sabato 31 dicembre 2022

Rai 5 è diretta da un genio: ha trasmesso 'Un Requiem tedesco' per la morte del papa tedesco

 Sembrava essere tornati ai tempi antichi, quando la Rai in occasione di fatti particolarmente funesti - morti, tanto per intenderci ma anche cataclismi - interrompeva le trasmissioni in palinsesto per trasmettere musica, dando l'idea che la musica, quella classica, che solitamente è di autori morti, è roba per commemorare altri morti.

 Ma oggi Rai 5, il canale 'colto' della tv di Stato, ha fatto di più. Ha ritrasmesso una celebre registrazione video  di un concerto, che avrà una cinquantina d'anni, diretto da Karajan con i Wiener Philharmoniker, dalla Sala d'oro del Musikverein  di Vienna.

 In programma Un Requiem tedesco di Johannes Brahms, il capolavoro sinfonico corale che, dopo la morte di Karajan, a Salisburgo lo ha spesso diretto Riccardo Muti, assunte le precauzioni scaramantiche, dopo che la vedova del maestro lo acclamava suo erede artistico.

 Perchè siamo convinti che alla direzione di Rai 5 ci deve certamente un genio?

 Perchè Rai 5 per commemorare Benedetto XVI, appena scomparso, ha scelto  un Requiem - qualunque altra musica non era opportuna allo stesso modo? - ma in questo caso un Requiem qualunque non bastava. Per commemorare un papa 'tedesco' ci voleva un Requiem che fosse almeno 'tedesco', non solo nel senso che fosse in lingua tedesca, la lingua di Ratzinger; ma che avesse qualcosa di ancor più tedesco;  che recasse, ad esempio, l'aggettivo 'tedesco' financo nel titolo. E  cerca che ti ricerca l'ha trovato nel capolavoro brahmsiano.

 Avete capito che finezza ed acutezza di scelta?   

Presidente Sergio Mattarella. Messaggio di fine anno

 Care concittadine e cari concittadini,

un anno addietro, rivolgendomi a voi in questa occasione, definivo i sette anni precedenti come impegnativi e complessi.

Lo è stato anche l’anno trascorso, così denso di eventi politici e istituzionali di rilievo.

L’elezione del Presidente della Repubblica, con la scelta del Parlamento e dei delegati delle Regioni che, in modo per me inatteso, mi impegna per un secondo mandato.

Lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni politiche, tenutesi, per la prima volta, in autunno.

Il chiaro risultato elettorale ha consentito la veloce nascita del nuovo governo, guidato, per la prima volta, da una donna.

E’ questa una novità di grande significato sociale e culturale, che era da tempo matura nel nostro Paese, oggi divenuta realtà.

Nell’arco di pochi anni si sono alternate al governo pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, in diverse coalizioni parlamentari.

Quanto avvenuto le ha poste, tutte, in tempi diversi, di fronte alla necessità di misurarsi con le difficoltà del governare.

Riconoscere la complessità, esercitare la responsabilità delle scelte, confrontarsi con i limiti imposti da una realtà sempre più caratterizzata da fenomeni globali: dalla pandemia alla guerra, dalla crisi energetica a quella alimentare, dai cambiamenti climatici ai fenomeni migratori.

La concretezza della realtà ha così convocato ciascuno alla responsabilità.

Sollecita tutti ad applicarsi all’urgenza di problemi che attendono risposte.

La nostra democrazia si è dimostrata dunque, ancora una volta, una democrazia matura, compiuta, anche per questa esperienza, da tutti acquisita, di rappresentare e governare un grande Paese.

E’ questa consapevolezza, nel rispetto della dialettica tra maggioranza e opposizione, che induce a una comune visione del nostro sistema democratico, al rispetto di regole che non possono essere disattese, del ruolo di ciascuno nella vita politica della Repubblica.

Questo corrisponde allo spirito della Costituzione.

Domani, primo gennaio, sarà il settantacinquesimo anniversario della sua entrata in vigore.

La Costituzione resta la nostra bussola, il suo rispetto il nostro primario dovere; anche il mio.  

Siamo in attesa di accogliere il nuovo anno ma anche in queste ore il pensiero non riesce a distogliersi dalla guerra che sta insanguinando il nostro Continente.

Il 2022 è stato l’anno della folle guerra scatenata dalla Federazione russa. La risposta dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente è stata un pieno sostegno al Paese aggredito e al popolo ucraino, il quale con coraggio sta difendendo la propria libertà e i propri diritti.

Se questo è stato l’anno della guerra, dobbiamo concentrare gli sforzi affinché il 2023 sia l’anno della fine delle ostilità, del silenzio delle armi, del fermarsi di questa disumana scia di sangue, di morti, di sofferenze.

