Lucia Ronchetti alla guida della Biennale musicale per unire passato, presente e futuro
La direttrice si racconta in un'intervista rilasciata in esclusiva, parlando dell'evento e di come le donne possano emergere nel mondo della musica
Al via, in seno a La Biennale di Venezia, la Biennale Musica 2021, che si terrà dal 17 al 26 settembre nel cuore della città lagunare straripante, in un’edizione di fiduciosa rinascita postpandemica, di eventi culturali e manifestazioni multidisciplinari. Il 65° Festival Internazionale di Musica Contemporanea, che vanta la direzione della compositrice Lucia Ronchetti, ha come titolo Choruses–Drammaturgie vocali: una rivelazione dell’intento di porre al centro dell’attenzione il trattamento compositivo della voce. Attraverso una serie di concerti, installazioni sonore, happening vocali, incontri, conferenze, performances sperimentali, un’opera processionale e un lavoro di teatro musicale da camera che avranno luogo in diversi siti e teatri storici di Venezia, si presenteranno i differenti aspetti della vocalità nella produzione musicale contemporanea. Saranno coinvolti nel Festival importanti ensemble corali veneziani, il Coro della Cappella Marciana e del Teatro “La Fenice” di Venezia, accanto ad alcuni tra i più rappresentativi ensemble corali e vocali europei come il Theatre of Voices di Copenhagen, il SWR Vokalensemble e i Neue Vocalsolisten di Stoccarda, gli ensemble vocali Sequenza 9.3 e Accentus di Parigi, con la partecipazione dell’Orchestra del Teatro “La Fenice” e dal Parco della Musica Contemporanea Ensemble. Saranno presenti inoltre compositori di differenti generazioni che hanno realizzato importanti lavori vocali e corali a cappella, vocalists e performers di differenti tradizioni musicali, sound artists che integrano la voce nei loro progetti sonori. Senza trascurare l’aspetto divulgativo con incontri, conferenze e lezioni di musica in collaborazione con Rai Radio 3. La direttrice Lucia Ronchetti ne parla per La Voce di New York.
Esiste un filo rosso, o piuttosto una linea interrotta da rinsaldare che collega, sul piano vocale, la tradizione musicale veneziana alla contemporaneità musicale?
“Sicuramente esiste un forte collegamento tra lo sviluppo della polifonia vocale ideato e sperimentato dalla Scuola di San Marco nel 1500 e la scrittura vocale a cappella contemporanea. Possiamo dire che la scrittura vocale di oggi, basata sul valore sonoro del testo, sull’elaborazione di un contrappunto che prevede la creazione di uno spazio sonoro tra le voci e l’uso della emissione vocale non “operatica”, sia fondata sulle ricerche stilistiche della Scuola di San Marco. La storia della musica non è cronologica, è una linea virtuale verticale che affonda in profondità verso la stessa miniera sonora e anche i compositori che non sono coscienti del loro riferirsi al passato, in realtà fanno parte di una catena di comunicazione forte e costante che continuamente si ritrova su questa linea verticale. Come la più profonda miniera della terra, a Johannesburg, raggiunge i quattro chilometri di profondità, così la musica veneziana vocale del 1500 è la sorgente e il riferimento più forte e più profondo del nostro passato vocale. Nel festival sarà presente per la prima volta nella storia della Biennale Musica, il coro di San Marco, la Cappella Marciana, il coro nato per la scuola compositiva di Willaert, con due concerti fondamentali, i Liturgical Chants del compositore ucraino Valentin Silvestrov, per la rinascita della musica sacra contemporanea, e il concerto-installazione di Christina Kubisch, Travelling voices, nato dalla stretta collaborazione tra la sound artist tedesca e il direttore della Cappella Marciana, Marco Gemmani”.
La vocalità sarà esplorata in tutte le sue potenzialità. Può farci qualche esempio delle forme musicali che saranno esplorate e dei tipi di ensemble che saranno coinvolti nella Biennale Musica di quest’anno?
