Washington e Mosca adesso sono d'accordo, l'obiettivo della guerra in Ucraina non è più l'Ucraina stessa, ma l'indebolimento della Russia e, se possibile, l'abbattimento di Vladimir Putin. Ad ammetterlo, in perfetta sincronia, sono da una parte il Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin e, dall'altra, il presidente russo. Austin, reduce dalla visita a Kiev, ammette senza troppi giri di parole che l'America vuole vedere la Russia «così indebolita da non poter più ripetere quanto ha fatto invadendo l'Ucraina». Putin intervenendo davanti alla Procura generale di Russia spiega, invece, che «l'Occidente sta tentando di spaccare la società russa e distruggere la Russia dall'interno». Se il senso dei due messaggi è lo stesso, l'obbiettivo è opposto.
Il capo del Pentagono si limita a confermare quanto risulta evidente se si considera il massiccio e incisivo appoggio garantito alle forze di Kiev nel campo di quella «guerra segreta» combattuta sul terreno dell'intelligence e della propaganda. Un appoggio per molti versi più determinante delle ingenti forniture d'armi garantite a Kiev. E infatti Vladimir Putin introduce il tema della minaccia dell'Occidente puntando il dito sui nemici interni pronti a venir usati dall'Occidente e dall'Ucraina per colpire la Russia. E lo fa davanti alla Procura Generale, ovvero davanti ai vertici di una magistratura a cui spetta il compito di reprimere e punire eventuali complotti interni. Non a caso approfitta dell'appuntamento per dar notizia dell'arresto di sei russi militanti di un gruppo terroristico d'ispirazione neonazista (Nazionalssocialismo-Potere Bianco) pronti a uccidere il giornalista russo Vladimir Soloviev facendo esplodere una bomba nella sua auto. La minaccia neo-nazista, sembra far capire Putin, minaccia di tracimare dall'Ucraina alla stessa Russia. Proprio per questo la magistratura deve vigilare sull'attività di infiltrati e quinte colonne pronti a operare anche all'interno del Paese.
Una preoccupazione legata, probabilmente, anche al moltiplicarsi dei misteriosi incendi che stanno colpendo centri di ricerca e complessi industriali legati alla Difesa. L'ultimo, divampato nella notte tra domenica e lunedì, sta consumando due depositi di carburante intorno a Bryansk, una città russa 150 chilometri a Nord della frontiera ucraina e 380 chilometri a Sud di Mosca. Come nel caso del rogo dentro l'impianto chimico di Kineshma, o dell'incendio costato la vita a 17 dipendenti del centro di ricerca militare di Tver, i motivi della doppia esplosione e delle fiamme all'interno dei serbatoi di Bryansk restano un mistero. Potrebbe trattarsi di un attacco missilistico, di un'incursione di droni, di un'operazione cyber o di un sabotaggio messo a segno da attentatori legati all'Ucraina o alla Nato.
Il timore che i piani segreti della Nato comprendano attacchi alla Russia dentro i suoi stessi confini grazie all'impiego di infiltrati ucraini o oppositori interni, emerge anche in altre parti dell'intervento. Putin, si dice «sorpreso» ad esempio, dalla «bizzarra diplomazia» di americani ed europei che invece di «chiedere soluzioni negoziali» utilizzano gli ucraini «per conseguire la vittoria sul campo di battaglia». E nel mirino del presidente russo restano anche i media stranieri colpevoli di appoggiare e sostenere le «provocazioni contro le forze armate russe». Parole che riflettono il fastidio per l'insistenza dei media occidentali nell'enfatizzare perdite e sconfitte russe e amplificare, dall'altra parte, capacità e successi delle forze di Kiev. Ma sul tavolo dei vertici giudiziari russi Putin mette anche le violazioni del diritto internazionale compiute da Kiev con «l'utilizzo di mercenari o il ricorso ai civili come scudi umani». La Procura generale russa è sollecitata, insomma, a rispondere alle accuse di crimini di guerra rivolte a Mosca.
La mancata apertura dei canali umanitari va, invece, imputata agli ucraini che ne approfittano, secondo il Cremlino, per accusare i russi di colpire obbiettivi civili. E tanto per restare in tema Putin ricorda il milione di sfollati ospitati in Russia «bisognosi di documenti russi per accedere ai servizi sociali». L'obbiettivo, anche in questo caso, è smontare le accuse di chi - in Ucraina e Occidente - denuncia come «deportazioni forzate» i trasferimenti degli sfollati appartenenti alla minoranza russa trasferiti sui territori di Mosca e dotati di nuovi documenti.
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