nostro Paese".
"Le decisioni prese dal governo con la legge di Bilancio- prosegue la lettera- mettono a rischio dopo 43 anni la vita di Radio radicale. In queste settimane abbiamo ricevuto sostegno da ogni parte: partiti politici e singoli parlamentari, sindaci e amministrazioni locali, società scientifiche e personalità del mondo accademico, fondazioni culturali, tutte le componenti della magistratura associata, avvocati penalisti, civilisti e amministrativisti, scrittori, registi, attori, decine e decine di migliaia di cittadini. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella sua segnalazione urgente al governo, ha definito quello di Radio radicale un servizio di interesse generale che come tale non deve essere interrotto e che va garantito fino al generale riassetto del sistema e ad un nuovo bando di gara".
"La decisione di non ammettere gli emendamenti al 'decreto crescita'- spiegano- va però in direzione opposta e pone una seria ipoteca sul proseguimento del nostro lavoro. Tolto il solo Movimento 5 Stelle, che comunque ha visto emergere al suo interno posizioni diverse, sulla vicenda di Radio radicale si e' formata una vera e propria unità nazionale che chiede di essere rappresentata. EsprimendoLe i sentimenti di massimo rispetto per il Suo ruolo e la Sua persona. Le chiediamo di valutare l'opportunità di un Suo intervento in merito. Non si tratta solo della sopravvivenza di una testata giornalistica ma piu' in generale della questione dell'informazione e della democrazia nel nostro Paese".
SALVINI NON VINCERA'. SCOMMETTIAMO?
Posso affermare in prima persona che l'avanzata sbandierata da Salvini non ci sarà? Ne sono convinto e spiego perchè.
Perchè gli italiani, per quanto sempre disposti a dare ragione all'ultimo arrivato e a salire sul carro del possibile vincitore per non restare a terra, sono altrettanto solleciti ad abbandonare chi ritengono li abbia presi in giro, come nel caso di Salvini.
Tanto per fare un esempio, a proposito del Salvini convertito al cattolicesimo e che si propone addirittura, pur non osservante e peccatore, come difensore dei valori della nostra religione.
Ieri, con l'uscita del numero unico de L'Unità, il quotidiano, un tempo comunista fondato da Gramsci, per volontà del suo editore Pessina che non vuole perdere la proprietà della testata, si è notata la firma di Maurizio Belpietro come direttore. Un favore? no, uno scherzo da Belpietro, il quale si è ripagato co un trafiletto in prima pagina, ripreso nelle seguenti, nel quale viene cantata la conversione di Salvini, in controtendenza di tutto quello che anche la Chiesa gli aveva rimproverato: non servirsi di simboli religiosi per i propri c...
Belpietro racconta - fingendo di esserne convinto e quindi di raccontare la 'Verità, non il suo giornale!- di come la diplomazia ( una diplomazia per La Lega è tutto dire!) salviniana stia lavorando a tappe forzate per avvicinarsi al Vaticano, dove regna Papa Francesco, il papa gesuita tante volte sbeffeggiato dal cattolico per finta Salvini, quello con il rosario e pellegrino da Padre Pio e dalla madonna iugoslava.
Salvini , che Bergoglio non vuole ricevere per fargli rimangiare le sue posizioni disumane nei confronti dei migranti e dell'altro in generale, il ministro 'de paura' come l'ha definito Saviano, ha fatto visita all'ospedale pediatrico vaticano 'Bambino Gesù'. Ha parlato con la sua presidente, da lei si è fatto spiegare i piani di sviluppo dell'ospedale anche all'estero, nei paesi più poveri della terra, in funzione della cura dei bambini malati (quegli stessi che spesso Salvini ha tenuto in quarantena sulle navi delle ong, fottendosene, lui padre amorevole ( ????), della loro salute) ed ha assicurato la sua collaborazione a tali progetti.