“Le forme della vocalità sono molteplici e straordinarie, perché non sono solo le forme della musica classica e del repertorio, ma anche quelle della coralità popolare e delle forme artistiche musicali non scritte, che hanno avuto un lungo sviluppo e una piena realizzazione in Italia, ma anche e soprattutto a Venezia. Nel festival si assisterà a forme vocali processionali (l’opera processionale di Marta Gentilucci creata dal coro Sequenza 9.3 diretto da Catherine Simonpietri), a concerti tradizionali con prime esecuzioni assolute (per esempio il lavoro After Arethusa di Sivan Eldar, creato dal coro accentus diretto da Marcus Creed), all’opera da camera Only the sound remains di Kaija Saariaho, vicina alla prime forme operistiche veneziane per molti aspetti, ad installazioni sonore site-specific basate sulle voci dei turisti e dei passanti (per esempio il lavoro di Chonglian Yu all’Arsenale che riconosce Piazza San Marco come un’opera vocale collettiva), ricostruzioni acustiche di concerti antichi in San Marco e del loro svanire nel tempo (il lavoro di Jack Sheen al Conservatorio), performance sperimentali dove frammenti di voci radiofoniche e campionate sono elaborate in tempo reale (la performance Zero di Daniele Carcassi al Teatro delle Tese), concerti con canzoni provenienti da varie tradizioni dove il cantante diviene un cantastorie contemporaneo (il concerto di Elina Duni) e a performance vocali di compositori/autori che attraverso la voce, parlano della loro personale esperienza di vita e del loro sguardo sulla realtà (Jennifer Walshe, Zuli, Joy Frempong)”.
Nella Storia della Musica, in alcune epoche parola e musica hanno avuto un rapporto osmotico, in altre l’una è stata ancella dell’altra. Quale pensa sia attualmente la valenza della parola nella musica contemporanea, nei lavori ove venga contemplata?
“Personalmente penso che il testo messo in musica sia alla base del lavoro compositivo, lo influenza e lo determina. Nella Querelle des bouffons, sarei senza dubbio per il primato del testo sulla musica, ma non nel senso della necessità di lasciare sempre chiaro il significato del testo, piuttosto nel senso della tradizione italiana creata da De Rore, Monteverdi, Gesualdo, Malipiero, Nono, Berio, Bussotti e Sciarrino grazie ai quali il testo è diventato esso stesso musica, attraverso il rispetto, l’analisi e l’ascolto del suono insito nella parola”.
Lei per prima, come compositrice, sonda le potenzialità drammaturgiche della voce. Crede che la parola nella musica colta possa avere ancora un legame vivo con la società, come è accaduto in altre epoche?
“Sicuramente è un legame forte e molto importante. Nel mondo dell’opera contemporanea, per esempio, il librettista lavora in collaborazione con il compositore e dal dialogo dipende la riuscita del lavoro e la possibilità di comunicare le proprie idee al grande pubblico. Le esperienze di collaborazione che hanno vissuto Francesco Cavalli con Cicognini, Claudio Monteverdi con Rinuccini, Lorenzo Da Ponte con Mozart e Hugo von Hofmannsthall con Strauss, hanno generato capolavori che il pubblico apprezza da tutti i punti di vista. Oggi molti compositori ricercano questo tipo di collaborazione forte e ideale. Non sempre si riesce, ma c’è sempre questo tentativo. Io attualmente sto collaborando con la scrittrice ucraina Katja Petrowskaja per un’opera per il Festival di Schwetzingen e l’Opera di Lucerna basata su Il Sosia di Dostoevskij e devo dire che il dialogo con Katija è talmente complesso, emozionante e fertile che diventa parte della drammaturgia, parte della partitura”.
Esiste, nell’Opera contemporanea, una continuità con la tradizione e in particolare col secolo aureo, l’Ottocento, tale da poter parlare ancora oggi di una specificità italiana nel mondo?
“Assolutamente sì, molti compositori sono attivi nella produzione di opere liriche in Europa e alcuni lavori hanno avuto un tale successo da essere stati ripresi da molte istituzioni nel mondo con molte nuove produzioni. I più riconosciuti sono sicuramente “L’amour de loin” di Kaija Saariaho, “Luci mie traditrici” di Salvatore Sciarrino, “Written on skin ” di George Benjamin, per parlare solo delle produzioni recenti. Ci sono vari compositori italiani attivi nel mondo operistico europeo, e, nonostante in Italia non vengano riconosciuti quali eredi dei grandi operisti ottocenteschi, all’estero nessuno ne dubita. Oltre a Salvatore Sciarrino, sono molto attivi e riconosciuti sul fronte operistico Luca Francesconi e Giorgio Battistelli. Oltre a questa realtà europea attiva e appassionata di musica italiana, penso che alcune opere di Gianfrancesco Malipiero, Luigi Dallapiccola, Sylvano Bussotti, Luigi Nono e Luciano Berio saranno nel futuro eseguite più regolarmente e repertorizzate anche in Italia”.
