Questi giorni leggendo le cronache musicali, e quelle operistiche in particolare, che un nostro amico e collega ci invia regolarmente, ci ha colpito la presenza massiccia di titoli non di repertorio nella maggior parte dei nostri teatri d'opera in queste settimane, trasformando, di fatto, le stagioni in un grande festival dove ai titoli noti, quelli del grande repertorio, che, certamente, essendo straconosciuti esigono cast all'altezza, ma compensano con i teatri pieni, si preferiscono titoli poco frequentati, talvolta anche sconosciuti che eccitano, è risaputo, i critici annoiati, ma lasciano quasi sempre indifferente se non infastidito e recalcitrante il pubblico. Titoli nuovi? quasi mai. In questa stagione ci ha provato, a Genova, Tutino con un titolo cavallo di battaglia e farina del sacco di Scarpetta, Fuirenze , al Maggio, con Guarnieri, e ci proverà Spoleto - un festival appunto - con una commissione, per il secondo anno consecutivo, a Silvia Colasanti che ha 'colpito al cuore', secondo le parole dell'interessato, il direttore artistico e regista Giorgio Ferrara.
I direttori artistici italiani, provinciali perlopiù, sperano di accreditarsi presso le élite culturali del paese - notoriamente a digiuno di musica, in Italia - con la proposta di titoli non popolari, come se la popolarità fosse nemica della qualità, e dimenticando che se alcuni titoli sono divenuti popolari lo devono alla loro grandissima qualità. Solo i capolavori possono vantare popolarità e calorosa accoglienza del pubblico, che non si stanca mai di ascoltarli. Le opere mal riuscite o addirittura abortite, e quindi dimenticate e non più frequentate, per quanti sforzi si facciano per riportarle in palcoscenico, possono semmai destare curiosità ma mai acquistare e vantare la stessa popolarità dei capolavori.
Alcuni anni fa, quando alla Scala c'era ancora Lissner e Barenboim, facemmo fare ad una giovane giornalista di Music@ un'inchiesta sui cartelloni operistici italiani ed esteri, che intitolammo, alla luce dei risultati: 'Violetta è emigrata all'estero'. Perchè dall'inchiesta venne fuori che i titoli del grande repertorio operistico - che salvo alcune eccezioni, è soprattutto costituito da opere italiane - erano presentissimi nei cartelloni stranieri, e quasi del tutto assenti nei nostri. E Barenboim, in particolare, a Berlino, dov'era stabile come alla Scala, faceva Verdi o Puccini che invece evitava quasi ostinatamente e accuratamente a Milano, al punto da meritarsi lui e Lissner severe critiche e la reazione dei loro successori (Pereira, Chailly) alla Scala che hanno voluto riconoscere a Puccini quel che è di Puccini: uno degli autori in assoluto più rappresentati nel mondo.
Viene di conseguenza da chiedersi che ne sarà del nostro grande repertorio e della tradizione esecutiva 'italiana' - per la cui conservazione qualche direttore si adopera, come nel caso di Muti - se proprio il nostro Paese le volta le spalle? L'allarme non è di poco conto.
E già. In questo mese di maggio se uno volesse ascoltare un titolo del grande repertorio, come Traviata, in Italia, non avrà vita facile. Dovrà cogliere al volo le recite che del capolavoro verdiano si fanno a Venezia, Genova (che ha in cartellone anche Lucia di Lammermoor), Trieste e Napoli . Perchè negli altri teatri va di moda il 'festival' dell'opera. A cominciare da Torino, da poche ore con un nuovo vertice, sbarca un musical: Evita; a Firenze Cardillac, per l'inaugurazione il Maggio; a Roma, Billy Budd, seguito da Erwartung; a Cagliari, Sancta Susanna, a Milano, dopo Francesca da Rimini ,prima dell'estate, fra maggio e giugno, Aida, Fierrabras, Il pirata. Venezia offre alcune recite di Traviata, che farà seguire da Il regno della luna di Piccinni; a Bologna, Capuleti e Montechi,; Verona, da poco affidata alla cantante-sovrintendente Cecilia Gasdia, Anna Bolena e Salome, prima del Festival estivo in Arena ; Trieste, oltre Traviata, L'Italiana in Algeri. A Palermo, i rarissimi titoli Die glueckliche Hand e Castello di Barbablu . A Napoli c'è Traviata, ma dopo Lady Macbeth di Sciostakovic e prima de Il cappello di paglia di Firenze di Rota. Bari ( l'unica fondazione che ha messo in cartellone, questa stagione, titoli del grande repertorio) ha già concluso a fine aprile la programmazione operistica, riprenderà in autunno con Tancredi di Rossini; nel frattempo concerti e balletto, poca cosa.
E' difficile attendersi che a questa singolare anomalia - l'assenza, cioè, nei cartelloni delle stagioni d'opera dei titoli del grande repertorio - possano rimediare, con la loro programmazione, i festival estivi, da Verona a Roma, da Macerata a Torre del Lago; per quanto, a leggere i rispettivi cartelloni pare che vi pongano rimedio, almeno in parte. Non ci resta che attendere stagioni più propizie al grande repertorio e tempi migliori per l'opera italiana.
Per ora continuiamo a chiederci: dove è finita la grande opera italiana? Che fine hanno fatto fare i teatri italiani a Verdi, Puccini, Bellini, Donizetti, Rossini... per fermarci a quelli straconosciuti?
Nessun commento:
Posta un commento