Va annullata per eccesso di potere l’ordinanza del ministero dei Trasporti e delle infrastrutture con la quale il ministro Matteo Salvini, aveva giocato la carta della precettazione, riducendo da 24 a 4 ore, lo sciopero del trasporto pubblico locale del 15 dicembre 2023. Il Tar Lazio, condanna il Mit a pagare le spese legali e accoglie il ricorso dell’Unione sindacale di base.
I giudici amministrativi spiegano, infatti, che, come regola spetta alla Commissione di garanzia il compito di segnalare alla Presidenza del Consiglio il «fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona», in caso di sciopero di un servizio pubblico essenziale. Mentre il Presidente del Consiglio, o il ministero delegato, può agire «di propria autonoma iniziativa solo nei casi di necessità ed urgenza». Necessità e urgenza che vanno motivati. Un potere di iniziativa “condizionato” «proprio per limitare il più possibile l’ingerenza “politica” sul diritto di sciopero. In assenza dunque di una preventiva segnalazione della Commissione dunque il ministro può adottare il provvedimento extraordinem, solo chiarendo espressamente quali sono i presupposti che lo legittimano.
L’iniziativa dell’autorità politica scatta quindi per i casi eccezionali che la Commissione di Garanzia non ha potuto prima valutare. Nel caso specifico l’ Autorità di settore ha adottato solo un invito formale alle organizzazioni sindacali, per evitare la rarefazione oggettiva dello sciopero, «invito osservato ma – a differenza di quanto avvenuto in fattispecie precedenti – nulla ha ritenuto di raccomandare, neppure nell’esercizio dei suoi poteri atipici, alle medesime Organizzazioni né tanto meno di segnalare al Ministero in ordine all’adozione dell'ordinanza di precettazione».
Visto che l’ordinanza impugnata è stata «adottata senza la previa segnalazione da parte della Commissione, risultavano indispensabili la chiara esplicitazione delle speciali ragioni di necessità e di urgenza, relative a fatti sopravvenuti eventualmente occorsi a ridosso dell’astensione, tali da legittimare l’intervento officioso del Ministro. Sennonché - si legge nella sentenza - nessuna adeguata indicazione in tal senso è dato rinvenire nel provvedimento avversato, in cui il Dicastero si è limitato a far riferimento a fatti e a circostanze già conosciute dalla Commissione ed evidentemente non ritenute idonee a concretizzare l’invito a provvedere».
I giudici amministrativi sgombrano il campo dall’equivoco che l’autorità politica debba essere degradata «a mero braccio operativo della Commissione, atteso che la prima: i) in caso di segnalazione quest’ultima, può sempre astenersi dall’adottare l'ordinanza di precettazione, ove non ne condivida la valutazione; ii) resta titolare autonoma del potere d’impulso, ove enuclei ed espliciti profili di necessità ed urgenza, cioè profili diversi - e segnatamente sopravvenuti - rispetto a quelli già valutabili dalla Commissione, che attualizzino l’indilazionabilità dell'intervento».
Per il Tar passa la tesi del ricorso, in quanto il provvedimento è «affetto da violazione di legge e da eccesso di potere per carenza di presupposto, con riferimento alla fase di impulso dell’esercizio del potere». Il Mit deve pagare le spese processuali e ordinanza è annullata
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