Scuole chiuse e aziende aperte: perché solo in Italia a pagare il prezzo sono i bambini? Cinque richieste al Governo italiano
Mentre in altri Paesi le scuole sono rimaste sempre aperte – come in Svezia - mentre in altri si sta discutendo di riaprirle prima dell’estate, mentre in altri si è deciso per maggio il rientro sui banchi – ad esempio Francia e Germania – in Italia sulla data dell’apertura delle scuole c’è un silenzio assordante, colmato solamente da presunti scoop di giornali che dichiarano la scuola ufficialmente chiusa fino ad almeno a settembre. Senza che ci sia stata alcuna comunicazione ufficiale da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Ad essere assordante non è solo il silenzio sulla data, ma soprattutto quello sulle conseguenze della privazione della scuola per i nostri figli e ancor di più su chi si occuperà di loro – parliamo di 10 milioni tra bambini e ragazzi - in vista della imminente riapertura delle aziende. Ci sembra che il governo abbia concentrato tutti i suoi sforzi, in termini di aiuti concreti ma anche di comunicazione, sul tema dell’economia e della riapertura economica del paese. Non vogliamo sottovalutare l’importanza della ripartenza economica, né gli effetti del mancato lavoro per tante famiglie, con conseguente povertà e disoccupazione. Ma proprio per questo motivo, per l’importanza che riveste il lavoro per ciascuna famiglia, ci sembra inverosimile e paradossale che a fronte della riapertura, anche progressiva, delle aziende non si parli innanzitutto di chi si occuperà dei nostri figli. Oltre che delle ripercussioni su di loro di una chiusura che potrebbe arrivare, con le vacanze, a minimo sei mesi.
Questo silenzio non stupisce noi famiglie, in verità, perché siamo state tra i soggetti dimenticati in questa logorante pandemia. Non possiamo scordare la scarsa chiarezza dei decreti circa la possibilità dei nostri figli di uscire insieme a noi, che ha generato nella popolazione, soprattutto quella senza figli, la convinzione che i bambini dovessero stare rigorosamente chiusi in casa, con conseguente dileggio e critica per chi invece, senza violare alcuna norma, faceva scendere i propri bambini a prendere un po’ d’aria. I bambini sono stati considerati in questa emergenza “untori”, parola senza senso se non quello di gettare disprezzo su di loro e le loro famiglie, visto che non sono più contagiosi ma semplicemente asintomatici. Dopo aver subito tutto ciò, dopo aver tenuto i nostri figli chiusi in casa, con pesanti conseguenze soprattutto sui più fragili, i più poveri, i meno dotati di strumenti tecnologici, ora ci troviamo di fronte a un altro affronto: una mancata comunicazione da parte istituzionale su cosa sarà di noi nei prossimi mesi, mancanza che riflette l’idea che i bambini, in questo Paese, contino poco e nulla, a differenza di altri Paesi d’oltralpe. Siamo al paradosso per cui non sappiamo neanche se e come si riapriranno le scuole.
La chiusura tout court è una soluzione troppo semplice, perché evita qualsiasi sforzo per pensare soluzioni, magari differenziate a seconda delle regioni, che non stanno subendo gli effetti dell’epidemia in maniera omogenea, delle classe di età, del tipo di plesso scolastico. Sono tante le associazioni che si occupano di minori – come “Alleanza per l’Infanzia”, “Investing in children”, “Save The Children” - che stanno denunciando le conseguenze della chiusura sui minori più fragili, al pari di autorevoli sociologi, come la prof.ssa Chiara Saraceno.
Chiediamo pertanto al Governo:
1) Che si apra immediatamente una discussione pubblica sul tema scuola, con particolare riferimento alle conseguenze dell’assenza della didattica – quella on line non è che un pallido surrogato e non riguarda la fascia più fragile dei bambini tra 0 e 6 anni - per i bambini, così come sulla possibilità di una riapertura diversa delle scuole. Che magari desse la precedenza, appunto, ai più piccoli, dal momento che il danno è maggiore per chi, come neonati o alunni della scuola dell’infanzia, non può godere di nessuna didattica. Il problema è serio, si rischiano ritardi nello sviluppo cognitivo, affettivo e soprattutto di relazione sociale, quest’ultimo fondamentalmente sviluppato proprio negli anni della scuola d’infanzia, come i pedagogisti sottolineano (si veda l’appello del pedagogista Daniele Novara); si rischia di accumulare lacune rispetto al linguaggio e alla socialità che non sono recuperabili, specie, ripetiamolo, per i più deboli. La psicopedagogia insiste da tempo sull’età 0-6 come basilare per lo sviluppo psichico, relazionale e sociale dell’individuo: le esperienze di questa fase della vita caratterizzeranno e informeranno tutto il resto del percorso individuale, i danni saranno difficilmente sanabili. I bambini e i ragazzi sono cittadini italiani, che vantano diritti costituzionali speciali rispetto ad altre categorie sociali: dovrà essere dunque rispettata la Costituzione, non chiediamo niente che già non rientri nel Diritto.
