Al netto di tante ipocrisie, molti cattolici (e non solo cattolici) sono rimasti un po’ perplessi, nei giorni scorsi, per quanto Bergoglio ha detto sulla guerra in Ucraina. Pure noi siamo rimasti sorpresi quando ha usato nei confronti di chi ha aumentato le spese militari per aiutare l’Ucraina parole più forti ("pazzi, vergogna") di quelle che aveva usato nei confronti dell’aggressore, mai citato esplicitamente.
Anche ieri il papa non ha nominato né Putin, né la Russia. Ha però parlato di "potenti" che scatenano la guerra "per interessi nazionalistici" e il riferimento al dittatore russo è parso più che evidente. Forse il papa aveva il dovere di essere prudente nelle prime fasi della guerra; forse aveva il dovere prima di volare alto - condannando la guerra in senso generale, in quanto frutto dell’egosimo e della cattiveria umana - e poi di cercare uno spazio per la diplomazia. E tuttavia - ripeto - è innegabile che molti cattolici e - di nuovo ripeto - non solo cattolici siano rimasti perplessi per un atteggiamento che sembrava troppo timido.
Ora che le speranze di una rapida soluzione per via diplomatica sono svanite, visto che Putin continua la mattanza anche durante i colloqui per una tregua, il Papa inserisce nei suoi discorsi la differenza, che finora era mancata, fra aggredito e aggressore; e arriva a ipotizzare un suo viaggio a Kiev. Quel viaggio che il grande regista bolognese Pupi Avati aveva invocato nei giorni scorsi, con un appello lanciato dal nostro giornale.
E appunto è bastata l’ipotesi di un viaggio per riaccendere la speranza. Ma che cosa può fare un uomo solo e disarmato? Questo è il paradosso del cristianesimo, rovesciamento della logica del mondo. Il papa (chiunque esso sia) indica un qualcosa che va oltre, richiama tutti noi a un desiderio che né la politica, né l’economia, né le armi possono soddisfare. Se così non fosse, del viaggio a Kiev di un vecchio vestito di bianco e senza divisioni non interesserebbe niente a nessuno.
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