Federico Fellini. Intervista sulla
musica e su Nino Rota
Dove va la Musica quando finisce ?
In occasione del centenario della nascita di Fellini, ripubblichiamo questa
intervista che, nella forma attuale, può considerarsi inedita;
poiché prima d’ora è stata pubblicata soltanto un’altra volta e
in forma ridotta, su Paese Sera (sabato 7 luglio 1979) qualche mese
dopo la morte di Nino Rota, in tempi drammatici . Il
mondo e l’Italia erano distratti da ben altre, più gravi storie:
morte di due papi, uccisione di Aldo Moro ecc… ecc… L’intervista passò quasi inosservata.
Incontrammo Fellini -
impegnato al montaggio della ‘Città delle donne’, film
realizzato all’indomani di ‘Prova d’orchestra’, e primo film
senza la musica di Rota - a Cinecittà, soprattutto per ‘parlare di Nino’.
di Pietro Acquafredda
“L’incontro con Rota non fu un
casuale sodalizio, ma un incontro del destino: qualcosa che già
esisteva nella mia decisione, nella mia scelta obbligatoria, coatta.
L’incontro con Nino era una di quelle premesse perché la mia
vocazione a realizzare storie per immagini si realizzasse” -
confessa Fellini. Nino Rota era scomparso da pochi mesi e Federico
Fellini, che stava ultimando il montaggio della ‘Città delle
donne’- realizzato all’indomani di ‘Prova d’orchestra’-
primo film senza la musica di Rota, ci ricevette a Cinecittà per
parlarci del suo ‘amico magico’.
Rota aveva già cominciato a
scrivere le musiche per ‘La città delle donne’ prima di morire?
No. Il giorno della sua scomparsa ( 10
aprile 1979 ndr.) dovevamo vederci nel pomeriggio - l’appuntamento
veniva rimandato da mesi. Il film prevedeva delle sequenze per le
quali ci doveva essere una musica pronta, perché andavano girate su
certi ritmi, certe cadenze. In più c’erano un paio di sequenze
propriamente musicali, nel senso ‘rivistaiolo’ del termine, con
delle soubrettine che cantano. E poi verso il finale compare
un’orchestrina rock di femministe scatenate molto aggressive e
violente.
A suo parere, Rota non ha mai
pensato di rompere il sodalizio?
Non mi sembra, anche perché nonostante
andasse dicendo che non avrebbe più lavorato per il cinema, questo
era riferito solo agli altri registi e non a me. Nel mio caso non
parlerei di pura e semplice collaborazione. Già quando cominciavo a
pensare ad un nuovo film, Rota ne era parte integrante.
Mi permetta di chiederle se la
stretta collaborazione di Rota con il cinema non possa aver nociuto
alla fama che si era guadagnato scrivendo musica strumentale, non
destinata alle immagini.
E’ una domanda per la quale dovrei
sentirmi profondamente offeso. Mi sembra che a Nino, dall’aver
lavorato nel cinema, e nel mio in particolare, in film che hanno
avuto grande successo, sia venuta la forza e la fiducia che possono
scaturire da un successo. Non credo che il suo prestigio di
musicista, ne sia uscito ridotto, per aver scritto ‘La pappa col
pomodoro’ o tutti i miei film; se non in chi ha idee moralistiche e
rigide sui fatti dell’arte. Occorre sempre guardare alla vitalità
di una cosa, nel giudicarla. Sia che scrivesse le marcette per i miei
film, o una messa solenne, un’opera od una sinfonia, Nino era
musicista autentico che esprimeva nella maniera più naturale un
sentimento nella musica. E aveva anche compreso che nel cinema la
musica può essere protagonista a patto che diventi capillarmente
legata, totalmente intrecciata all’immagine di cui, in certo modo,
fa parte. La musica è come la luce, un riflettore in più che non si
accende in teatro, sapendo che viene data da un a frase, da
un’atmosfera musicale.
Come ha fatto in pochissimo tempo, e
a film quasi ultimato, a scegliere Bacalov, successore di Rota?
Ho avuto sott’occhio per settimane e
settimane un elenco di musicisti più o meno noti, più o meno
famosi; ho ascoltato, ho chiesto consigli…alla fine mi sono
ricordato che Nino – che parlava sempre bene di tutti – un paio
di volte mi parlò con molta simpatia di Bacalov. Solo su questo
suggerimento di Nino l’ho cercato. Io non avevo mai sentito la
musica di Bacalov, non sapevo neppure che esistesse. Poi ci siamo
visti alcune volte ed abbiamo cominciato a lavorare insieme. Con lui
ho dovuto nuovamente imparare a lavorare con un musicista. Nino ti
dava sempre la sensazione che la musica la componevi tu e che lui era
soltanto un paio di mani in più che tu avevi. Questo suo modo di
lavorare mi ha abituato ad un’invadenza fatta di interventi
continui che ora devo assolutamente moderare.