La pace è parte fondativa dell’identità europea e, fin dall’inizio del conflitto, l’Europa cerca spiragli per raggiungerla nella giustizia e nella libertà.

Alla pace esorta costantemente Papa Francesco, cui rivolgo, con grande affetto, un saluto riconoscente, esprimendogli il sentito cordoglio dell’Italia per la morte del Papa emerito Benedetto XVI.

Si prova profonda tristezza per le tante vite umane perdute e perché, ogni giorno, vengono distrutte case, ospedali, scuole, teatri, trasformando città e paesi in un cumulo di rovine.  Vengono bruciate, per armamenti, immani quantità di risorse finanziarie che, se destinate alla fame nel mondo, alla lotta alle malattie o alla povertà, sarebbero di sollievo per l’umanità.

Di questi ulteriori gravi danni, la responsabilità ricade interamente su chi ha aggredito e non su chi si difende o su chi lo aiuta a difendersi.

Pensiamoci: se l’aggressione avesse successo, altre la seguirebbero, con altre guerre, dai confini imprevedibili.

Non ci rassegniamo a questo presente.

Il futuro non può essere questo.

La speranza di pace è fondata anche sul rifiuto di una visione che fa tornare indietro la storia, di un oscurantismo fuori dal tempo e dalla ragione. Si basa soprattutto sulla forza della libertà. Sulla volontà di affermare la civiltà dei diritti.

Qualcosa che è radicato nel cuore delle donne e degli uomini. Ancor più forte nelle nuove generazioni.

Lo testimoniano le giovani dell’Iran, con il loro coraggio. Le donne afghane che lottano per la loro libertà. Quei ragazzi russi, che sfidano la repressione per dire il loro no alla guerra.  

Gli ultimi anni sono stati duri. Ciò che abbiamo vissuto ha provocato o ha aggravato tensioni sociali, fratture, povertà.

Dal Covid - purtroppo non ancora sconfitto definitivamente – abbiamo tratto insegnamenti da non dimenticare.

Abbiamo compreso che la scienza, le istituzioni civili, la solidarietà concreta sono risorse preziose di una comunità, e tanto più sono efficaci quanto più sono capaci di integrarsi, di sostenersi a vicenda. Quanto più producono fiducia e responsabilità nelle persone.

Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive.

So bene quanti italiani affrontano questi mesi con grandi preoccupazioni. L’inflazione, i costi dell’energia, le difficoltà di tante famiglie e imprese, l’aumento della povertà e del bisogno.

La carenza di lavoro sottrae diritti e dignità: ancora troppo alto è il prezzo che paghiamo alla disoccupazione e alla precarietà.

Allarma soprattutto la condizione di tanti ragazzi in difficoltà. La povertà minorile, dall’inizio della crisi globale del 2008 a oggi, è quadruplicata.

Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese – tra Nord e Meridione, per le isole minori, per le zone interne - creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza.

Ci guida ancora la Costituzione, laddove prescrive che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ledono i diritti delle persone, la loro piena realizzazione. Senza distinzioni.

La Repubblica siamo tutti noi. Insieme.

Lo Stato nelle sue articolazioni, le Regioni, i Comuni, le Province. Le istituzioni, il Governo, il Parlamento. Le donne e gli uomini che lavorano nella pubblica amministrazione. I corpi intermedi, le associazioni. La vitalità del terzo settore, la generosità del volontariato.

La Repubblica – la nostra Patria – è costituita dalle donne e dagli uomini che si impegnano per le loro famiglie.

La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune.

La Repubblica è nel sacrificio di chi, indossando una divisa, rischia per garantire la sicurezza di tutti. In Italia come in tante missioni internazionali.

La Repubblica è nella fatica di chi lavora e nell’ansia di chi cerca il lavoro. Nell’impegno di chi studia. Nello spirito di solidarietà di chi si cura del prossimo. Nell’iniziativa di chi fa impresa e crea occupazione.

Rimuovere gli ostacoli è un impegno da condividere, che richiede unità di intenti, coesione, forza morale.

E’ grazie a tutto questo che l’Italia ha resistito e ha ottenuto risultati che inducono alla fiducia.

La nostra capacità di reagire alla crisi generata dalla pandemia è dimostrata dall’importante crescita economica che si è avuta nel 2021 e nel 2022.  

Le nostre imprese, a ogni livello, sono state in grado, appena possibile, di ripartire con slancio: hanno avuto la forza di reagire e, spesso, di rinnovarsi.

Le esportazioni dei nostri prodotti hanno tenuto e sono anzi aumentate.

