domenica 12 settembre 2021

Festival Jazz a Roma: 'Una striscia di terra feconda'. Finale col botto in palcoscenico e in platea

 

Ieri, 11 settembre, alle 21,00, a Roma, Auditorium Parco della Musica,. L'Orchestre National de Jazz francese( ONJ).’20 ans après’:Paolo Damiani, contrabbasso, e direzione, Médéric Collignon, Alain Vankenhove, tromba, pocket cornet, flicorno, Didier Havet, sousaphone, Filippo Vignato, trombone, François Jeanneau, Javier Girotto, Thomas de Pourquery, sassofoni, flauti, Régis Huby, violino, Olivier Benoit, chitarra, Christophe Marguet, batteria.


L’Orchestra nazionale di jazz francese di Paolo Damiani (2000-2002) ha segnato profondamente la storia di questa istituzione francese chiamata ONJ (per la prima e unica volta finora affidata a un direttore straniero!) e ha costituito un evento importante nella storia del jazz europeo per l'originalità delle sue composizioni tra jazz e musica tradizionale, rivolte a un immaginario europeo e mediterraneo, e l'alta qualità dei suoi ospiti (Trovesi, Brahem, Jeanneau...) con concerti applauditi nei più grandi festival europei (è anche l'ONJ che ha suonato di più in Europa!) e una registrazione notevole per la famosa etichetta ECM ("Charmediterranéen" 2002).


Alle 22.15, in esclusiva per la stagione estiva della Fondazione Musica per Roma, la réunion speciale del PAF Trio, una formazione che ha lasciato un segno indelebile nella storia del jazz italiano. Un’occasione unica per riascoltare Paolo Fresu, Antonello Salis e Furio Di Castri, tre maestri assoluti del jazz italiano che fu fortemente caratterizzato dal suono “Mediterraneo” e per scoprire a distanza di anni verso quali territori inesplorati può condurre oggi il loro perfetto interplay. 



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C'è qualcosa di nuovo... - rubando dall'Aquilone di Giovanni Pascoli – anzi più di qualcosa, da scoprire, avventurandosi anche per curiosità, in 'Una striscia di terra feconda', festival romano, ma italo francese, in cui scorrazza un'orchestra jazz – e che orchestra!

E' capitato a noi ieri sera, all'Auditorium Parco della Musica – in una cavea che, nel rispetto delle regole di distanziamento, era semplicemente piena.: parecchie centinaia i presenti.

Chi come noi non frequenta abitualmente simili concerti - semplicemente perché anche la critica musicale sui giornali prevede settori ben distinti affidati a persone diverse - non avrà difficoltà a farvi diverse scoperte, a godere di molte sorprese.

L'Orchestra jazz è solitamente composta da 'fiati' - il che rappresenta già una differenza notevole rispetto alle orchestre di dimensioni similari - quelle cameristiche - del settore cosiddetto classico, benchè in quella che abbiamo ascoltato erano presenti violino e contrabbasso.


L'ascoltatore 'classico' è abituato a raggiungere la sala da concerto, conoscendo in anticipo ciò che ascolterà, ed anzi è proprio in base a tale conoscenza preventiva che si muove da casa - cosa che in una città grande come Roma, è sempre un bel problema – per raggiungere la sala da concerto. Chi partecipa ad un concerto jazz non sa mai in anticipo ciò che ascolterà, né il come, perché il concerto jazz, più di quello 'classico' rappresenta un rito, al quale si partecipa senza pregiudizi, dove la musica nasce - letteralmente - mentre che la si esegue.

La gran parte della musica che si esegue nasce lì lì, in buona parte, ed è firmata da alcuni dei componenti l'ensemble. Laddove, nella musica 'classica' i ruoli del compositore e dell'esecutore sono ben distinti; come anche il ruolo del direttore d'orchestra che nel jazz è assai più simile alla 'spalla' di un'orchestra 'cameristica' che coordina gli altri musicisti dal suo leggio. Il podio vero e proprio è bandito, su una sorta di podio 'virtuale' si alternano a rotazione gli autori dei singoli brani semplicemente avviando, dove richiesto, l'esecuzione e anticipando con segnali convenuti i punti di svolta fra una sezione e l'altra.

Ma ciò che più di ogni altra cosa colpisce è la fisicità del jazz. Nel classico chi si agita disturba, nel jazz l'interprete asettico, composto e compassato, è bandito. Il jazz, si direbbe, è vita e la vita è movimento. Impossibile resistergli. E forse proprio per questo l'ascolto in disco del jazz gli fa perdere molto della sua accentuata corporeità.

Naturalmente c'è la varietà degli stili, delle sonorità che non sono più così distanti come un tempo, dalla musica che si ascolta in qualche manifestazione dell'avanguardia.


Ascoltando un brano che giocava sulla vaccinazione, e che dai suoi effetti collaterali mimati vocalmente' prendeva spunto - la vita irrompe ovviamente nell'arte – siamo andati con la memoria a una notizia da poco appresa: la morte di una nostra collega alla veneranda età di 98 anni: Mya Tannenbaum, storica collaboratrice del Corriere che ancora una decina di anni fa, quando non era più una giovincella, incontravamo regolarmente ai concerti e subito dopo salire sulla sua Cinquecento e tornare a casa, dalle parti di Caracalla.

A lei abbiamo pensato perché il brano 'dedicato' alla vaccinazione era costruito su due incisi. Il primo era affidato prevalentemente al virtuosismo vocale del suo autore, mentre il secondo era niente più che un corale, esposto frase dopo frase, dal sapore funebre, del quale sinceramente non sappiamo dire se partecipava al generale tono scherzoso o rappresentava il 'pianto' doloroso, che è l'altra faccia della pandemia, le morti.


A fine serata, vigilia della conclusione del festival jazz italo-francese , un regalo inatteso quanto gradito: la reunion di un trio famoso che da molti anni non suonava più insieme composto da Fresu, Salis, Di Castri, fra i più noti e importanti del panorama jazz, anche se il nome che si era dato, PAF – che, non trovando di meglio, fu dedotto dall'acronimo dei nomi di battesimo dei componenti - poteva indurre a non prenderli sul serio.

Sorprendente la versatilità, vitalità e fantasia di Antonello Salis, il meno giovane dei tre, settant'anni suonati, accanto alla bravura conosciutissima di Fresu, e di Di Castri, benché meno ascoltata. (P.A.)

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P.S.

 Ci siamo dimenticati di annotare l'invasione, alle pareti, di  grandi quadri nel bar  dell'Auditorium, dal quale si accede direttamente alla biglietteria e al foyer.

 Su ognuno di essi, a caratteri cubitali, l'incipit di una famosa canzone...si dirà: è il nuovo corso. Sul primo, entrando, quella di Patty Pravo: tu mi fai girar... e non diciamo cosa ci ha fatto girare a noi (P.A.)

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