Ora chi può credere a questo benefattore interessato a scopi elettorali? Belpietro ci crede? No, per un attimo ha scambiato L'Unità con la Verità, il suo giornale, per via della rima, ed ha fatto campagna elettorale per Salvini.
Da tempo immemorabile che la Chiesa non entrava direttamente nell'agone politico come ha fatto a proposito di Salvini, smascherando le sue manovre filo cattoliche per prendere voti.
E siccome Salvini teme la Chiesa, che avrà pure tutte le colpe che sappiamo ma che ora sta tentando di fare pulizia, ecco che tenta di servirsene facendo finta di battersi il petto per i numerosi suoi peccati - e sono tanti, alcuni li ha ammessi egli medesimo - dimenticando però un passaggio obbligato della fede cristiana che è quello di pentirsene e di non commetterli ancora.
Comunque alla vigilia delle elezioni tutti si danno da fare, fanno promesse che sicuramente non potranno mantenere, come ha fatto Bussetti che assicura l'assunzione di 50.000 precari circa della scuola; o Di Maio che risolverà, ma domani, cioè dopo le elezioni, il problema di Radio Radicale e poi anche quello di Mercatone Uno. Ancora promesse, nonostante che di quelle già fatte nelle ultime settimane poche pochissime forse nessuna ancora, è stata mantenuta.
Per queste ed altre ragioni, siamo certi che Salvini non sfonderà come va dicendo sicuro, e che anzi arretrerà nonostante i sondaggi vittoriosi della vigilia.
E' accaduto già in qualche altro paese, dove i sodali di Salvini erano sicuri di guadagnare la maggioranza, vedi l'Olanda, e sono stati smentiti dai primi dati- E perchè non anche in ITALIA?
Perchè gli italiani, per quanto sempre disposti a dare ragione all'ultimo arrivato e a salire sul carro del possibile vincitore per non restare a terra, sono altrettanto solleciti ad abbandonare chi ritengono li abbia presi in giro, come nel caso di Salvini.
Tanto per fare un esempio, a proposito del Salvini convertito al cattolicesimo e che si propone addirittura, pur non osservante e peccatore, come difensore dei valori della nostra religione.
Ieri, con l'uscita del numero unico de L'Unità, il quotidiano, un tempo comunista fondato da Gramsci, per volontà del suo editore Pessina che non vuole perdere la proprietà della testata, si è notata la firma di Maurizio Belpietro come direttore. Un favore? no, uno scherzo da Belpietro, il quale si è ripagato co un trafiletto in prima pagina, ripreso nelle seguenti, nel quale viene cantata la conversione di Salvini, in controtendenza di tutto quello che anche la Chiesa gli aveva rimproverato: non servirsi di simboli religiosi per i propri c...
Belpietro racconta - fingendo di esserne convinto e quindi di raccontare la 'Verità, non il suo giornale!- di come la diplomazia ( una diplomazia per La Lega è tutto dire!) salviniana stia lavorando a tappe forzate per avvicinarsi al Vaticano, dove regna Papa Francesco, il papa gesuita tante volte sbeffeggiato dal cattolico per finta Salvini, quello con il rosario e pellegrino da Padre Pio e dalla madonna iugoslava.
Salvini , che Bergoglio non vuole ricevere per fargli rimangiare le sue posizioni disumane nei confronti dei migranti e dell'altro in generale, il ministro 'de paura' come l'ha definito Saviano, ha fatto visita all'ospedale pediatrico vaticano 'Bambino Gesù'. Ha parlato con la sua presidente, da lei si è fatto spiegare i piani di sviluppo dell'ospedale anche all'estero, nei paesi più poveri della terra, in funzione della cura dei bambini malati (quegli stessi che spesso Salvini ha tenuto in quarantena sulle navi delle ong, fottendosene, lui padre amorevole ( ????), della loro salute) ed ha assicurato la sua collaborazione a tali progetti.
Ora chi può credere a questo benefattore interessato a scopi elettorali? Belpietro ci crede? No, per un attimo ha scambiato L'Unità con la Verità, il suo giornale, per via della rima, ed ha fatto campagna elettorale per Salvini.