L’Italia è tornata in brevissimo tempo a essere meta di migliaia di persone da ogni parte del mondo. La bellezza dei nostri luoghi e della nostra natura ha ripreso a esercitare una formidabile capacità attrattiva.

Dunque ci sono ragioni concrete che nutrono la nostra speranza ma è necessario uno sguardo d’orizzonte, una visione del futuro.

Pensiamo alle nuove tecnologie, ai risultati straordinari della ricerca scientifica, della medicina, alle nuove frontiere dello spazio, alle esplorazioni sottomarine. Scenari impensabili fino a pochi anni fa e ora davanti a noi.

Sfide globali, sempre.

Perché è la modernità, con il suo continuo cambiamento, a essere globale.

Ed è in questo scenario, per larghi versi inedito, che misuriamo il valore e l’attualità delle nostre scelte strategiche: l’Europa, la scelta occidentale, le nostre alleanze. La nostra primaria responsabilità nell’area che definiamo Mediterraneo allargato. Il nostro rapporto privilegiato con l’Africa.

Dobbiamo stare dentro il nostro tempo, non in quello passato, con intelligenza e passione.

Per farlo dobbiamo cambiare lo sguardo con cui interpretiamo la realtà. Dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi di domani.

Pensare di rigettare il cambiamento, di rinunciare alla modernità non è soltanto un errore: è anche un’illusione. Il cambiamento va guidato, l’innovazione va interpretata per migliorare la nostra condizione di vita, ma non può essere rimossa.

La sfida, piuttosto, è progettare il domani con coraggio.

Mettere al sicuro il pianeta, e quindi il nostro futuro, il futuro dell’umanità, significa affrontare anzitutto con concretezza la questione della transizione energetica.

L’energia è ciò che permette alle nostre società di vivere e progredire. Il complesso lavoro che occorre per passare dalle fonti tradizionali, inquinanti e dannose per salute e ambiente, alle energie rinnovabili, rappresenta la nuova frontiera dei nostri sistemi economici.

Non è un caso se su questi temi, e in particolare per l’affermazione di una nuova cultura ecologista, registriamo la mobilitazione e la partecipazione da parte di tanti giovani.

L’altro cambiamento che stiamo vivendo, e di cui probabilmente fatichiamo tuttora a comprendere la portata, riguarda la trasformazione digitale.

L’uso delle tecnologie digitali ha già modificato le nostre vite, le nostre abitudini e probabilmente i modi di pensare e vivere le relazioni interpersonali. Le nuove generazioni vivono già pienamente questa nuova dimensione.

La quantità e la qualità dei dati, la loro velocità possono essere elementi posti al servizio della crescita delle persone e delle comunità. Possono consentire di superare arretratezze e divari, semplificare la vita dei cittadini e modernizzare la nostra società.

Occorre compiere scelte adeguate, promuovendo una cultura digitale che garantisca le libertà dei cittadini.

Il terzo grande investimento sul futuro è quello sulla scuola, l’università, la ricerca scientifica. E’ lì che prepariamo i protagonisti del mondo di domani. Lì che formiamo le ragazze e i ragazzi che dovranno misurarsi con la complessità di quei fenomeni globali che richiederanno competenze adeguate, che oggi non sempre riusciamo a garantire.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza spinge l’Italia verso questi traguardi. Non possiamo permetterci di perdere questa occasione.

Lo dobbiamo ai nostri giovani e al loro futuro.

Parlando dei giovani vorrei – per un momento - rivolgermi direttamente a loro:

siamo tutti colpiti dalla tragedia dei tanti morti sulle strade.

Troppi ragazzi perdono la vita di notte per incidenti d’auto, a causa della velocità, della leggerezza, del consumo di alcol o di stupefacenti.

Quando guidate avete nelle vostre mani la vostra vita e quella degli altri. Non distruggetela per un momento di imprudenza.

Non cancellate il vostro futuro.

 

Care concittadine e cari concittadini,

guardiamo al domani con uno sguardo nuovo. Guardiamo al domani con gli occhi dei giovani. Guardiamo i loro volti, raccogliamo le loro speranze. Facciamole nostre.

Facciamo sì che il futuro delle giovani generazioni non sia soltanto quel che resta del presente ma sia il frutto di un esercizio di coscienza da parte nostra. Sfuggendo la pretesa di scegliere per loro, di condizionarne il percorso.

La Repubblica vive della partecipazione di tutti.

E’ questo il senso della libertà garantita dalla nostra democrazia.

E’ anzitutto questa la ragione per cui abbiamo fiducia.

Auguri !

