«In questo momento cruciale della storia, ci è stata affidata una grande missione: risvegliare in tutti gli uomini e le donne il loro senso di umanità e del sacro». Leone XIV si rivolge nell’Aula Paolo VI al leader di tutte le religioni, «come capi religiosi, guidati dalla saggezza delle nostre rispettive tradizioni, condividiamo una responsabilità sacra: aiutare il nostro popolo a liberarsi dalle catene del pregiudizio, dell’ira e dell’odio». Poco prima al Colosseo ha concluso l’incontro interreligioso «Osare la pace», organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, con un appello vibrante: «Mai la guerra è santa, solo la pace è santa, perché voluta da Dio! Basta guerre, con i loro dolorosi cumuli di morti, distruzioni, esuli!». I responsabili delle fedi hanno un compito comune, ha detto: «Dobbiamo far sì che tramonti presto questa stagione della storia segnata dalla guerra e dalla prepotenza della forza e inizi una storia nuova. Non possiamo accettare che questa stagione perduri oltre, che plasmi la mentalità dei popoli, che ci si abitui alla guerra come compagna normale della storia umana. Basta! È il grido dei poveri e il grido della terra. Basta! Signore, ascolta il nostro grido!».
Ed ora, in Vaticano, il pontefice interviene a celebrare i sessant’anni della Nostra Aetate, la dichiarazione conciliare che ha mostrato come «le religioni, da “sorelle”, devono favorire che i popoli si trattino da fratelli, non da nemici» e soprattutto il testo che segnò una svolta nei rapporti della Chiesa cattolica con gli ebrei: «Per la prima volta nella storia della Chiesa, abbiamo un testo dottrinale con una base esplicitamente teologica che illustra le radici ebraiche del Cristianesimo in modo biblicamente fondato. Allo stesso tempo, Nostra Aetate prende una posizione ferma contro tutte le forme di antisemitismo», ricorda Leone parlando in inglese. Fino al Concilio Vaticano II, difatti, era stata fatta gravare sul popolo ebraico l’accusa, insensata, di «deicidio», matrice dell’antigiudaismo che ha provocato secoli di persecuzioni e pogrom. La Nostra Aetate, il 28 ottobre 1965, mise le cose in chiaro: «Se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo».
Del resto, nella dichiarazione conciliare la Chiesa cattolica «non rifiuta nulla di ciò che è vero e santo in queste religioni, che “riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”, le considera con sincera riverenza e invita i suoi figli e le sue figlie, attraverso il dialogo e la collaborazione, a riconoscere, preservare e promuovere ciò che è spiritualmente, moralmente e culturalmente buono in tutti i popoli». Soprattutto, «insegna che non possiamo veramente invocare Dio, Padre di tutti, se ci rifiutiamo di trattare in modo fraterno ogni uomo e ogni donna, creati a immagine di Dio», considera Prevost: «Questo documento storico ci ha aperto gli occhi su un principio semplice ma profondo: il dialogo non è una tattica o uno strumento, ma un modo di vivere, un cammino del cuore che trasforma tutti i suoi protagonisti, chi ascolta e chi parla. Inoltre, percorriamo questo cammino non abbandonando la nostra fede, ma restando saldamente al suo interno».
Sessant’anni dopo, «il messaggio di Nostra Aetate rimane più urgente che mai», fa notare Leone XIV: «Il frastuono della guerra, le ferite della povertà e il grido della terra ci ricordano quanto fragile rimane la nostra famiglia umana. Molti si sono stancati delle promesse, molti hanno dimenticato come sperare». Bisogna aiutare la gente «a elevarsi al di sopra dell’egoismo e dell’autoreferenzialità», e «sconfiggere l’avidità che distrugge sia l’animo umano sia la terra», conclude: «In questo modo, possiamo guidare i nostri popoli a diventare profeti del nostro tempo, cioè voci che denunciano la violenza e l’ingiustizia, curano le divisioni e proclamano la pace per tutti i nostri fratelli e sorelle».


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