giovedì 22 dicembre 2022

Putin: questa guerra è una tragedia, ma le colpe non sono nostre ( da Corriere della sera, di Marco Imarisio)

 Quello che sta accadendo è una tragedia, ma la colpa non è nostra, e sono sicuro che tutti voi siete d’accordo con quanto ho appena detto». Stacco della telecamera, e carrellata sui vertici delle Forze armate. Il discorso sullo Stato della nazione russa è stato ufficialmente cancellato, con una nota del Cremlino. Ma in compenso ieri è andato in onda un nuovo capitolo dell’opera di collettivizzazione delle responsabilità, alle quali il presidente russo si sta dedicando da tempo. Per due volte c’è stata questa sorta di ammiccamento, davanti al collegio allargato del ministero della Difesa, durante un messaggio trasmesso in diretta. Per la cronaca, è apparso in buona forma.

«Massive speech», era l’annuncio sul sito del Cremlino, ribadito dal portavoce Dmitry Peskov. È la formula usata per comunicare che il presidente dirà cose molto importanti. Il discorso di Putin è sembrato soprattutto un lungo lancio di messaggi in bottiglia, rivolti a destinatari diversi. Ai militari è stata perdonata la lentezza dell’Operazione militare speciale. Gli obiettivi saranno raggiunti, un mantra ormai ripetuto ad ogni occasione. Tutte le richieste dell’esercito saranno esaudite da parte del governo. «Non esistono limiti al finanziamento, il Paese concederà tutto quel che chiedete», ha detto lo zar.

Ma questo non significa il ritorno all’economia di guerra, uno dei tanti spettri del passato. Putin si è rivolto direttamente ai cittadini che temono un peggioramento del livello di vita dovuto ad una notevole crescita della spesa militare, confermato dalla contestuale promessa, «ormai è quasi pronto», dell’imminente operatività del missile intercontinentale Satan II. La Russia «non ripeterà gli errori del passato». Non ci sarà alcuna militarizzazione del Paese e della sua economia, tutti i programmi sociali saranno rispettati. Un possibile significato implicito di questo passaggio è che occorre prepararsi a un conflitto che andrà ben oltre la tanto annunciata offensiva di primavera.

Il presidente russo ha dato un contentino anche al Partito della guerra e ai propagandisti più estremi, affermando che il ministero della Difesa, spesso oggetto dei loro strali, deve «valutare con attenzione tutte le iniziative civili, tenere conto delle critiche e reagire ad esse tempestivamente, perché bisogna dare ascolto a chi non tace sui problemi esistenti». Ce ne sono, eccome.

«La situazione è estremamente complicata», ha detto, facendo riferimento alle quattro regioni ucraine annesse alla Russia lo scorso settembre, ed esortando i vertici dell’esercito a identificare «traditori, spie e disfattisti». Per la seconda volta negli ultimi venti giorni, il Cremlino riconosce che la guerra non sta andando secondo i piani. All’inizio di dicembre, Putin aveva infatti definito l’Operazione militare speciale come «un processo a lungo termine».

Infine, l’Occidente, i cui Paesi sono «avversari strategici» della Russia e da secoli tentano di indebolirla e disintegrarla. Lo sguardo è ormai rivolto altrove. L’ennesima conferma arriva dall’incontro avvenuto proprio ieri a Pechino tra il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza, il loquace Dmitry Medvedev, e il presidente cinese Xi Jinping, che ha comunque auspicato «una soluzione pacifica» per l’attuale conflitto.

Quanto all’Ucraina, Putin ha detto di considerare il suo popolo «fratello del nostro», ribadendo che secondo lui la Russia non ha niente da rimproverarsi. «Nella dichiarazione di indipendenza seguita alla dissoluzione dell’Urss, era scritto che Kiev sarebbe rimasta neutrale… Per decenni abbiamo tentato di costruire relazioni nelle nuove condizioni geopolitiche: abbiamo concesso crediti, abbiamo fornito per anni risorse energetiche gratis. In Ucraina non funzionava nulla».

Le cattive notizie vengono sempre affidate ad altri. Il ministro della Difesa Sergei Shoigu ha annunciato che l’organico delle Forze armate aumenterà fino ad un milione e mezzo di soldati. L’età della coscrizione salirà per gradi dai 18 ai 21 anni, e il tetto massimo della leva dai 27 ai 30 anni. La mobilitazione parziale è finita, ma non troppo. E neppure una parola su eventuali negoziati di pace.

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