Si dirà: vincere una classifica sulla qualità della vita in una città in cui agli stabilimenti balneari puoi arrivare a piedi e sei in grado di raggiungere i sentieri del Carso o i boschi della Slovenia in mountain-bike non deve essere poi così difficile. Il punto di partenza è solido, su questo non ci sono dubbi, ma il primato di Trieste nella Qualità della vita – per la terza volta dopo i successi del 2005 e 2009 – non è solo figlio di una “location” fortunata, potendo contare su radici salde in tutte le categorie prese in considerazione nell’indagine del Sole 24 Ore.
Un successo, quello della provincia di Trieste, a cui si accompagna il 7° posto conquistato da Pordenone, il 9° di Udine e il 23° di Gorizia, a conferma che il Friuli Venezia Giulia resta uno dei posti in cui si vive meglio.
Nel dettaglio, il capoluogo regionale è primo nella categoria Cultura e tempo libero, secondo in Affari e lavoro, quarto in Ambiente e servizi e si piazza più che discretamente alle voci Demografia, società e salute (30°) e Ricchezza e consumi (31°), lontano dalle parti nobili della classifica solo in materia di Giustizia e sicurezza (97°): una posizione, quest’ultima, caratterizzata tuttavia da un alto tasso di denunce, figlio anche della fiducia nello Stato.
Sul fronte culturale la città che è stata di Svevo e di Saba, di Joyce e di Rilke, vanta il primato nell’indice di lettura, con una diffusione media di 34,4 copie di quotidiani, mensili e settimanali ogni 100 abitanti, e nella spesa dei Comuni per la cultura (53,3 euro pro capite per alcuni capitoli), mentre è seconda a livello di patrimonio museale e terza a livello di formazione continua. Non è un caso, quindi, che sia stato sottoscritto un «Patto di Trieste per la lettura» a regia municipale e che per il centro sia stata presentata la candidatura a Città creativa per la letteratura Unesco: per questo, è stata messa sul piatto un’offerta letteraria di primo piano non solo in italiano, ma anche - a testimonianza dei suoi tratti mitteleuropei – in sloveno e in tedesco grazie ai lavori di scrittori residenti come Boris Pahor e Veit Heinichen. Il livello medio di istruzione dei lettori giuliani, del resto, è di tutto rispetto: la “città dei venti” – prendendo a prestito il titolo di un libro scritto da Heinichen e Ami Scabar – conta il 75% di persone almeno diplomate tra i 25 e i 64 anni e il 41,8% di laureati o possessori di altri titoli terziari fra i 25 e i 39 anni, dati che la collocano rispettivamente al secondo e al terzo posto su scala nazionale.
I numeri sono positivi anche se si guarda al tessuto economico-lavorativo: il tasso di occupazione per la fascia dai 20 ai 64 anni tocca il 75,2% (quarta in Italia) ed è da decimo posto, per la bassa incidenza, il 13,9% di giovani fra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano. Trieste è seconda sul podio anche per la creazione di nuove imprese (5,2 ogni 100 registrate) e per la presenza di imprese straniere (0,2 ogni 100), ma in questo caso si tratta di numeri da contemperare con il 101° posto per l’elevato livello di imprese cessate - 4 ogni 100 registrate – indice forse, più che di uno spirito imprenditoriale accentuato, delle ormai minori capacità di assorbimento di lavoratori dipendenti da parte di un tessuto economico cittadino in cui il comparto servizi – a partire da quelli pubblici e assicurativi - ha avuto sempre un ruolo di primo piano.
Tutto bene, quindi? Relativamente. In una città che dopo la caduta del Muro di Berlino ha ritrovato il proprio retroterra naturale, la spinta a crescere - certificata anche da fondi Pnrr per quasi mezzo miliardo destinati soprattutto allo scalo marittimo - deve fare i conti con la demografia. Che nel caso di Trieste, con 47,3 abitanti dai 65 anni in su per ogni 100 residenti in età attiva (15-64 anni), fotografa una delle città più vecchie d’Italia, scesa per la prima volta dopo oltre un secolo sotto i 200mila residenti.
L’età avanzata dei triestini deve fare i conti anche con l’emergenza Covid: 86,9 casi ogni mille abitanti nel 2021, secondo gli ultimi dati analizzati nell’indagine, e 106° posto a livello nazionale.
In questo contesto, il blocco temporaneo dello scalo durante la protesta contro l’introduzione del green pass sui luoghi di lavoro, indetta da parte dei portuali e poi tracimata a cadenza settimanale lungo le vie del centro, se alla fine ha procurato danni relativi all’attività marittima, ha tuttavia trasformato Trieste nella città simbolo delle proteste no vax e causato un danno d’immagine. Con conseguenze sul fronte turistico, prima dell’epidemia asset strategico in continua crescita, in particolare per esercenti e albergatori.
Agli assembramenti di questo periodo è stato attribuito un ruolo importante nel riportare il Friuli Venezia Giulia, prima regione in Italia, in zona gialla, anche se tutt’altro che trascurabile può essere definita la vicinanza con la Slovenia (53% di vaccinati) e con la stessa Austria (65% di vaccinati), territori con cui l’interscambio di persone è continuo e che ancora più di Trieste - porta d’entrata anche del flusso migratorio proveniente dai Balcani - contano su uno significativo zoccolo duro di no vax.
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