Da tempo immemorabile che la Chiesa non entrava direttamente nell'agone politico come ha fatto a proposito di Salvini, smascherando le sue manovre filo cattoliche per prendere voti.
E siccome Salvini teme la Chiesa, che avrà pure tutte le colpe che sappiamo ma che ora sta tentando di fare pulizia, ecco che tenta di servirsene facendo finta di battersi il petto per i numerosi suoi peccati - e sono tanti, alcuni li ha ammessi egli medesimo - dimenticando però un passaggio obbligato della fede cristiana che è quello di pentirsene e di non commetterli ancora.
Comunque alla vigilia delle elezioni tutti si danno da fare, fanno promesse che sicuramente non potranno mantenere, come ha fatto Bussetti che assicura l'assunzione di 50.000 precari circa della scuola; o Di Maio che risolverà, ma domani, cioè dopo le elezioni, il problema di Radio Radicale e poi anche quello di Mercatone Uno. Ancora promesse, nonostante che di quelle già fatte nelle ultime settimane poche pochissime forse nessuna ancora, è stata mantenuta.
Per queste ed altre ragioni, siamo certi che Salvini non sfonderà come va dicendo sicuro, e che anzi arretrerà nonostante i sondaggi vittoriosi della vigilia.
E' accaduto già in qualche altro paese, dove i sodali di Salvini erano sicuri di guadagnare la maggioranza, vedi l'Olanda, e sono stati smentiti dai primi dati- E perchè non anche in ITALIA?
A Cannes BELLOCCHIO TRA-DI-TO
Il film Parasite, di Bong Joon Ho, vince la Palma d'oro del 72/mo festival di Cannes.
Il film Atlantique di Mati Diop vince il Grand Prix di Cannes 2019.
Antonio Banderas, per Dolor y gloria di Pedro Almodovar, vince il premio come migliore attore al 72/mo festival di Cannes.
Emily Beckham, per il film Little Joe di Jessica Hausner, vince il premio come migliore attrice al festival di Cannes 2019.
I fratelli Jean Pierre e Luc Dardenne, per il film Young Ahmed, vincono il premio per la migliore regia al 72/mo festival di Cannes.
II film Les Miserables di Ladj Ly e Bacurau di Kleber Mendonca Filho e Juliano Dornelles vincono ex aequo il Premio della giuria a Cannes 2019.
Va a Portrait of a Lady on Fire di Celine Sciamma il premio per la migliore sceneggiatura al 72/mo festival di Cannes.
Al film It Must Be Heaven di Elia Suleiman va la menzione speciale del festival di Cannes 2019.
Il film Nuestras Madres di Cesar Diaz, dalla Semaine de la Critique, vince il premio Camera d'oro, migliore opera prima, al 72/mo festival di Cannes.
Il film Atlantique di Mati Diop vince il Grand Prix di Cannes 2019.
Antonio Banderas, per Dolor y gloria di Pedro Almodovar, vince il premio come migliore attore al 72/mo festival di Cannes.
Emily Beckham, per il film Little Joe di Jessica Hausner, vince il premio come migliore attrice al festival di Cannes 2019.
I fratelli Jean Pierre e Luc Dardenne, per il film Young Ahmed, vincono il premio per la migliore regia al 72/mo festival di Cannes.
II film Les Miserables di Ladj Ly e Bacurau di Kleber Mendonca Filho e Juliano Dornelles vincono ex aequo il Premio della giuria a Cannes 2019.
Va a Portrait of a Lady on Fire di Celine Sciamma il premio per la migliore sceneggiatura al 72/mo festival di Cannes.
Al film It Must Be Heaven di Elia Suleiman va la menzione speciale del festival di Cannes 2019.
Il film Nuestras Madres di Cesar Diaz, dalla Semaine de la Critique, vince il premio Camera d'oro, migliore opera prima, al 72/mo festival di Cannes.