Non ha pensato di rivolgersi ad un
musicista d’avanguardia, in Italia ve ne sono tanti, piuttosto che
ad uno ‘specializzato’, seppure più pratico della musica da
film?
Non sono affatto un esperto in fatto di
musica. Tutt’altro. Sono ignorantissimo. Forse posso avere una
sensibilità musicale, ma la mia ignoranza in fatto di musica è
totale. Non ascolto musica e, di conseguenza, non conosco neppure i
nomi dei musicisti d’avanguardia. Per me il musicista d’avanguardia
è quello che fa la musica giusta per le immagini che faccio io. Non
posso scegliere in funzione di qualcosa che non conosco.
Non si è mai sorpreso a riflettere
sulla musica, sulla cui magia esiste una letteratura ricchissima ed
antica quanto il mondo?
Si, spesso. E mi sono spesso chiesto:
dove va la musica quando finisce? Può sembrare una battuta di finta
poeticità, in effetti contiene un grande interrogativo di natura
filosofica: dove va a finire tutto quello che di viscerale, di
sentimentale, di fantastico la musica ha suggerito; in quale
dimensione ritorna, quando la musica finisce?
Ha provato a vivere in prima persona
l’esperienza musicale, visto che ne è così attratto teoricamente?
I concerti in generale, le poche volte
che mi hanno trascinato da ragazzino, mi hanno suggerito sempre
un’atmosfera vagamente ricattatoria, minacciosa, perfino
cimiteriale. Mi hanno stampato dentro qualcosa che sa di ricatto
moralistico. Non sono in grado di capire e sentire la grande musica;
ma, essendo estremamente suggestionabile dall’atmosfera e
dall’ambiente del concerto – una chiesa, un oratorio od una sala
– e dalle persone che vi assistono – vecchi per la gran parte,
preti, gente con lo spartito in mano che mi fanno venire in mente un
tribunale, la resa dei conti - ho deciso di starne alla larga. Per
non parlare dell’opera, del melodramma. Ho tre o quattro ricordi
traumatici al riguardo. Anche lì mi distraggo moltissimo, perché
per qualche attimo di genialità vi sono ore ed ore di cose che non
capisco. Per esempio, non capisco perché si debba cantare; io non
sono affascinato da questo fenomeno curioso nazionalpopolare,
espressione ‘italiana’ al massimo. L’opera rappresenta il
tipico ‘miracolo’ italiano, perché riesce a far convivere sette
od otto cose che andrebbero per loro conto: la musica, il libretto, i
cantanti, la scenografia dipendente dagli estri dello scenografo di
turno, i costumi, il direttore d’orchestra. Insomma, per tornare al
discorso iniziale, la musica mi ‘invade’ perché non ho difese di
alcun genere e allora preferisco non ascoltarla. Tutta la musica.
Anche quella di carattere più festevole mi mette in uno stato di
depressione canina, mi viene da urlare alla luna e quindi non lavoro
più.
Non farebbe un film del genere
‘Fantasia’ disneyano, con la musica protagonista?
Certo che lo farei, anche perché oggi
il ‘cromatismo musicale’ poggia su basi scientifiche. C’è
anche qualche sensitivo capace di trasformare in una serie di
esplosioni, di atmosfere colorate i suoni che uno produce con uno
strumento. Ma una simile operazione rischierebbe di diventare troppo
soggettiva, giacchè è difficile misurare quanto di emozione e di
inconscio personale interviene nella percettività. Non ci ho mai
pensato, ma sono sicuro che, abbandonandosi al rapimento ed al
risucchio della musica, si potrebbero trarre dai suoni delle
gradazioni cromatiche, delle situazioni…
Un film sulla vita di un musicista
sarebbe più facile e meno soggettivo?
Non ho mai fatto film su persone
realmente esistite, perché mi sembra un’operazione estremamente
indelicata, mostruosa. Non capisco come si possa riproporre la vita
di qualcuno ed ancor meno la sua vita psichica o la sua vita
fantastica. E perché, comunque, si finirebbe per parlare di se
stessi, anche parlando, per esempio, di Beethoven. Volevo , invece,
fare per la televisione un ritrattino di Nino, perché lui era un
personaggio veramente straordinario. E ne avevo perfino programmato
la lavorazione. Poi non se ne è fatto nulla. Avrei voluto parlare di
lui e con lui soprattutto per tentare di entrare anch’io in quel
contatto medianico che ogni giorno, nell’ora vespertina, Nino
stabiliva, a buon diritto, con l’universo musicale di cui lui era
uno tra i primi @
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