A meritare a Nicola Colabianchi la sovrintendenza del Teatro lirico di Cagliari è stata la precedente storica esperienza all'Opera di Roma per volontà di Alemanno, mentre ora il merito va tutto alla Meloni. Leggete qui
All'epoca
dello sbarco all'Opera di Roma della coppia De Martino-Colabianchi
(quest'ultimo come consulente alla direzione artistica),per volontà
di Alemanno, questo scrivevamo sul bimestrale, da noi diretto,
Music@, in un articolo intitolato 'Opera di Roma Kaputt' ( P.A.)
A
metà aprile 2009, Alemanno annuncia il commissariamento dell’Opera,
e lui ne è il commissario. Provincia e Regione, soci fondatori del
teatro, scalpitano, e scalpiteranno ancora di più quando uscirà
anche Nicola Sani che è il loro fiore all’occhiello.Via Francesco
Ernani che riceve alla sua uscita dal teatro un calorosissimo
abbraccio da tutto il personale del teatro; via Nicola Sani che
dichiara di lasciare al consulente appena nominato da Alemanno alla
direzione artistica, Nicola Colabianchi, una stagione con i fiocchi.
Colabianchi , a sua volta, tenta in tutti i modi di costruirsi una
storia professionale che sinceramente non ha, con tutta la
benevolenza possibile, mentre si attende il nuovo sovrintendente, la
cui nomina viene continuamente annunciata e continuamente rimandata.
Colpo di scena. La Regione punta i piedi, vuole che prima della
nomina del nuovo sovrintendente venga ricostituito il Consiglio di
amministrazione e che il Ministero, che ha commissariato il teatro,
dica come ripianare il deficit, ammesso che sia così grande come
Alemanno va dicendo e che non possa essere sanato con opportuni
tagli come del resto già Ernani aveva subito provveduto a fare.
Anche Alemanno dice di aver incontrato il ministro per domandargli
risorse per ripianare il deficit e far uscire il teatro dal
commissariamento. Altro colpo di scena. Il 12 giugno Alemanno nomina
sovrintendente ad interim non Chiarot, il cui arrivo veniva dato
ormai per certo ed imminente, ma Catello De Martino. Chi è costui?
E’ direttore del personale del teatro dal 1 maggio 2009,
proveniente con la medesima mansione dall’Accademia di Santa
Cecilia, dove era arrivato dall’Italgas, ravvisandovi in lui ,
secondo quanto si legge nel decreto di nomina di Alemanno: “ la
figura professionale in grado di assolvere con competenza ed
esperienza le funzioni di Sovrintendente”. Non ci soffermiamo a
sottolineare che in tale attestazione di competenza non c’è una
sola riga che possa, verosimilmente, corrispondere al vero, se si
riflette appena sul fatto che la sua funzione di direttore del
personale non l’ha mai messo a parte della responsabilità di una
istituzione che opera nel campo della musica, responsabilità che
all’Accademia appartenevano a Cagli ed a Roberto Grossi, direttore
generale ed ora nominato alla presidenza di Federculture. Il dott.
De Martino non vanta competenza alcuna in tale campo, ed il M.
Colabianchi, che lo affianca nella direzione artistica, ha un
curriculum professionale di pochissimo valore, certamente ben
lontano da quello che a chicchessia potrebbe far meritare un
simile incarico. Come si vede il Teatro della Capitale, un tempo
glorioso, è finito nelle mani di persone assolutamente non
all’altezza del compito, e le conseguenze si vedono già. Si dice
che al M. Chung, che sarebbe dovuto ritornare la prossima stagione
con un Simon Boccanegra,
il teatro abbia proposto un Roberto
Devereux e che la risposta del celebre
direttore coreano sia stata di imbarazzo. E’ facile immaginare che
più tempo resteranno ai lori rispettivi incarichi De Martino e
Colabianchi e più il teatro subirà durissimi colpi nell’
immagine e, soprattutto, nella qualità. Insomma , siccome, a
giudicare da queste due recenti nomine, il commissariamento non
terminerà nei tempi previsti, e cioè il 3 luglio, c’è da temere
che nel frattempo il teatro venga distrutto, per mano di colui che
s’era autoproclamato salvatore del teatro. Siamo davvero stupiti!
Mentre non siamo stupiti affatto, conoscendo da tempo l’indifferenza
del mondo musicale, dell’assordante vergognoso silenzio del mondo
musicale romano che , ufficialmente, è rimasto muto a guardare,
contando forse sull’antico adagio latino: mors tua vita mea!
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