Così se la piantano di rompere... sarà stato questo il cattivo pensiero dei membri del Governo? ( da LA REPUBBLICA, di Massimo Calandri)
Il segno dello scarpone del poliziotto sul fianco sinistro, sotto l’ascella: l’impronta del carrarmato — sulla pelle si distinguono chiaramente il tacco col resto della suola — si è fatta livida. È con quella pedata che gli hanno rotto una costola. Le due dita della mano sinistra, indice e medio, sono state frantumate a colpi di manganello. Stefano in quel momento era a terra, rannicchiato, con le mani cercava di proteggersi il capo da un diluvio di bastonate. «E meno male», spiega il primario del pronto soccorso, Paolo Cremonesi: «Altrimenti gli avrebbero sfondato la testa a bastonate». Il resto del corpo è tutto una piaga, che ora tende al viola: sulle reni, la spalla sinistra, la scapola destra, il petto, una coscia, entrambe le tibie, una caviglia. Ha un grosso bozzo sopra l’orecchio destro. «Selvaggi», si lascia scappare il medico.
Stefano Origone, il giornalista di Repubblica colpito a manganellate giovedì da un gruppo di poliziotti durante i tafferugli di Genova, è stato operato alla mano ieri pomeriggio all’ospedale Galliera: il chirurgo ha ridotto le fratture, le ossa erano «sbriciolate». Respira a fatica per via della costola a pezzi, quella mica si può ingessare. È ricoverato al piano terra, reparto intensivo. Una piccola stanza senza bagno, divisa con un altro paziente. Resterà in osservazione ancora un paio di giorni. È stato visitato da una psicologa. «Sto bene», ripete. Ma non è vero.
Dolori dappertutto
Gli fa male dappertutto. E non riesce a smettere di pensare a quegli agenti visti in azione giovedì pomeriggio: «Mi sembravano degli animali in gabbia: stanchi, esasperati dalle provocazioni degli antagonisti. Rabbiosi. Ad un certo punto ho avuto l’impressione che volessero solo andare al di là delle barriere in acciaio, sfogare tutta la loro frustrazione». Racconta delle forze dell’ordine, che in piazza Marsala dovevano proteggere tutti i genovesi e garantirne la sicurezza durante le proteste per il comizio di CasaPound. Parla degli agenti del reparto mobile, che abbandonata all’improvviso la “gabbia” sono partiti con una furibonda carica per motivi che devono ancora essere chiariti. Hanno cominciato a picchiare chiunque gli capitasse davanti. Il cronista di Repubblica terrorizzato gridava: «Sono un giornalista». Ma quelli, niente. Gli ha salvato la vita un funzionario di polizia, che dopo averlo riconosciuto gli ha fatto scudo col proprio corpo. Però intanto, quante botte.
Ieri lo ha contattato il Quirinale: Mattarella ha chiesto notizie del suo stato di salute. Anche Fico, presidente della Camera, lo ha cercato telefonicamente per sincerarsi delle sue condizioni. Il ministro dell’Interno Salvini, no. Origone ha ricevuto in ospedale la visita e le scuse ufficiali del questore di Genova, Vincenzo Ciarambino, e del capo della squadra mobile Marco Calì. Una telefonata del prefetto del capoluogo ligure, Fiamma Spena: «Mi dispiace tanto». Sul cellulare continuano ad arrivargli messaggi di solidarietà e richieste di perdono da parte di agenti e ufficiali. «Volevo rinnovarti le mie scuse ed auguranti una pronta guarigione», scrive via WhattsApp Giampiero Bove, il vicequestore che con ogni probabilità l’altro giorno gli ha salvato la vita. Invece Salvini, da cui dipende la polizia, non si è proprio fatto sentire. Neppure il premier Conte, nemmeno Di Maio.