Ampio spazio sarà assegnato nella Biennale Musica 2021 all’elettronica, la cui cura sarà affidata al Centro di Informatica Musicale e Multimediale della Biennale di Venezia. Da compositrice, pensa che nell’era digitale l’elettronica, unitamente alle esperienze di spazializzazione del suono, debba essere un elemento maggiormente valorizzato nelle occasioni d’ascolto?
“La musica elettronica è un termine generale che contiene tanti significati e diverse tecniche ed esperienze d’ascolto. Viviamo in un’epoca in cui il suono registrato, amplificato e diffuso ci è accanto in ogni momento della nostra vita: dal supermercato all’aeroporto siamo in costante ascolto, volontario o passivo di suoni diffusi. Assistiamo anche all’adeguarsi progressivo delle performance live dei grandi solisti al suono che ormai riconosciamo come il più gratificante all’ascolto, che è quello delle registrazioni di grande livello. Questo significa che i compositori contemporanei e i performer devono riflettere sulle possibilità tecnologiche e sulla necessità dell’ascolto continuo che si è generata nelle nuove generazioni e lavorare artisticamente per la creazione di un nuovo repertorio di musica “elettronica” generata dalla diffusione del suono e dal suo trattamento. È un argomento complesso che affronterò nel terzo festival Micro-music nel 2023”.
Per quali ragioni ritiene sia ancora un universo pressoché sconosciuto al grande pubblico?
“La musica elettronica contemporanea si è sviluppata su vari fronti. I performer sperimentali e l’elettronica legata alla scena indie è molto complessa e sperimentale e ha un grandissimo pubblico. Tutto è relativo al modo in cui i concerti si propongono e alla tradizione dell’istituzione che organizza. Io voglio rispettare la tradizione della Biennale Musica, da sempre legata alla produzione colta di musica scritta, ma penso che in altri ambiti musicali siano presenti artisti importanti che meritano visibilità e dialogo con la musica colta. Per evitare che la musica colta diventi un reparto etnico, visitato dai soli addetti ai lavori, è importante istituire un dialogo, con il passato e con i vari fronti della contemporaneità, quello che spero di riuscire a fare nel futuro immediato”.
In questa edizione sarà dato anche largo spazio ai giovani autori, alcuni dei quali, selezionati da Biennale College, comporranno nuovi lavori ad hoc. Lei è anche una docente di composizione [ai Ferienkurse di Darmstadt e docente di composizione invitata presso la Hochschule für Musik und Darstellende Kunst Frankfurt, n.d.r.]. Percepisce in quest’epoca un rinnovato fermento creativo giovanile?
“Sì, penso che la nuovissima generazione di compositori sia straordinariamente colta, aperta e intelligente. Nel mio ultimo soggiorno a Darmstadt come docente di composizione ho incontrato giovanissimi compositori e compositrici che sono il frutto di una nuova libertà di formazione, persone in movimento e in costante ascolto di altre realtà musicali rispetto alle proprie e che capiscono meglio le proprie radici e le proprie tradizioni, proprio perché si confrontano con altre. Non hanno paura della propria religiosità, delle loro credenze, studiano le tecniche musicali precipue della loro tradizione musicale, cercano di capire l’origine della propria lingua e cultura. Penso che il mondo musicale stia cambiando in meglio”.
Le compositrici non sono ancora abbastanza valorizzate. Lei rappresenta un’eccezione virtuosa, anche se ha sostenuto di esser stata ostacolata all’inizio nei suoi studi musicali. Pensa che ci sia un’attenzione crescente nei confronti delle compositrici o che siano ancora destinate a rimanere all’ombra della storia com’è stato in passato?
