Nelle ultime ore si sono diffuse (e nelle prossime continueranno, sempre più frequenti, a diffondersi) notizie sull’avanzamento della ricerca di vaccini contro il coronavirus. L’ultima in ordine di tempo riguarda un annuncio dell’università di Oxford del 27 marzo scorso, rilanciata oggi dalle agenzie di stampa italiane: i ricercatori britannici hanno iniziato la ricerca di volontari, in Gran Bretagna, per un «trial» - una sperimentazione — su un vaccino che è già in produzione ma «non sarà pronto se non tra alcune settimane». La produzione coinvolgerà anche un’azienda italiana, la Advent-Irbm di Pomezia . Secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato di questa azienda, Piero Di Lorenzo, «si prevede di rendere utilizzabile il vaccino già a settembre per vaccinare personale sanitario e Forze dell’ordine in modalità di uso compassionevole».
Si tratta di annunci che alimentano - di fronte a una pandemia che ha colpito duramente l’Italia — comprensibili speranze, ma possono anche confondere, visto che si mescolano a frasi di segno diverso di autorità sanitarie italiane e mondiali (l’Oms, oggi, ha detto che «il coronavirus non andrà via. Non sappiamo se le persone che lo hanno avuto siano immuni né quando avremo un vaccino»; Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, domenica ha detto che non si prevede di avere un vaccino prima della fine dell’anno). Come stanno le cose? E quanto dovremo aspettare? Va ribadito che sono decine le istituzioni nel mondo, accademiche e private, al lavoro su possibili vaccini. Ma i pronostici degli esperti variano molto: da chi ritiene che potremmo averlo entro un anno, come ha dichiarato recentemente al , che è una delle massime autorità mondiali in questo campo, a chi pensa che ci vorrà di più, fino a chi ipotizza che non lo avremo mai.
Lo stesso Di Lorenzo ha detto oggi che «prima di produrre» vaccino per l’intera popolazione mondiale «non passeranno mesi, ma anni». Ma perché ci vorrà così «tanto»? Perché — dopo essere realizzati in laboratorio — i vaccini vanno testati (sugli animali prima, sull’uomo poi: nel caso citato all’inizio, si è deciso di passare subito ai test sugli uomini, «vista la pericolosità della situazione e l’assenza di pericoli di tossicità») per verificare la loro sicurezza e poi la loro efficacia su un numero sufficiente di persone in condizioni controllate. Una volta trovato il vaccino, si porrà il tema di produrlo non in milioni, ma in miliardi di dosi: e di decidere come saranno organizzate le campagne vaccinali, a partire dall’ordine ( chi saranno i primi a essere vaccinati, ad esempio?).
Questa cautela è necessaria perché il vaccino è uno strumento molto delicato. Lo scopo del vaccino è quello di permettere al nostro organismo di «fare la conoscenza» con una proteina del virus (antigene) in modo che impari a riconoscerla come estranea e a fabbricare anticorpi specifici per neutralizzarla a un secondo incontro. Ovviamente bisogna fare in modo che la proteina venga «presentata» all’organismo in modo che non nuoccia — cioè che il soggetto vaccinato non si ammali. A tal fine oggi si può procedere, essenzialmente, in tre modi resi possibili dalla notevole evoluzione della tecnologia in questo campo negli ultimi anni: usare un vettore virale, usare direttamente un acido nucleico (Dna o Rna), usare una proteina virale.
I vaccini con vettori virali usano virus che non hanno nulla a che vedere con quelli verso cui si vuole far sviluppare l’immunità, e che sono innocui per l’uomo. In quei virus «innocui» — utili perché sono in grado di infettare una cellula e «costringerla» a produrre proteine — viene inserito un gene sintetico in grado di far produrre alle cellule una proteina del virus da cui ci si vuole davvero difendere (in questo caso, il coronavirus). La proteina sarà costruita ed «esposta» sulla superficie delle cellule infettate, cosicché il sistema immunitario la riconosca e si prepari a costruire anticorpi quando dovesse reincontrarla, veicolata questa volta dal virus «cattivo». Nel caso di vaccini a Rna o Dna, al posto di inserire nelle cellule umane il gene per mezzo di un virus, si produce un gene sintetico e la si inietta direttamente in una formulazione speciale. Non richiede di far crescere virus o batteri ed è più facile da fare l’industrializzazione.
I vaccini con proteina virale si realizzano producendo una proteina del virus che poi si inetta con o senza adiuvanti. Per produrre la proteina ci vogliono mesi in laboratorio: poi però quando arrivano si possono produrre in grandi quantità. Per farli funzionare bene però sono necessari specifici adiuvanti, che richiedono tempi più lunghi.
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