Giovanni Toti, il governatore ligure di centro-destra, è andato a trovarlo di persona: «Anche io ho fatto il giornalista, e ho assistito a mille cariche della polizia: i caschi sugli occhi, gli scudi antiproiettile, le maschere antigas, i lacrimogeni… non vedi nulla, ti dicono che devi sgomberare e allora sgomberi. È stato un tragico errore».
Veramente in quel momento non stava accadendo nulla, gli ha risposto Origone. «Ci sta che possano avere sbagliato. La mattina si erano occupati di un presidio in porto, erano stanchi. Certo, questo non li giustifica», ha riconosciuto Toti. «In tutta questa storia ci guadagnano solo dieci squinternati di CasaPound: una città devastata, un giornalista picchiato, due auto incendiate e per loro una pubblicità che neanche Zingaretti, Salvini o Di Maio».
Secondo il governatore, i genovesi avrebbero dovuto autoregolamentarsi. «Se CasaPound è illegale, intervenga la Procura. Ma se non lo è, allora ha diritto a manifestare». E dunque? «Fategli dire quattro sciocchezze, non mischiatevi a chi tira sassi altrimenti ne diventate complici: andate da un’altra parte — che so, al Porto Antico — e manifestate in silenzio con al collo il cartello “CasaPound mi fa schifo”. Questo è il confronto». Gli ha replicato Stefania, la moglie di Stefano che da giovedì non lo lascia un secondo: «Io quelli di CasaPound li avrei mandati in qualche paesino in collina, come si fa coi rave party. Non nel centro della città».
L’ordine di caricare
Marco Bucci, sindaco (anche lui centro-destra) di Genova, a suo tempo ha negato il patrocinio al Gay Pride nel capoluogo ligure, giudicandolo «divisorio». Il primo cittadino ha telefonato nel pomeriggio, preferendo non parlare di quanto accaduto giovedì. «Mi ha chiesto come mi sentivo. Amareggiato». Invece il procuratore Francesco Cozzi nella sua chiamata qualche domanda sull’aggressione l’ha fatta. «Ma per ora ho solo dei flash, forse l’emozione è ancora troppo forte». Stefano si ricorda di militari e poliziotti «confusi, disorientati: i sottufficiali continuavano a rimetterli in riga, cercando di calmare gli animi mentre su di loro piovevano pietre e bottiglie. Un agente di mezza età estraeva dal tascapane dei lacrimogeni e li passava ad un collega. Aveva uno sguardo terribile. Carico d’odio». La carica. «Mi sono ritrovato a terra, gridavo fino a piangere. Poi un grosso scarpone vicino al volto. E all’improvviso, il buio».
Stefano Origone, il giornalista di Repubblica colpito a manganellate giovedì da un gruppo di poliziotti durante i tafferugli di Genova, è stato operato alla mano ieri pomeriggio all’ospedale Galliera: il chirurgo ha ridotto le fratture, le ossa erano «sbriciolate». Respira a fatica per via della costola a pezzi, quella mica si può ingessare. È ricoverato al piano terra, reparto intensivo. Una piccola stanza senza bagno, divisa con un altro paziente. Resterà in osservazione ancora un paio di giorni. È stato visitato da una psicologa. «Sto bene», ripete. Ma non è vero.
Dolori dappertutto
Gli fa male dappertutto. E non riesce a smettere di pensare a quegli agenti visti in azione giovedì pomeriggio: «Mi sembravano degli animali in gabbia: stanchi, esasperati dalle provocazioni degli antagonisti. Rabbiosi. Ad un certo punto ho avuto l’impressione che volessero solo andare al di là delle barriere in acciaio, sfogare tutta la loro frustrazione». Racconta delle forze dell’ordine, che in piazza Marsala dovevano proteggere tutti i genovesi e garantirne la sicurezza durante le proteste per il comizio di CasaPound. Parla degli agenti del reparto mobile, che abbandonata all’improvviso la “gabbia” sono partiti con una furibonda carica per motivi che devono ancora essere chiariti. Hanno cominciato a picchiare chiunque gli capitasse davanti. Il cronista di Repubblica terrorizzato gridava: «Sono un giornalista». Ma quelli, niente. Gli ha salvato la vita un funzionario di polizia, che dopo averlo riconosciuto gli ha fatto scudo col proprio corpo. Però intanto, quante botte.