“In Italia molte donne compositrici rimangono in ombra. Posso dirlo perché da quando ho iniziato a studiare composizione al Conservatorio di Santa Cecilia nel 1978, ho visto tante ragazze nei corsi di composizione e insegnando via via in tanti conservatori italiani, a Cagliari, Alessandria, Cosenza, Frosinone, Salerno, ho incontrato tante studentesse di composizione, ma nessuna di queste compositrici sembra essere presente nei grandi festival e nelle grandi stagioni concertistiche europee. Evidentemente, l’impatto con la realtà operativa dell’essere compositore dopo gli studi permane molto difficile. Le uniche compositrici italiane veramente presenti in Europa sono persone che da subito hanno deciso di andare via dall’Italia e di completare i loro studi all’estero. Basti citare per tutte tre compositrici straordinarie, Marta Gentilucci, Francesca Verunelli e Clara Iannotta che sono state vincitrici del Prix de Rome di Villa Medici, quindi riconosciute come grandi compositori dal governo francese, ma fuggite dall’Italia subito dopo il diploma e quasi sconosciute in Italia”.
La Biennale prevede anche incontri, conferenze e un ciclo di lezioni di musica dal vivo sulla polifonia vocale veneziana, in collaborazione con Rai Radio 3, condotte dal musicologo e compositore Giovanni Bietti. Quanto è importante, in generale, la divulgazione musicale per avvicinare una più larga fetta di pubblico alla musica contemporanea?
“Le Lezioni di Musica di Radio Tre, curate da Paola Damiani, non sono solo un mezzo divulgativo della musica classica e contemporanea, ma una produzione musicale importante, specifica della radio italiana, che prevede l’analisi e l’ascolto guidato dei grandi lavori musicali da parte di compositori e performer attivi e riconosciuti. È quindi la creazione di una collezione di visioni musicali da parte di musicisti attivi che, parlando di lavori importanti, espongono le loro idee estetiche e stilistiche. Per questo penso che sia importante coinvolgere questa realtà nel festival, come ritengo importantissime tutte le figure professionali legate alla teoria musicale e alla descrizione critica delle partiture. Vorrei che queste professioni trovassero nella Biennale Musica una possibile esibizione performativa, che il pubblico apprezzasse il discorso sulla musica quanto la musica stessa. Naturalmente i musicologi, critici musicali e giornalisti invitati saranno dei virtuosi, delle persone capaci di comunicare verbalmente e oratoriamente il proprio pensiero e la propria visione. La prima conferenza sarà tenuta da Gianmario Borio, responsabile musicale della Fondazione Cini, uno dei più riconosciuti e ammirati musicologi italiani”.
“Choruses” è un festival itinerante, una sorta di “pellegrinaggio musicale” attraverso luoghi e teatri storici di Venezia. Cosa si deve aspettare quest’anno di nuovo l’ascoltatore?
“Di nuovo, rispetto ai festival europei, c’è lo spazio temporale che occupa ogni composizione. Grandi lavori di 25 minuti e di un’ora intera che daranno all’ascoltatore la possibilità di capire a fondo quel lavoro e quello stile musicale, nell’ambito di concerti relativamente brevi, che non creeranno stanchezza e senso di soffocamento, almeno spero. Poi la ripresa della tradizione della Biennale Musica, il suo legame con le altre istituzioni musicali della città, San Marco, La Fenice, il Conservatorio, per un coinvolgimento attivo delle diverse professionalità musicali attive nella città. Il mio sogno è anche quello di coinvolgere nel futuro le Grandi Scuole veneziane e le chiese, sedi degli organi importanti della città, e far rinascere almeno virtualmente i tanti teatri musicali scomparsi che hanno dato luogo ad un repertorio ricco di capolavori eseguiti in tutto il mondo”.
Si aspetta che, dopo la parentesi pandemica, ci sia un maggiore desiderio delle persone di godere della musica dal vivo?
“Il desiderio è tanto ma anche la paura, vivremo ancora un periodo difficile fatto di sensazioni contraddittorie, che influenzerà il pubblico presente ai concerti. Ringrazio comunque il team e la direzione della Biennale del lavoro enorme che stanno facendo per realizzare tutti i festival dal vivo e in sicurezza, garantendo al pubblico la serenità necessaria per l’ascolto”.
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