Le misure occidentali volte a punire la Russia per l ’aggressione all’Ucraina stanno già avendo i primi effetti economici sensibili: a marzo le entrate per l’export di petrolio e gas hanno subito un forte calo. Dall’inizio dell’Operazione militare speciale l’erario russo ha incassato l’equivalente di cinque miliardi di dollari anziché gli otto previsti. Il sito specializzato telegra.ph spiega che moltissimi operatori hanno iniziato a rifiutare di comprare petrolio russo, anche se solo gli Stati Uniti, l’Australia e il Canada hanno varato sanzioni specifiche. «Il petrolio russo è diventato tossico», scrivono gli esperti del sito.
Ci sono stati perfino dei porti che hanno rifiutato di scaricare il greggio di Mosca, per paura di incappare nelle regole americane sulle sanzioni. Si pensa che già ora le vendite russe siano scese di quasi tre milioni di barili al giorno, facendo abbassare la stessa produzione ben al di sotto degli undici milioni di barili. Se le cose continueranno così o peggioreranno, le compagnie russe inizieranno a chiudere pozzi e a fermare interi centri estrattivi. Sappiamo che non è invece diminuito di molto il volume del gas esportato, visto che sono pochissimi i paesi in grado di rinunciare immediatamente al metano russo. Ma nel budget statale il petrolio ha un peso molto maggiore per i conti del Cremlino.
Secondo il servizio delle dogane, l’anno scorso il petrolio e i suoi derivati hanno fruttato 180 miliardi di dollari, mentre il gas solo 64 miliardi. Naturalmente un blocco del gas avrebbe effetti diretti e inevitabili per la Russia perché le esportazioni passano quasi totalmente attraverso i gasdotti. Il metano non acquistato, quindi, non può essere rivenduto ad altri clienti: i tubi legano indissolubilmente acquirente e venditore. E costruire nuovi gasdotti richiede anni e tecnologie che forse Mosca non riuscirà più a procurarsi. Diverso è il discorso per il petrolio. Solo un milione di barili al giorno arriva agli acquirenti tramite oleodotti, secondo . Il resto viaggia su petroliere che possono essere dirottate verso altri lidi. Ma per ora l’India è stata il solo maggior acquirente ad aumentare i volumi. La Cina fino ad oggi non ha acquistato più petrolio, per paura di possibili ritorsioni americane.
Il problema nei prossimi mesi sarà quello della scarsità di offerta, col calo delle vendite russe. I prezzi potrebbero salire talmente tanto da compensare abbondantemente per il Cremlino la riduzione dei volumi. Per calmierare il mercato, gli Stati Uniti hanno già annunciato che immetteranno sul mercato un milione di barili al giorno prelevandolo dalle riserve. E altri produttori loro alleati faranno altrettanto. Ma si tratterà di una soluzione a breve termine perché poi le riserve strategiche dovranno essere nuovamente riempite e questo farà crescere la domanda nei mesi successivi.
I produttori americani estrarranno molto di più dai loro pozzi, ma gli unici che potrebbero risolvere permanentemente la situazione sono i paesi dell’Opec, con in testa l’Arabia Saudita che è il maggior esportatore mondiale (assieme alla Russia). Finora l’Opec non ha aumentato la produzione per rispettare gli accordi sottoscritti con Putin e con altri paesi nel cosiddetto Opec+. Ma Stati Uniti ed Europa stanno premendo sui loro alleati mediorientali e gli esperti sono convinti che hanno diversi strumenti per riuscire a convincerli.
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