2) Chiediamo una letteratura scientifica e di supporto sulla quale basare il rinvio delle scuole. Non può bastare l’appello dello scienziato di turno, occorre che il Governo porti a giustificazione della chiusura una reale documentazione scientifica, così come la stessa servirebbe per riaprire aziende e far ripartire il Paese. Ci sembra difficile credere che ci siano manipoli di scienziati a favore dell’apertura delle aziende e contro ogni possibile tentativo di riapertura delle scuole, magari in piccoli gruppi, a giorni alternati etc. Ci sembra difficile che tutti gli altri paesi abbiamo deciso di riaprire le scuole in maniera scriteriata e senza aver considerato i rischi. Se si può lavorare in sicurezza, se la task force governativa sta lavorando senza sosta per trovare la soluzione alle esigenze produttive, allora si deve anche poter andare a scuola in sicurezza: ovviamente inventando modi nuovi, non tutti insieme, progressivamente, magari prolungando l’anno scolastico che non necessariamente deve chiudere i primi di giugno (ricordiamo che per nidi e materne la scuola termina alla fine di giugno).
A tal proposito segnaliamo un’editoriale della prestigiosa rivista scientifica "The Lancet”, secondo il quale le conseguenze socioeducative del virus possono essere assai più gravi dei benefici - in termini di contenimento dei contagi - della chiusura delle scuole.
Insomma vogliamo chiarezza: vogliamo sapere se i reali motivi per una mancata riapertura sono scientifici oppure pratici, il che non vuol dire meno seri. Ma dovrebbe cambiare almeno, se il problema è solo organizzativo, la comunicazione alle famiglie.
3) Chiediamo che, se la chiusura verrà confermata, si pensi espressamente a soluzioni per quei genitori che devono rientrare al lavoro. Se i genitori tornano al lavoro, cosa faranno i bambini tutto il giorno chiusi in casa, magari con temperature sempre più torride? I centri estivi, quelli su cui ormai i genitori contano per superare qualche settimana in vista delle vacanze, se non riapriranno le scuole non avranno a loro volta giustificazione per riaprire, le baby-sitter non possono bastare per tutti e il loro costo è elevatissimo e per la maggior parte delle famiglie inabbordabile anche a fronte di bonus insufficienti, i nonni con tutta evidenza non potranno occuparsene se è vero che dovranno stare ancora protetti a lungo. E dunque, chi si occuperà dei nostri figli mentre noi ci muoviamo per lavorare?
Ci è chiaro, dopo mesi di dichiarazioni sulla fragilità degli anziani e sul bisogno di misure contenitive per proteggere principalmente loro, che i nonni in questa Fase 2 non potranno rappresentare il pilastro al welfare familiare per il quale l’Italia rappresenta un’eccezione tra i Paesi dell’Europa economicamente più avanzata. Non potranno, gli scienziati e il Governo, chiederci di sacrificare i nonni per esigenze produttive: quando torneremo tutti a lavorare, i nonni dovranno ancor più essere tutelati, perché i bambini "portatori sani" non dovranno fare da ponte di trasmissione del virus tra genitori lavoratori e anziani che accudiscono i bambini.
Ai genitori che hanno figli a casa minori andrebbe garantito lo smart working fin alla riapertura delle scuole, oppure – se fanno un lavoro che non consente lo smart working – che possano restare in cassa integrazione per tutto il periodo della chiusura della scuola. Chiediamo che il bonus baby sitter diventi un assegno robusto per tutte le famiglie anche di medio reddito, che venga erogato rapidamente e senza eccessivi vincoli burocratici: laddove ci sono genitori che lavorano e minori, c’è bisogno di aiuto che deve essere pagato.
4) Chiediamo al Governo anche di dare un segnale a tutte quelle famiglie in difficoltà che hanno figli che soffrono di qualche patologia e che per questo frequentano centri alternativi. Bambini e ragazzi che hanno vista la loro didattica interrompersi, così come le loro preziose terapie, con conseguenze gravi sul loro sviluppo cognitivo, linguistico, emotivo e sociale. Anche su questo le famiglie attendono un segnale importante, così come lo attendono - un altro aspetto su cui tutti i genitori aspettano comunicazioni chiare – sulla riapertura dei centri sportivi, così essenziali per bambini “speciali” e bambini “normali”. Come mai non se ne parla? Se si può aprire un’azienda in sicurezza, perché non una piscina?
5) In ultimo, riguardo alle ripercussioni economiche, facciamo presente che ci è ben chiaro che anche quello dei nidi, delle scuole d’infanzia e dei centri estivi privati è un problema economico oltre che familiare: strutture che da mesi non stanno riscuotendo le rette di frequenza sono condannate, al prolungarsi della chiusura, a dichiarare fallimento, con il conseguente enorme vuoto di servizi che lasceranno. Sono molte le città, specialmente quelle più grandi, dove i servizi educativi della fascia 0-6 anni sono affidati per la stragrande parte a strutture private. Qualora la riapertura di tutti i servizi scolastici fosse molto in là nel tempo, queste strutture già fallite potranno essere immediatamente sostituite da altrettante strutture statali?
In conclusione:
Si sono tirati fuori molti soldi per i lavoratori e per le imprese e si continua a discutere di come erogarne altri. Ma oggi è tempo di occuparsi anche dei bambini, di ripartire dai loro bisogni. Che sono esigenze primarie non così difficili da garantire. A patto, ovviamente, che si mettano quei bambini come priorità, e non, come da sempre in Italia, come ultimi insieme ad altri ultimi. È questo ciò che, in definitiva, chiediamo al Governo. Per il presente e il futuro.
Elisabetta Ambrosi, giornalista
Letizia Atti, psicopedagogista
Marco Bartolini, dirigente d’azienda
Giulia De Vita, medico endocrinologo
Mariangela Della Notte, fotografa
Alessandro Galli, impiegato di azienda strategica
Gabriele Giuliani, medico cardiologo
Matteo Gorgoglione, educatore professionale
Alessandra Luna, medico anestesista
Francesca Sensi, insegnante
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