Ieri lo ha contattato il Quirinale: Mattarella ha chiesto notizie del suo stato di salute. Anche Fico, presidente della Camera, lo ha cercato telefonicamente per sincerarsi delle sue condizioni. Il ministro dell’Interno Salvini, no. Origone ha ricevuto in ospedale la visita e le scuse ufficiali del questore di Genova, Vincenzo Ciarambino, e del capo della squadra mobile Marco Calì. Una telefonata del prefetto del capoluogo ligure, Fiamma Spena: «Mi dispiace tanto». Sul cellulare continuano ad arrivargli messaggi di solidarietà e richieste di perdono da parte di agenti e ufficiali. «Volevo rinnovarti le mie scuse ed auguranti una pronta guarigione», scrive via WhattsApp Giampiero Bove, il vicequestore che con ogni probabilità l’altro giorno gli ha salvato la vita. Invece Salvini, da cui dipende la polizia, non si è proprio fatto sentire. Neppure il premier Conte, nemmeno Di Maio.
Giovanni Toti, il governatore ligure di centro-destra, è andato a trovarlo di persona: «Anche io ho fatto il giornalista, e ho assistito a mille cariche della polizia: i caschi sugli occhi, gli scudi antiproiettile, le maschere antigas, i lacrimogeni… non vedi nulla, ti dicono che devi sgomberare e allora sgomberi. È stato un tragico errore».
Veramente in quel momento non stava accadendo nulla, gli ha risposto Origone. «Ci sta che possano avere sbagliato. La mattina si erano occupati di un presidio in porto, erano stanchi. Certo, questo non li giustifica», ha riconosciuto Toti. «In tutta questa storia ci guadagnano solo dieci squinternati di CasaPound: una città devastata, un giornalista picchiato, due auto incendiate e per loro una pubblicità che neanche Zingaretti, Salvini o Di Maio».
Secondo il governatore, i genovesi avrebbero dovuto autoregolamentarsi. «Se CasaPound è illegale, intervenga la Procura. Ma se non lo è, allora ha diritto a manifestare». E dunque? «Fategli dire quattro sciocchezze, non mischiatevi a chi tira sassi altrimenti ne diventate complici: andate da un’altra parte — che so, al Porto Antico — e manifestate in silenzio con al collo il cartello “CasaPound mi fa schifo”. Questo è il confronto». Gli ha replicato Stefania, la moglie di Stefano che da giovedì non lo lascia un secondo: «Io quelli di CasaPound li avrei mandati in qualche paesino in collina, come si fa coi rave party. Non nel centro della città».
L’ordine di caricare
Marco Bucci, sindaco (anche lui centro-destra) di Genova, a suo tempo ha negato il patrocinio al Gay Pride nel capoluogo ligure, giudicandolo «divisorio». Il primo cittadino ha telefonato nel pomeriggio, preferendo non parlare di quanto accaduto giovedì. «Mi ha chiesto come mi sentivo. Amareggiato». Invece il procuratore Francesco Cozzi nella sua chiamata qualche domanda sull’aggressione l’ha fatta. «Ma per ora ho solo dei flash, forse l’emozione è ancora troppo forte». Stefano si ricorda di militari e poliziotti «confusi, disorientati: i sottufficiali continuavano a rimetterli in riga, cercando di calmare gli animi mentre su di loro piovevano pietre e bottiglie. Un agente di mezza età estraeva dal tascapane dei lacrimogeni e li passava ad un collega. Aveva uno sguardo terribile. Carico d’odio». La carica. «Mi sono ritrovato a terra, gridavo fino a piangere. Poi un grosso scarpone vicino al volto. E all’improvviso, il buio».
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