Noi in casa, loro no. Noi con le scuole chiuse, loro no. Noi senza jogging, loro no. Sono pazzi questi svedesi? No, dicono gli svedesi, i pazzi siete voi: è il mondo che s’è imposto il lockdown e ha cambiato il suo modo di vivere, non noi. E se dovete parlare delle nostre giornate ad ansie ridotte, che poi era quello di tutti fino a due mesi fa, cercate prima di capire.
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I numeri
Senza giudicare: i contagiati sono 12mila, ma il numero quotidiano dei morti da Covid negli ultimi dieci giorni è progressivamente calato e qualcosa vorrà pur dire se gli arresti domiciliari sono imposti solo agli over 70, se le aziende e le scuole elementari restano aperte e se con prudenza si può ancora andare al ristorante. «Le strade non sono piene, ma non sono neanche vuote», spiega sorpreso un cronista di Euronews. Donald Trump, uno dei tanti minimizzatori pentiti, addita la Svezia come esempio da non seguire (è un suo chiodo fisso: una volta la citò per l’eccessiva tolleranza, spiegando come fosse la più esposta al rischio terrorismo, salvo poi ammettere d’avere sbagliato Paese).
L’indignazione internazionale
Ma tanta indignazione internazionale indigna la Scandinavia: si muove addirittura il governo di Stoccolma, con interviste della ministra degli Esteri e note ufficiali delle ambasciate, per difendere la scelta che tanto stupisce. E per chiarire come la frase del premier Stefan Lovfen finita nei titoli di mezzo mondo, «non abbiamo fatto abbastanza», sia stata «estrapolata dal suo contesto e citata in maniera non corretta»: nessun pentimento, spiega una fonte diplomatica, Lofven si riferiva agli scarsi risultati ottenuti finora nel salvare gli anziani, non alla scelta di tenere tutto aperto. Ce n’è anche per l’Italia e per la nostra opinione pubblica: «Abbiamo notato — scrive sul suo profilo Facebook la rappresentanza diplomatica svedese a Roma — che negli ultimi giorni si è generata una spirale di disinformazione su media autorevoli in Italia… A questo proposito, vorremmo riportare alcuni fatti che potrebbero gettare una nuova luce sulla situazione in Svezia…».
La spiegazione svedese
I fatti, dunque. L’approccio soft deciso dalla coalizione socialdemocratica, sia chiaro, non sta salvando la Svezia dalla pandemia: si sta sui mille decessi, con un tasso di mortalità di 88 morti per milione d’abitanti che è quasi il doppio di quello della Danimarca (47), appena al di là del mare, l’altro Paese nordico che ha fatto scelte simili. L’emergenza c’è, e pure un colosso dell’abbigliamento come H&M ha scelto di convertire la produzione, cucendo un milione di camici speciali per infermieri Covid. I posti in terapia intensiva sono pochi, ma un terzo è ancora libero e s’è pronti con un ospedale militare nuovo di zecca, da aprire. C’è chi non accetta il semplice «controllo» del virus e, pure qui, chiede misure drastiche quasi all’italiana. Un dibattito che accende i talk in tv. Perché al momento gli assembramenti sono possibili a distanza di sicurezza e fino a cinquanta persone, le ditte suggeriscono ma non impongono il telelavoro, solo i licei e le università fanno lezioni online, i mezzi pubblici sono «sconsigliati» ma funzionanti, i bar e i ristoranti hanno l’obbligo di non servire al banco e di tenere vuoti solo un tavolo sì e uno no…
L’epidemiologo rockstar
Troppo poco? Lo stesso premier Lofven ha proposto leggi d’emergenza più strette, sapendo che la curva delle infezioni per adesso cala, eppur temendo che s’impenni di colpo. Ma è un dato che il consenso per le scelte fatte finora dal governo, dicono i sondaggi, non sia mai stato così alto. E che anche i vicini danesi e norvegesi se ne stiano convincendo, dopo avere inizialmente sigillato le frontiere e il resto, riaprendo le scuole e allentando la presa. La star nazionale oggi è un epidemiologo controcorrente, Anders Tegnell, il capo della task force per il corona: uno che insiste con la linea morbida, immaginando che il mondo dovrà sempre più abituarsi all’idea di convivere con un virus endemico e, per questo, prepararsi a un lungo stato d’emergenza che andrà affrontato come una maratona, dosando le forze e la resilienza dei cittadini. Ok allo sport e a una minima dose di socialità, raccomanda Tegnell, perché «la salute mentale va preservata come quella fisica» e perché «non sappiamo quali danni può provocare questo stress sui bambini»: vedremo come andrà con il ritorno alla vita normale di chi ha imposto il lockdown, dicono a Stoccolma, visto che «poi riaprire sarà più difficile di quanto lo sia stato chiudere». E soprattutto vedremo alla fine dell’anno chi sarà in grado d’affrontare meglio l’ondata di depressioni, povertà, alcolismo, limitazioni dei diritti portata dal Covid. Parole facili, ribattono i detrattori di Tegnell, che si può permettere un Paese enorme e con solo dieci milioni d’abitanti (le infezioni si registrano specialmente nei sovraffollati quartieri degli immigrati). Dov’è più radicata l’abitudine degli anziani a vivere da soli e in autosufficienza. Dov’è normale che i medici del Karolinske Institute avvertano in un documento ufficiale come sarà necessario escludere dalle cure gli ultraottantenni già gravemente malati, nel caso dovessero scarseggiare i ventilatori. Dove il senso civico è tale che l’invito di Pasqua a non viaggiare è stato osservato da tutti, senza ricorrere a poliziotti e rincorse con l’elicottero. «Non esiste la strada giusta o sbagliata in quest’emergenza — ha riconosciuto sul New York Times l’infettivologo Lars Ostergaard, dell’Aarhus University di Copenaghen —: solo il futuro ci dirà chi ha preso la strada migliore».
La stampa
L’eretica Svezia non vuol finire sul rogo. E proprio per questo, poiché nessuno ha la bacchetta magica, agli svedesi non va di passare per i pazzi d’Europa. Abbondano ovunque i post di chi non ci sta e se la prende con le critiche dall’estero: «Sto facendo una fatica enorme per spiegare in Italia che i media raccontano un’immagine piuttosto sfocata di quello che accade qui» (Andrea da Malmoe); «passano solo notizie distorte e strumentalizzate» (Utte Balestro); avete travisato le dichiarazioni del premier, scrive Paola Eklund, «sono scioccata, non avrei mai creduto si potessero diffondere fake news!». «Chiediamo solo che si rispettino le nostre scelte», spiega Jennifer Wegerup, volto noto della tv pubblica: «Questa è una nazione che non ha guerre da due secoli, non si sente mai “in trincea” contro qualcosa o qualcuno e non ha la cultura dell’emergenza nel suo dna». Sul quotidiano Expressen, molto letto, un commento dal titolo chiaro, «le notizie sulla Svezia dall’Italia sono oscure e false», e righe dure: «Sono anni che ci sforziamo di raccontare l’Italia al di là dei luoghi comuni e dei facili sensazionalismi — sostiene l’editorialista —. Vorremmo una certa reciprocità. Troppe cose raccontate non rispecchiano la verità. Forse qualcuno ce l’ha ancora con noi per l’ultimo Mondiale di calcio, sfumato proprio contro la Svezia. Ma questa è una sfida mondiale che non ammette trucchi e rivalità. La si vince solo con la verità e rimanendo uniti».
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