Ho ascoltato la settimana scorsa ed anche questa mattina, con molta attenzione, mentre guidavo nel traffico di Roma, le lezioni che Giovanni Bietti, professore 'radiofonico' egregio, tiene ormai in ogni dove. Ora anche a Ca' Giustinian, dalla Biennale di Venezia 2021, per un festival di musica 'contemporanea', che l'ha invitato a parlare della musica sacra a Venezia, più generalmente della polifonia sacra, veneziana inclusa. Lui ha anche giustificato questa chiamata osando che non v'è musica più 'contemporanea' di quella monteverdiana, che contemporanea resterà in ogni tempo, esattamente come lo era quando fu scritta.
Grande la nostra curiosità, perchè la settimana scorsa alla fine della puntata dedicata alla polifonia 'veneziana'- dei cori doppi e spezzati, Bietti con esempi incontrovertibili ha dimostrato che non era pratica precipua veneziana né invenzione marciana, bensì di tutto il nord Italia, nel Cinquecento - annunciò che oggi si sarebbe occupato del Vespro di Monteverdi, pubblicato da Amadino (1610), sul quale da molti anni abbiamo condotto studi approfonditi, a seguito dei quali parliamo e correggiamo Giovanni Bietti.
Gli appunti che intendiamo muovere a Bietti sono più d'uno; e riguardano la composizione del Vespro, il suo stile, la sua destinazione e lo scopo, non tanto recondito, che con l'intera pubblicazione, che comprende anche una Messa, Monteverdi si era proposto. Tutti punti sui quali Bietti ha espresso inesattezze e qualche volta è anche incappato in errori gravissimi.
1. Dice bene Bietti quando afferma che quella edizione - che per noi è un' edizione 'delle meraviglie' - è una specie di catalogo degli stili musicali sacri in uso, antichi e moderni, che egli maneggiava con sicurezza. In procinto di lasciare Mantova per venire a Roma, dove sperava di ottenere un qualche incarico alla corte pontificia, Monteverdi dedica la raccolta a Papa Paolo V al quale recava in dono la 'summa' delle sue capacità di compositore. Senonché tutte le sue aspirazioni - oltre l'incarico per sé, sperava di far entrare il suo giovane figlio nel seminario romano - vennero deluse ed il musicista dovette tornarsene con suo figlio a Mantova, in attesa di una qualche nuova opportunità.
Dunque non è vero, come ha detto Bietti, che Monteverdi pensava ad un incarico veneziano quando pubblicò la famosa raccolta, bensì ad uno romano.
Tre anni dopo quel viaggio a vuoto, morì a Venezia il maestro di cappella di San Marco, Martinengo, e quella fu l'occasione per la sua nomina in San Marco, con l'insediamento che avvenne il 19 agosto 1613.
2. Dove Bietti commette un errore madornale - ma in questo non è certo né solo, né il primo e non sarà neppure l'ultimo - è quando va a spiegare l'intestazione latina della famosa edizione a stampa dell'Amadino, ed anche una dicitura più semplice che si trova all'interno della stessa: Vespro da concerto. Spiega Bietti: Monteverdi pensava anche ad una sua esecuzione fuori dalla liturgia, in 'concerto'. Bietti deve sapere che le Messe come i Vespri, specie quelli della nostra grande tradizione polifonica, erano scritti ad uso esclusivo della liturgia. Non v'è traccia alcuna nè a Venezia né altrove di una esecuzione, in quei secoli lontani, di tali generi musicali oltre che durante le funzioni liturgiche, nei palazzi per intrattenere i nobili. Il suo, di Bietti, è un errore imperdonabile. Quella specifica ' da concerto' indica esclusivamente lo stile impiegatovi, e cioè quello 'concertante', cioè a dire - ma questo Bietti lo sa certamente - lo stile che mette insieme, 'concerta', voci e strumenti.
Bietti si è forse fatto prendere la mano ed è incorso in un simile errore, quando ha sottolineato che l'incipit del Vespro ( Deus in adiutorium ...) Monteverdi lo costruisce musicalmente impiegando la 'toccata' con cui aveva aperto l'Orfeo (1607). A Monteverdi è certamente piaciuta l'idea che come la Toccata apriva la rappresentazione, così la formula introduttiva del Vespro poteva aprire, a sua volta, questa grande 'rappresentazione' liturgica e musicale. L'unica deduzione che si può fare osservando i due incipit, identici musicalmente, è che gli stili passavano da un genere all'altro, ed anche dall'ambito profano a quello sacro, senza che ci si meravigliasse.
3. L'errore, Bietti perpetua quando va a spiegare lo stile dei 'sacri concenti' che Monteverdi nell'edizione a stampa mette, a mò di 'antifone', fra un salmo e l'altro, sui quali pure grande è la discussione fra gli studiosi.
In quei 'concenti', 'mottetti' lo stile adoperatovi è quello del canto solistico, virtuosistico nella gran parte dei casi, tipico della musica vocale con accompagnamento strumentale, e che si pratica nelle 'camere dei principi'.
Monteverdi con quella raccolta voleva dimostrare al Pontefice, qualora si fosse degnato di prestargli ascolto, che lui sapeva usare lo stile polifonico 'antico' (la Messa), lo stile 'concertante' (quello più diffuso nel Vespro , sempre sopra il 'cantus firmus' gregoriano) e, infine, il canto 'solistico', certamente più tipico del melodramma nascente, ma non esclusivo del genere.
Dunque quell'annotazione sulle 'camere dei principi' che per Bietti avvalorava la sua ipotesi di un Vespro che poteva essere destinato, nelle intenzioni del suo autore, anche ad una esecuzione extraliturgica, concertistica diremmo oggi, è semplicemente una annotazione stilistica dei brani in oggetto: solistici e virtuosistici.
Tanto ci premeva dire e precisare a Bietti per non invalidare il resto della sua lezione sempre molto puntuale, soprattutto nelle analisi dei singoli brani.
Se non siamo riusciti a convincere né lui né i nostri lettori della nostra tesi, qui esposta succintamente, e che crediamo non sia solo nostra, rimandiamo l'uno e gli altri ad un nostro scritto, più articolato quasi completo sull'argomento, apparso sul bimestrale Music@ ( n.18. Maggio-giugno 2010). Per ritrovarlo basta andare sul sito del Conservatorio Casella dell'Aquila, sulla home page, cliccare in alto su 'eventi' e successivamente su 'Archivio Music@', in basso, dopo che vi sono apparse le copertine di quell'aborto che è stato Musica+ che sostituì, imbastardendolo, l'originale Music@, al momento del nostro pensionamento dal Conservatorio.
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