Cinque giorni dopo il voto che lo ha incoronato ancora una volta presidente della Russia, Vladimir Putin affronta il primo grande snodo del suo nuovo mandato. L'attacco alla Crocus City Hall di Krasnogorsk, a nordovest di Mosca, è un test cruciale per il capo del Cremlino. Putin ha sempre voluto dare all'opinione pubblica russa il senso di sicurezza, una stabilità ottenuta anche attraverso una repressione sempre più meticolosa. Ma, adesso, la "fortezza Russia" non appare più così impenetrabile. Colpita dall'esterno, con i droni e missili ucraini che riescono ad arrivare sempre più in profondità, e colpita dall'interno. Da quel fronte interno che ha segnato tutta la stagione di potere di Putin. Centinaia di morti che hanno spesso avuto origine nel fondamentalismo ceceno. Ma che per gli oppositori di Putin potrebbero avere un'altra regia, capace di andare oltre la rivendicazione dell'Isis: nei corridoi della Lubjanka, sede dei servizi segreti, o in qualche stanza del Cremlino.
I PUNTI
I punti interrogativi sono ancora molti. L'unica certezza è che Putin dovrà dare una risposta netta a un colpo al cuore del suo "impero". Da tempo gli esperti dell'intelligence, anche occidentali, temevano un attacco terroristico. Il 7 marzo, l'ambasciata degli Stati Uniti a Mosca aveva messo in guardia i cittadini Usa sul rischio di attentati. «L'ambasciata sta monitorando i rapporti secondo cui gli estremisti hanno piani imminenti per prendere di mira grandi raduni a Mosca, compresi i concerti, e i cittadini statunitensi sono avvisati di evitare grandi raduni nelle prossime 48 ore». Concerti come quelli della sala di Krasnogorsk che ieri è stata colpita dagli uomini in mimetica.
Putin è a un bivio. Da un lato può rafforzare l'unione di intenti del popolo con il leader, saldata dal terrore dopo un'elezione plebiscitaria. Un nemico, anche interno, rappresenta un elemento che può compattare il Paese. Dall'altro lato però, in questo attacco si avverte anche un senso di debolezza. La fragilità di un sistema che si credeva intoccabile e che invece non lo è. In questi giorni, il presidente aveva fatto chiari riferimenti alla sicurezza. «Oggi, e in modo speciale oggi, rafforzare le capacità di difesa e di sicurezza dello Stato russo. È particolarmente importante», aveva detto il capo del Cremlino il 19 marzo ai leader dei partiti nella Duma. E pochi giorni dopo, aveva assicurato che avrebbe fatto "di tutto" per rispondere alla fiducia dei suoi connazionali. Il Paese «ha fiducia nella sua forza e nel suo futuro» ha detto Putin. E in quel "di tutto" potrebbe anche esserci la risposta da dare a questo attentato e ai nemici che saranno individuati. La Casa Bianca, attraverso il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby, ha subito assicurato che «non ci sono indicazioni che l'Ucraina o gli ucraini siano coinvolti nell'attacco a Mosca». Affermazioni cui ha risposto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. «Se gli Stati Uniti hanno o avevano dati attendibili su quanto accaduto, allora devono immediatamente trasferirli alla parte russa», ha scritto la funzionaria sul suo canale Telegram. Mentre l'intelligence di Kiev ha subito rilanciato l'ipotesi dell'attacco orchestrato da Putin: «Una provocazione deliberata del regime». Oltre all'Isis, non mancano poi le piste interne. C'è chi ri-agita lo spettro ceceno, da sempre tragico protagonista del terrore che ha colpito la Russia e primo grande nemico di Putin durante la sua ascesa politica. Un'altra pista che potrebbe essere individuata dai servizi russi potrebbe essere quella delle milizie anti Putin e filo-ucraine che in questi mesi hanno bucato la rete di sicurezza degli oblast di confine.
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