mercoledì 12 maggio 2021

Niente sarà più come prima, dopo la pandemia, anche per la musica. E invece tutto è come prima se non peggio, nonostante la tragedia del Covid

 In questi giorni,  dopo la notizia che ci accompagna da più di un anno, il bollettino giornaliero dell'ISS su contagi, morti, ricoveri ed ora anche vaccini, sui giornali ne campeggia - a differenza della precedente, nelle ultime pagine - un'altra: la riapertura al pubblico di teatri e sale da concerto.

 Una notizia che interessa naturalmente a molta meno gente, ma che  a noi interessa particolarmente, se non altro perché intendiamo verificare se dopo la tragedia pandemica qualcosa anche nel mondo della musica è cambiato o cambierà, come veniva detto, nei momenti più drammatici della pandemia, da più parti alimentando non poche speranze in tutti coloro che a quel mondo, in vario modo ed a vario titolo, sono legati. Come noi  che in quel mondo abbiamo trovato ragione professionale in qualità di cronista, e del quale abbiamo 'campato' per una quarantina d'anni circa. Dunque in diritto di osservarlo e, magari, anche di  criticarlo per le cose che, promesse da decenni, ancora non vi trovano attuazione.

 In questi giorni l'attenzione del mondo della musica italiano è rivolta al teatro simbolo del melodramma, la Scala, dove nel giro di soli due giorni, si è riaperto il teatro e in platea - e non sul palcoscenico - si sono schierate due orchestre e due direttori, ambedue al vertice musicale del teatro, di ieri ( Muti) e di oggi (Chailly). 

I due non si sono mai amati (ma ciò non toglie che ambedue possano dirigere alla Scala, come dirigono  tanti altri direttori ospiti, accanto a Chailly) nonostante l'ostentazione di buone maniere e di inviti che si rivolgono ma che si vorrebbero respinti, di tornare a dirigere alla Scala, come oggi ha dichiarato Meyer che dice di avercela messa tutta anche lui per convincere Muti a tornare a dirigere l'Orchestra del teatro, addirittura in un'opera, ma non sa se accetterà.

 Si è discusso molto della data - 11 maggio - che rievoca quella di tanti anni fa in cui Toscanini riaprì il teatro dopo la guerra,  e i due direttori non hanno perso l'occasione per sottolineare ciascuno la propria tesi. Chailly: deve essere l'orchestra del teatro a riaprire dopo la pandemia, visto che non può suonare per l'II maggio; Muti: quella data era fissata da tempo e non si pensava alla coincidenza, anzi , ha aggiunto polemicamente  che lui i 50 anni di quella ricorrenza, che oggi è arrivata a 75, li celebrò eseguendo lo stesso programma di Toscanini.

 Una punta di veleno sul programma sinceramente bislacco scelto da Chailly, 'internazionale' secondo la sua spiegazione, anche per marcare la differenza da Toscanini (?) il cui concerto appare ai suoi occhi troppo 'nazionale', 'italiano'; avrebbe voluto dire 'provinciale', ma non l'ha detto per non essere linciato.

 La cosa è saltata gli occhi di tutti tanto che il Corriere che mai e poi mai toccherà la Scala, ha scritto che quel programma è una specie di summa della storia della musica. Bugiardo di un critico!

 Si potrebbe anche aggiungere - visti gli elogi fatti a Chailly per il 'suo' Wagner, che ha imparato negli anni di Lipsia, che oggi in Italia si assiste ad una specie di dittatura wagneriana, il cui regno ha sede a Bayreuth - a Milano una cantante, a Roma una direttrice, tenute il palmo di mano in quel di Bayreuth.

Muti  poi non si è lasciato sfuggire l'occasione, al momento del bis con Strauss, per riaffermare che  è nel dna dei Wiener e che lui l'ha suonato anche quest'anno a Capodanno  da Vienna, "mentre la Rai trasmetteva altro (Concerto della Fenice)". Basta, maestro con questa  meschina polemica, che magari il suo giornalista di riferimento al Corriere, non perde occasione per rinfocolarla. Vada a dirigere una volta a Venezia e così siamo pari!

Dunque l'Italia, la gloriosa Italia musicale,  agli occhi di molti protagonisti  di quel mondo che su di essa hanno costruito  fortuna ed anche ricchezza, risulta 'provinciale'.

E qui veniamo ad un altro punto dolente che andiamo denunciando da molti anni, da prima della pandemia, e che con essa speravamo venisse risolto: la presenza troppo invadente di musicisti stranieri, anche direttori. Durante la pandemia era stata attenuata, con la motivazione che  di 'musicisti bravi quanto gli stranieri ve ne sono anche in Italia' . Ora, passata la pandemia, siamo tornati al tempo di prima:  i concerti annunciati per questa fine di stagione sono affidati nella quali totalità dei casi a stranieri. Si abbia allora il coraggio di dire che in Italia non ve ne sono oggi altrettanto bravi. Ma questo nessuno lo dice, anche perché chi dovrebbe dichiararlo, e cioè i responsabili di molte istituzioni musicali anche prestigiose, sono delle 'pippe', inadeguate, issate ai vertici  da politici ignoranti.

Insomma tutto come prima, anche in fattori che sembravano potessero essere modificati senza gradi rivoluzioni, come la struttura dei programmi di concerti, alcuni dei quali, per la durata non solo ma anche per la 'pesantezza' dei brani prescelti, sembrano voler chiedere al povero ascoltatore una penitenza, invece che procurargli  gioia all'anima. 

Insomma non è cambiato nulla e nulla cambierà. Come non sono cambiate le pretese 'cannibalesche dei botteghini: per i concreti di Muti nelle tre città italiane che hanno ospitato il direttore e i Wiener, i biglietti andavano da 130 Euro a 180, passando per 150.

 Insomma solo le nostre istituzioni musicali non si sono ancora accorte della povertà nella quale è piombata una bella fetta della popolazione; e confermano la volontà di rivolgersi soltanto ad una élite socio-economica che  quei biglietti può permettersi. Agli altri non si interessavano prima della pandemia, anche quando dicevano che  le stavano tentando tutte per acquisire nuovo pubblico, e non si interessano neanche ora. Della loro  ottusa  insensibilità testimonia anche una protesta dei sindacati scaligeri che ricordando il perdurare della cassa integrazione,  denunciavano come i dirigenti scaligeri non si erano ridotti lo stipendio neanche di un Euro. 

E si potrebbe continuare  ancora con  altri esempi simili a questi.  

Alla fine l'unica novità che molti spettatori, tornati nei teatri, troveranno dopo la pandemia è il nuovo assetto delle sale: con la platea senza poltrone per far posto ai leggii dell'orchestra, e loro nei palchi o in palcoscenico, in numero ridotto per mantenere le distanze d'obbligo; e, per la prima volta, il direttore  che non dà le spalle al pubblico. La vera, rivoluzionaria, unica novità; che, purtroppo, anche questa, durerà poco, appena qualche settimana ancora, e poi tutto tornerà come prima, forse anche peggio di prima.

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