Continuano le tensioni sindacali al teatro La Fenice di Venezia. Dopo le proteste per la nomina di Beatrice Venezi a direttrice musicale, i dipendenti del teatro hanno chiesto ufficialmente anche la revoca del sovrintendente, Nicola Colabianchi. "Il risultato della manifestazione del 17 ottobre con oltre duemila persone - scrivono i sindacati dell'ente lirico - ha dimostrato che la Fenice non accetta di essere guidata senza rispetto, senza ascolto e senza visione. La mobilitazione - concludono - non si fermerà fino a quando non verrà ristabilito un clima di rispetto, trasparenza e partecipazione all'altezza della Fenice".
Colabianchi non ha commentato la nuova protesta di orchestrali e coro. Il sindaco, nonché presidente della fondazione della Fenice, Luigi Brugnaro, ha definito la situazione "irrispettosa verso il pubblico e violenta contro Venezi". Venerdì scorso c'era stato lo sciopero dei dipendenti della Fenice; domenica la lettura dell'ennesimo messaggio dal palcoscenico, poi nulla fino ad oggi con la richiesta delle dimissioni del sovrintendente.
Nelle stesse ore dello sciopero, il sottosegretario del Ministero della Cultura Gianmarco Mazzi aveva diffuso un comunicato per criticare lo sciopero dei lavoratori e con il quale ricordava a tutti che: "La Fenice è finanziata ogni anno con 22 milioni. Come si dice, soldi che gli italiani pagano perché si lavori e si produca musica". Al di là dell'indelicatezza dell'espressione, le parole del sottosegretario sono rivelatrici di cosa potrebbe cambiare se, a breve, entrasse in vigore il nuovo Codice unico dello Spettacolo.
Il Codice unico dello Spettacolo è un testo di legge che vuole riordinare l'intera disciplina del settore dello spettacolo, unificando e aggiornando le normative esistenti. In altri termini, dovrebbe stabilire i confini della natura di funzione pubblica che giustifica l’uso del denaro dei contribuenti per sostenere lo spettacolo dal vivo. La delega al governo per la sua redazione originariamente prevista da una legge del luglio 2022, con scadenza per il 2025, è stata prorogata fino a fine 2026.
La legge era stata votata dal precedente parlamento, poi tre mesi dopo ci fu un cambio di maggioranza con le elezioni vinte dal centrodestra. La nuova maggioranza ha segnato un deciso cambiamento di politica culturale, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere una nuova e diversa "egemonia culturale".
Il Codice non è ancora pronto, ma ne circola una bozza da diverse settimane. È evidente il cambio di paradigma: fin dall'inizio, nell’articolo 1, viene esplicitato il valore dello spettacolo come elemento identitario: si parla di "identità nazionale" e di "cultura musicale nazionale".
Il controllo dello Stato e il suo peso nella governance nei Teatri come la Fenice, ma lo stesso vale per La Scala, Il Regio e tutti gli altri, vengono stabiliti per legge: se ne fa carico l'articolo 47, dove si stabilisce che i Gran Teatri d’Opera (il nuovo nome attribuito alle attuali Fondazioni lirico-sinfoniche) devono coordinare la loro attività per "la valorizzazione delle grandi opere della tradizione italiana" con pochissimo peso dato alla sperimentazione e al rischio culturale. Torna il binomio identità e tradizione che permea tutta la nuova legge.
Torna anche il principio di declassamento di un teatro, (come è stato il caso recente della Pergola a Firenze che potrebbe perdere il livello di 'interesse nazionale' per motivi non chiari, se non riconducibili alle posizioni del direttore artistico Stefano Massini o ad un contrasto tra Comune e Governo), con conseguente taglio di fondi, il tutto a discrezione dell'esecutivo.
NOSTRO COMMENTO
Ci risiamo con gli analfabeti: si sente solitamente dire dal Ministero meloniano: 'vi diamo i soldi'. No, i soldi non sono né delle Fratelle Meloni, nè del ministro in carica e ancor meno del sottosegretario Mazzi che in assenza di capacità e professionalità del ministro gli fa da spalla; mentre anche lui, esattamente come B.V. non è all'altezza del compito - forse lo era a Sanremo! No, cari voi, i soldi alla Fenice come a tutti gli altri teatri li danno i CITTADINi. Alla Fenice 22 milioni di finanziamenti perchè ' si lavori e si produca musica'. Esattamente ciò che chiedono tutti e che da Giuli a Mazzi e dalle Fratelle Meloni a Colabianchi e B.V: fingono di non sentire. Se alla Fenice in questo momento, giusto le accuse di Mazzi, non si lavora e non si produce musica, è per via delle nomine, suggerite dal Governo, di persone INADEGUATE, all'incarico. Senza questo sopruso la Fenice avrebbe continuato il suo apprezzatissimo lavoro.
Invece il Governo ha voluto forzare la mano per vedere fin dove può spingersi. Del resto la rimodulazione dei Cdi, nella nuova composizione che il Governo ipotizza, con l'aumento del numero dei membri, e la presenza schiacciante di quelli di nomina governativa, mira a concedere, ope legis, ciò che ora le Fratelle Meloni, Giuli, Mazzi ed anche Brugnaro ( non ce lo dimentichiamo il fedele veneziano!), hanno fatto imponendo prima Colabianchi e poi da questi B.V.
Della quale, si viene a sapere, dalla lontana Argentina, che senza una lettera di raccomandazione anche quell'incarico 'di facciata' al Colon non le sarebbe stato concesso.
E poi già si ipotizza il compito istituzionale dei nostri teatri lirici che cominceranno col cambiare nome - del resto lo ha fatto anche Meloni cambiando MSI in Fratelli d'Italia: - in Gran Teatro d’Opera (il nuovo nome attribuito alle attuali Fondazioni lirico-sinfoniche); i quali devono coordinare la loro attività per "la valorizzazione delle grandi opere della tradizione italiana'. Questi purtroppo, ignoranti dalla nascita, non sanno che le opere dei nostri italiani, la nostra grande tradizione operistica, sono i più rappresentati nel mondo, oltre che in Italia. Dunque già avviene, vogliono che in Italia, vengano banditi i Mozart, i Wagner, i Bizet? Semmai dovrebbe essere custodita gelosamente e tramandata la 'grande tradizione esecutiva, interpretativa italiana, come va predicando da sempre Riccardo Muti. Non il repertorio, che già lo è, e non solo in Italia.
Prima vanno a casa tutti questi... da Giuli, Mazzi ed anche Colabianchi e B.V - e meno danni avremo. Certo meglio sarebbe che andassero a casa anche le Fratelle, ma questo dipende dagli elettori - e non è detto che, dopo questo ennesimo scandalo veneziano, non ci stiano già facendo un pensierino. (Pietro Acquafredda)

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