Chi legge del mio dispiacere, e conosce qualcosa dei miei trascorsi con Guido, pensa senz'altro si tratti di un dispiacere 'di circostanza'. Non è così, perchè la scomparsa improvvisa di una persona, in età non avanzata, con la quale hai condiviso a lungo un'esperienza lavorativa non può, in nessun caso, lasciare indifferenti. Anche se l'epilogo di quella esperienza non fu dei più felici, anzi decisamente traumatico e mi ferì enormemente.
Voglio raccontarla quella esperienza.
Devo tornare, per questo, indietro, agli anni di Piano Time, la rivista che fondai esattamente quarant'anni fa e che fu tra le più prestigiose, seguite ed innovative di quegli anni (sarebbero venute dopo Amadeus, Il Giornale della Musica , forse forti di quel successo sotto gli occhi ti tutti).
Diressi la rivista che avevo fondato per sette anni esatti, dall'aprile del 1983 al marzo del 1990. Verso la metà di quel settennato, consapevole che ormai la conduzione della rivista era diventata faticosa, proposi all'editore di far lavorare in redazione Guido Zaccagnini.
Non ricordo come lo conobbi. Ma forse me lo presentò Umberto Padroni comune amico e mio collaboratore preziosissimo da sempre. Guido aveva poco più di trent'anni, veniva dall'esperienza di 'Spettro sonoro', con lui Michele dall'Ongaro ed altri; aveva da poco registrato le musiche del filosofo Nietzsche edite con bel fascicolo illustrativo da Edipan, la casa editrice musicale fondata da Bruno Nicolai, con la quale collaboravo per diverse iniziative (i 'Salotti musicali' al Teatro Ghione, ad esempio, che io conducevo e che Fedele D'amico lodò affermando che se si fossero svolti a Milano invece che a Roma avrebbero avuto il teatro esaurito ogni sera) e prima di tutto alla nascita di una rivista musicale, in coppia con Daniele Lombardi, forte dell'esperienza e del successo di Piano Time - si era all'incirca a metà degli anni Ottanta - ma che poi abbandonai.
Dovetti porre fine anche ad altri lavori e collaborazioni, a cominciare da quella con l'Istituto dell'Enciclopedia Treccani, per la semplice ragione che dirigere, da solo, un mensile di un centinaio di pagine, e con mille iniziative editoriali e musicali in senso stretto, era diventato abbastanza impegnativo. Lasciai anche la trasmissione settimanale che conducevo su Radio Tre, dallo stesso titolo della rivista, facendola continuare da Maria Delogu, allora sposata con Claudio Casini.
Per questa ragione chiesi all'editore di assumere - non si prenda il termine in senso tecnico giuridico - come collaboratore Guido, che naturalmente fu felicissimo di entrare a lavorare nella redazione. Non credo che facesse altro all'epoca. Più tardi mi presentò Michele dall'Ongaro che allora stava lavorando con Daniele Abbado ad un progetto berlinese di suo padre Claudio. Gli feci scrivere sull'argomento un articolo per Piano Time e poi forse anche qualcos' altro.
Gli anni, due-tre, durante i quali Guido lavorò nella redazione passarono senza che ci fosse mai uno screzio fra noi, perchè andavamo d'amore e d'accordo. Di lui mi fidavo ciecamente, perchè era uno svelto, capace e con scrittura scorrevole. A lui potevo affidare qualunque incarico.
Quando nei primi mesi del 1990 ruppi con l'editore ( Publitarget, di Enzo Perilli e Paola Gabrielli - per la verità fu lui che volle rompere con me), la rivista restò senza guida. Per rimediare alla bell'e meglio, l'editore pensò di brandire per intanto Guido, dicendogli che lui avrebbe voluto da tempo affidargli la rivista, al posto mio, e che se, d'altro canto non gli aveva offerto un compenso congruo, come lui reclamava da me, era perchè io mi ero opposto. Una falsità evidente.
