giovedì 1 agosto 2019

Alla pia compagnia dei critici musicali italiani. Messaggino disinterassato

Premesso che la presenza della musica, quella cosiddetta classica, va sempre più scemando sui giornali, e che anche le presenze, rare, sono sempre più striminzite; e premesso anche che non ci si deve fare abbagliare dalle paginate che regolarmente compaiono sui giornali nazionali all'approssimarsi di manifestazioni importanti ( perchè sono pagine a pagamento dove fanno scrivere ai critici quello che vogliono, coloro i quali pagano); e , premesso ancora che non bisogna farsi fuorviare dagli articoloni che si leggono ogni tanto, in coincidenza di  iniziative di vendita in edicola ( giornale + Cd: si tratta di pura promozione di vendita); e premesso molto altro che non serve elencare...
non si può tollerare che alcuni che svolgono regolarmente il mestiere di critici musicali ne facciano anche un secondo parallelo da drammaturghi cosiddetti, ma sempre nel campo della musica, in veste di autori di testi o libretti e, volentieri, anche di voce recitante.

No, non siamo affatto sfiorati dal dubbio che il secondo lavoro  possa discendere direttamente - come effetto da causa - dal primo,  per la semplice ragione della loro contiguità temporale;  nè dal fatto che svolgendosi nello stesso ambito la presenza sui giornali o alla radio eserciti una notevole  forza di convinzione sui datori di lavoro. Nulla di tutto ciò.

 E siamo convinti che i critici interessati, auscultando la loro coscienza, sanno tener ben distinte le due occupazione, badando in ogni occasione a che la prima delle due occupazioni ( giornalismo) non costituisca motivo di ricatto verso le istituzioni, od anche di ricompensa, di ringraziamento o di scambio.

 Però nel recente passato - e non è detto che non possa continuare tuttora - è accaduto che un compositore di belle speranze e forti  aspirazioni che aveva un importante incarico a Radiotre, per tutto il tempo in cui ha esercitato, principalmente pro domo sua, tale potere,  sia stato fra i compositori più eseguiti e richiesti in Italia ed anche fuori; e che, lasciato quell'incarico per averne ottenuto - per la ragione medesima - un altro più prestigioso, quello di sovrintendente dell'Accademia di santa Cecilia - il cui nome ora non ci sovviene - sia quasi sparito dai cartelloni delle istituzioni italiane ed estere, quelle stesse che nei suoi anni migliori a Radiotre lo cercavano notte e giorno,  primavera estate autunno e inverno, senza pudore e senza vergogna.

 Per questo abbiamo a preoccuparci per quei nostri colleghi superaffaccendati. Temiamo che, se dovessero lasciare il loro lavoro di critici musicali,  abbiano a perdere anche il secondo; instillandoci il dubbio, contro ogni nostra personale convinzione, che questo secondo discenda direttamente, effetto da causa, dal primo.  E che, perciò non c'è più ragione che il secondo prosegua, nel caso il primo cessi.

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