venerdì 3 aprile 2020

MIchieletto, a 44 anni, ancora 'terrible' ma non più 'enfant', ama soprattutto l'opera 'contemporanea', dove è libero di fare ed inventare tutto quello che vuole. Il grande repertorio gli pone qualche freno

Damiano Michieletto, a dispetto dei suoi ancor 'verdi' 44 anni, è un regista noto in tutto il mondo, dove ha firmato spettacoli d'opera nei più grandi teatri.

In una intervista dell'altro ieri ad Anna Bandettini ( La repubblica,  la Bandettini sembra essere la sua intervistatrice, in certo modo 'personale' ed ' esclusiva') racconta della sua vita al tempo del Coronavirus, chiuso in casa, come tutti del resto, con i suoi figli, e dei suoi passatempi: cucina, canto... come molti del resto, relativamente alla cucina.

Si lamenta, tanto per dire qualcosa, delle sue regie già licenziate ma  in quarantena, e di quelle future  che ora non sa quando e se potranno vedere la luce nei tempi previsti.

E comunque racconta di quello che sta preparando - Michieletto è una fucina di idee, 'modernizzatore' ad oltranza, richiestissimo  e pur contestatissimo - e poi risponde  ad una domanda della Bandettini: tornerà al teatro di prosa?
" C'era un'idea per l'anno prossimo. Vediamo sono già occupatissimo con l'opera... Alla Fenice farò  Le baruffe chiozzotte 
di Giorgio Battistelli a cui tengo perchè si fa poca opera contemporanea
-per via dei critici che spaventano il pubblico, 
-del narcisismo dei compositori,
- dei direttori dei teatri che pensano solo a riempire le sale nel nome di Verdi. 
La musica va rinnovata".

Michieletto dunque sostiene la necessità di 'rinnovare la musica' , contraddicendosi con quel che ha appena detto prima e cioè che la poca musica contemporanea che si fa è per colpa dei compositori 'narcisisti'. Dei compositori cioè che perseguendo una loro idea non
cedono ai ricatti del facile, piacevole, 'orecchiante'. Di conseguenza ammette, senza dirlo, che Battistelli che scrive opere a getto continuo e che non disdegna, assai spesso, di attaccarsi ' disinteressatamente(?) a testi e fatti ( dal cinema al teatro alla letteratura all'ecologia)  che solleticano la curiosità - non ha in cima ai suoi pensieri il 'rinnovamento' della musica'. Il che è ragione principale della sua presenza su molti palcoscenici.

La musica, se non si rinnova, dopo i compositori, non è per colpa dei critici che spaventerebbero il pubblico. No, i critici vanno a nozze quando hanno da scrivere, per presentarla, un'opera nuova. Finalmente possono scrivere qualcosa di diverso dal solito. E del resto basta leggere i giornali per rendersene conto. La musica, anzi l'opera o quel che ne resta di tal genere, va in pagina quando è 'nuova', per il resto non se ne ha notizia, se non a seguito di scandali, di eccentricità -  insopportabili quando stravolgono senza ragione un capolavoro - o di esiti disastrosi, sempre che qualche giornale abbia a cuore informare i lettori sugli esiti di questa o quell'opera.

Non sono i critici per quel che ancora contano, cioè pochissimo o nulla, caro Michieletto, ad inibire l'accesso ai palcoscenici d'opera di nuovi lavori.

E forse non sono neanche i direttori artistici che baderebbero solo a riempire le sale con il solito Verdi. Se fosse vero e se le sale fossero sempre piene, vorrebbe dire che il pubblico ha ripreso ad amare e frequentare in massa l'opera, dopo di che, anche le novità potrebbero esser ben accolte, ma senza esagerare infliggendogliele,  in tale quantità da prefigurare quasi una punizione.

Anzi nella logica dei direttori artistici la presentazione di nuove opere ubbidisce al criterio 'ministeriale'- in passato molto più seguito - di ottenere più punti  in funzione di un maggior finanziamento, 'premiale' del FUS.

C'è   forse una ragione perchè Michieletto preferisca l'opera al teatro di prosa? Sì,  ed è  quella che  la musica nell'opera e le convezioni di tale genere di spettacolo, gli permetterebbero - almeno questo pensano troppi registi - molte più libertà di quanto non possa concedergli il teatro, che ha come elemento base la parola. E che il regista si senta ancor più attratto, nell'ambito del melodramma, dalle opere nuove, si giustifica con il fatto che lì si sente creatore assieme al compositore e librettista. Il caso, ad esempio, di Aquagranda di Perocco alla Fenice, ne fu una testimonianza evidente. 
Rigoletto o Don Giovanni  altrettanta libertà, e meno ancora creatività, nonostante troppi registi se le prendano, non lo consentono. E di questo Michieletto sembra cosciente.

                                            ***

Filippo Perocco a proposito dell'accoglienza da parte del pubblico della sua AQUAGRANDA, regia di Damiano Michieletto( Teatro La Fenice, novembre 2016):
Penso che in questi anni ci sia una sorta di viva attenzione verso la nuova musica.
Forse possiamo estendere il “senso di rifiuto” all’arte in generale? Oppure, forse tutto questo è generato da una forma di pigrizia, di apatia e non tanto dalla mancanza di punti di riferimento?
Nelle 3 recite di Aquagranda destinate alle scuole, La Fenice pullulava di giovanissimi ascoltatori meravigliati dall’impianto scenico, dalla magia del teatro e, probabilmente, dal fenomeno acustico. Hanno accolto l’uscita degli interpreti con un entusiasmo e una spontaneità commoventi...

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