Chiaro che si trattava di una trappola nella quale uno sveglio come Guido non doveva cadere. E invece fu irretito dall'editore che non lo fece mai direttore, tanto per esser chiari, e che forse gli diede qualche soldo in più, mentre la direzione della rivista l'affidò a Piero Rattalino, uno dei più prestigiosi collaboratori da me chiamato, e ad Aldo Nicastro, altro collaboratore, specializzato soprattutto nel repertorio operistico ( la rivista, partita dal 'pianoforte' aveva poi allargato i suoi interessi a tutta la musica, pur mantenendo alcune caratteristiche dell' inizio, come le numerose, preziose e qualificate rubriche didattiche o storiche). Collaboratori ottimi, direttori incapaci che sono riusciti ad affossare una rivista che andava a gonfie vele.
Naturalmente dopo la rottura con l'editore, chiamai Zaccagnini per comunicargli la decisione ed evitargli mire fuori luogo. Ma lui, superbietto e 'con tanta voglia di crescere', credendo all'editore si illuse di poter fare il grande salto, e non si associò alla schiera di personalità del mondo musicale che protestò con l'editore e da quel momento interruppe la collaborazione con Piano Time, a cominciare da Sylvano Bussotti.
Il peccato, anzi l'errore, che a Guido non perdonai fu quello di aver supposto che da collaboratore poteva diventare direttore senza nessun problema, con un passaggio quasi naturale. E di una rivista che si identificava con la mia persona e che ne era la diretta e chiara espressione. Il che non avvenne e la storia successiva della rivista, che visse ancora alcuni anni, ma senza l'exploit dei primi, e poi chiuse miseramente, lo dimostrò.
Nel frattempo ebbi modo di parlare a Guido facendogli notare che se anche lui avesse in quel momento lasciato Piano Time, forse l'editore avrebbe potuto ripensare alla sua folle decisione.
Che nacque tutta da una leggerezza: avevo espresso a Roberto Furcht un giudizio non lusinghiero sull'editore - ma non era la prima volta che lo facevo con lui, essendo stato Furcht a suggerire all'editore di pubblicare una rivista che desse una mano al mercato del pianoforte, allora in calo. Non ho mai capito perchè quella volta Furcht, che condivideva nella sostanza i miei giudizi, lo abbia riferito all'editore che se la prese. E mi licenziò con un telegramma. Lui sa bene quanto caro gli costò quel telegramma.
Contrariamente ai miei buoni anzi ottimi rapporti con Guido quelli con l'editore non erano sempre stati dello stesso tenore, perchè lui non capiva nulla della materia, ma, nel contempo, non tollerava che io dirigessi la rivista dalla a alla z, avendo nel tempo imparato bene il mestiere, e non sopportava il successo della rivista che, alla fin fine, era il mio successo. Successo, sia chiaro, che mi ero guadagnato; e che mai e in nessun caso mi era stato regalato.
Zaccagnini approdò poi a Radio Tre, portatovi da dall'Ongaro che nel frattempo aveva acquistato una posizione di potere: era il responsabile della musica; il successivo passaggio, sempre per il tramite di dall'Ongaro, avvenne alla neonata Rai 5, dove quello con la vista più acuta, ci vedeva (e forse è ancora così) da un occhio solo. Naturalmente, nonostante avessi io collaborato a lungo con Radio Tre, i microfoni della radio 'culturale' vennero a me negati per sempre, da dall'Ongaro, e indirettamene da Guido, che a dall'Ongaro doveva la sua fortuna professionale successiva (la radio, non si dimentichi, dà una grande visibilità), e che non ha mai mosso un dito a mio favore. Non che ne avessi bisogno perchè ho fatto altro e con altrettanto successo e grande soddisfazione; e tuttavia voglio sottolinearlo.
Non molti anni fa feci una telefonata non certo conciliatrice a Guido, dove gli rinfacciai, con chiarezza ed anche durezza, l' inspiegabile comportamento ( che si rivelò, in fondo, autolesionista) che aveva avuto con me, e i suoi errori imperdonabili, primo fra tutti la sua aspirazione a diventare direttore di Piano Time mai realizzata, come avevo tentato di spiegargli all'indomani della mia uscita dalla rivista.
E se adesso esprimo il mio sentimento per la sua improvvisa scomparsa, lo faccio con altrettanta chiarezza e convinzione: mi dispiace.
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