Non è una novità, per quanti seguono non solo il nostro blog ma anche parte della nostra attività giornalistica da molti anni a questa parte, che non siamo mai stati teneri con Cecilia Bartoli. Ma non per ragioni artistiche e vocali, nè per posizione personale preconcetta, semplicemente perchè non abbiamo mai tollerato, in lei come in altri, atteggiamenti divistici, richieste esose e stuoli di fans osannanti. Come, ugualmente, non abbiamo mai tollerato neppure i suoi denigratori fischiettanti, con il fucile spianato pronti ad impallinarla al minimo errore.
In uno dei ultimi suoi concerti romani, nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium, tutto questo codazzo inutile ci ha letteralmente infastidito.
Ma ora il discorso verte su un altro aspetto per il quale abbiamo assai spesso criticato la divina. Tutte le volte, quelle rarissime volte che ha cantato in questi anni in Italia, alla domanda ricorrente, il giornalista 'al seguito' ( suo e della casa discografica), anche quella di prammatica: perché canta così poco da noi, ha registrato una risposta che noi abbiamo sempre ritenuto falsa e bugiarda. E cioè che la sua scarsa presenza in Italia era causata dalla tardiva programmazione dei nostri teatri, fatto gravissimo per una che ha il calendario di impegni già pieno fino al 2070.
Lei voleva dire che tutte le volte che veniva contattata dall'Italia, era costretta sempre a rispondere negativamente, perché precedentemente impegnata. Ora questo è comprensibile una volta - e talvolta è così - ma non sempre.
E' accaduto anche a noi di constatare come la risposta negativa ad un invito fosse motivata da ritardo nella programmazione. Accadde quando, dietro nostro suggerimento, anni fa, il sovrintendente della Fenice - era maggio o giugno - venne a Roma per invitare Pappano - al quale noi avevamo strappato un mezzo sì - a dirigere il Concerto di Capodanno di quell'anno. Il direttore gli rispose di no, perchè era già occupato al Covent Garden in quei giorni di fine d'anno , ma anche per fargli capire che un direttore molto acclamato come era lui, non aveva, a distanza così ravvicinata, molti spazi di manovra.
Il discorso della lentezza nella programmazione delle nostre istituzioni, sottolineato proprio nei giorni scorsi anche da Kaufmann, si va, per fortuna, lentamente risolvendo. Ma non può essere, comunque, addotto per giustificare una assenza di anni. La quale assenza viene poi, curiosamente, di colpo colmata quando la diva, Bartoli, pubblica un nuovo disco. Allora il tempo lo trova per promuoverlo in giro, anche in Italia.
A noi poi la Bartoli non ci ha mai convinto con quelle sue bugie, perchè sappiamo della esosità dei suoi cachet, che ha costituito un ulteriore ostacolo alla sua venuta regolare in Italia.
Come, infine, non ci ha mai convinto per un'altra ragione, riguardante la sua voce, ancora agile perchè sorretta da tecnica strepitosa, ma piccola e, negli ultimi tempi, anche un pò usurata, che fa il verso a se stessa, con ansimare eccessivo, e perciò non adatta agli spazi per lo più enormi dei nostri storici teatri dove è impossibile possa figurare al meglio.
Per tutte queste ragioni lei per anni si è sapientemente accasata nel Teatro di Zurigo, per dimensione più adatto a Lei, dove regnava Pereira, prima di Salisburgo e della Scala, dove lei, l'ha seguito: a Salisburgo, con la direzione del Festival di Pentecoste, ed ora a Milano, per un triennio con opere barocche, che presenterà anche al San Carlo di Napoli.
Concludendo, fino ad oggi non aveva mai avuto tempo neppure per un concerto in Italia, ora che ha deciso di svernare in Italia, il tempo l'ha trovato e non per un semplice concerto, bensì per tre titoli d'opera, uno a stagione per i prossimi tre anni. Bentornata Cecilia.
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