Rispetto a vent’anni fa, le ragazze del Conservatorio sono quasi raddoppiate. «Direi un 40% in più — precisa Cristina Frosini, dal 2016 alla guida dell’ateneo musicale —. La presenza femminile da noi è cresciuta tantissimo. Non solo, le donne stanno sempre più occupando quegli spazi un tempo considerati feudi maschili».
Per esempio? «La direzione d’orchestra, la composizione, la direzione di coro… Classi dove le donne, fino a pochi anni fa erano delle vere mosche bianche. Mentre adesso nelle file della composizione le allieve sono un 30 per cento più e ci sono pure due docenti donne. E le iscritte a direzione d’orchestra sono triplicate, una quindicina rispetto alle 4/5 di un quinquennio fa. Il podio non è più un obiettivo per soli maschi, direttrici autorevoli se ne trovano sempre più».
Beatrice Venezi, vostra ex allieva, si è però lamentata di esser stata scavalcata in prima battuta da un maschio. «Può capitare di dover ripetere un esame. E la colpa non è del sesso ma della preparazione. Come tanti, Venezi è passata al secondo tentativo. E poi si è diplomata in direzione d’orchestra».
Ha anche sostenuto che non si teneva conto delle differenze fisiche, che il corpo femminile segue percorsi differenti da quello maschile. «Faccio mio quel che ha detto il maestro Vittorio Parisi, nostro docente di direzione d’orchestra, oltre che insegnante di Venezi: “La musica non è certo un fatto muscolare. Si sentono tesi assai fantasiose su direzione e anatomia femminile, ma se fosse un fatto atletico saremmo come i calciatori: carriera finita a 35 anni”. Sottoscrivo».
Sottoscrive anche che una direttrice può indossare sul podio abiti femminili? «Perché no? L’importante è che siano rispettosi del ruolo. Se qualcuna arriva con decolleté esagerati e gonne trasparenti… Sarebbe come se un direttore si presentasse in canottiera con i tatuaggi in vista. Non il modo migliore per conquistare la stima di chi devi guidare».
L’abito non fa il musicista, e il gender non è più di casa al Conservatorio? «Non certo al nostro. Che è multi-gender o, come si dice, gender fluid. Divisioni qui inesistenti, le etichette non ci interessano. Ciascuno scelga il suo orientamento sessuale come meglio gli pare, l’importante è che sia bravo».
Una regola che vale anche per gli strumentisti? «Eccome. Negli ottoni, sezione una volta tipicamente maschile, adesso le ragazze vanno fortissimo. Molte le corniste, ormai presenti spesso nelle file delle orchestre. E ci sono delicate fanciulle che suonano il trombone, il basso tuba, il fagotto. Prova che anche i polmoni non conoscono limiti di sesso. E così pure le percussioni, molto ambite dalle donne. D’altra parte, uno strumento “al femminile” quale l’arpa, ha conquistato adepti maschili. Un paio di arpisti militano nelle nostre file. Non molti, è vero, ma un tabù si è infranto. Senza contare Fabrice Pierre, uno dei massimi arpisti al mondo, che qui viene a tenere masterclass».
Ogni barriera è quindi ormai caduta? «Con una sola eccezione, il jazz. Che resta territorio esclusivamente e implacabilmente maschile. Non per un fatto ideologico ma culturale. Mai capitata una ragazza che voglia iscriversi a batteria jazz o basso elettrico. Alla prima che si presenta, regalerò dei fiori. Del resto, anche al Politecnico fino a qualche tempo fa facevano sconti alle ardimentose tentate da Ingegneria. Invece il canto jazz è diffusissimo tra le ragazze».
Resta il problema linguistico. La donna che impugna la bacchetta va chiamata direttore o direttrice? «L’autorevolezza non si conquista usando il maschile. Anzi, io penso che bisognerebbe essere orgogliose di declinare professioni prima appannaggio degli uomini al femminile. Direttrice, assessora, pretora, sono segni di conquiste culturali e sociali. Quanto a me, direttrice o direttore, fa lo stesso. Quel che conta è che anche nel mio ruolo siamo cresciute. Quando sono stata nominata, su 80 direttori di conservatori italiani, eravamo 5 donne. Adesso siamo 10. Sempre poche, ma raddoppiate. L’importante è che vada avanti così».
Nessun commento:
Posta un commento