 

Franco Piersanti, per spiegare la sua sfida a Beatrice Venezi, si affida al 'maestro' Corrado Augias

 Franco Piersanti, uno dei nostri compositori più noti ed apprezzati,  soprattutto nel settore delle musiche per film, ha lanciato attraverso una lettera al quotidiano Il Foglio una sfida a Beatrice Venezi, della quale non apprezza le qualità sia musicali che direttoriali e la cui direzione del 'Concerto di Natale' in Senato, lui bolla come  l'investitura 'politica' della direttrice d'orchestra apertamente 'di destra'  e perfino fiancheggiatrice di Giorgia Meloni che l'ha già fatta premiare per tale fedeltà, nominandola  direttrice di 'Taormina Arte' e facendola nominare dal ministro Sangiuliano  sua 'consigliera per la musica'.

 Corrado Augias che non  perde occasione per  invadere il campo musicale, che non è il suo,  onde avvalorare l'investitura Rai ' di maestro', ha colto a volo l'occasione ed ha bussato alla porta di Piersanti - letteralmente ' ha bussato', come ha scritto oggi su Repubblica - per chiedergli di spiegare il senso della sua sfida a Beatrice Venezi.

 Piersanti nella sua lettera al Foglio ha detto: prendiamo un brano sinfonico del 'Secondo Novecento',  una orchestra e poi saliamo a turno sul podio per 'concertarlo' pubblicamente. L'indicazione del 'Secondo Novecento' deriva dal fatto che un brano recente non può ancora vantare una tradizione con la quale misurarsi o assumere come metro di giudizio, e dunque più adatto  a mettere in risalto le capacità, autonome, di un interprete.

 Poi Augias, siccome di musica ne capisce eccome, chiede a Piersanti di spiegare il termine 'concertazione' che altro non è che la preparazione dell'esecuzione, le prove per essere ancora più chiari, durante le quali si capisce se un direttore è riuscito a penetrare nella musica che sta provando e se riesce a trasmettere il suo pensiero in proposito ottenendo dai musicisti suono, agogica, spessore che ritiene consoni.

 La critica di Piersanti che riguarda anche la presenza di Venezi sul podio - dove sembra, almeno a noi, che diriga guardandosi allo specchio - dà il destro ad Augias per interrogarlo sulla gestualità dei direttori: gesto bello o brutto, efficace o inutile, teatrale o misurato, fluido o 'a strappi' ecc...

La riuscita di un concerto non è certo da misurarsi dal gesto del direttore, che può anche  non essere bello e tuttavia risultare  efficace e capace di ottenere dall'orchestra ciò che si vuole. 

 A tal proposito ognuno dirige come vuole o crede; ma prescindendo da certa gestualità  specialissima, in certi casi quasi mitica ( Karajan, o Bernstein nell'esempio citato da Piersanti) noi siamo comunque disturbati da un direttore che sul podio si muove come un saltimbanco (Oren), ma anche da chi si agita a sproposito e più del necessario, come ci è capitato di rilevare giorni fa 'guardando' in tv un concerto diretto da Pappano, che sembrava 'tarantolato'. Al quale ci veniva da dire: 'datti una calmata!', anche considerando, per sua stessa ammissione, che non ha un bel gesto (bello da guardare' s'intende), ma efficace sì, come da generale ammissione.

Non possiamo dire ad oggi se la sfida lanciata alla Venezi da Piersanti avrà mai luogo - magari arbitrata da Augias, investito in tale ruolo dalla Rai - tuttavia  già ora un vincitore c'è, estraneo ai due sfidanti, ed è Augias che è diventato il critico musicale meno competente ma più conosciuto; ma il cui nome cadrebbe sotto la mannaia della Venezi qualora riuscisse ad ottenere, con la benedizione di San-Giuliano, la creazione di un albo dei critici musicali.

Benedetto XVI. Sulla sua morte lo 'speciale' del TG2. I peccati capitali delle televisioni

 Il Tg 2, da poco affidato alla direzione di Nicola Rao, dopo la nomina di Sangiuliano a ministro, ha organizzato  uno 'speciale' in occasione della notizia, appena data dalla Sala Stampa Vaticana, ma ampiamente prevedibile ed attesa, della morte del papa 'emerito' Benedetto XVI, le cui condizioni - aveva 95 anni - si erano aggravate negli ultimi giorni,  come aveva lasciato intendere la richiesta di Papa Francesco di pregare per lui.

 Per lo speciale del TG 2 erano stati invitati in studio Mons. Paglia e due giornalisti, uno dei quali del Corriere, Massimo Franco, aveva  scritto un libro sul Papa emerito, e l'altro, Romeo, 'vaticanista' del telegiornale.

 La conduttrice li ha interrogati su argomenti ovviamente pertinenti - cosa che non è sempre del tutto scontata - e poi si è collegata con i corrispondenti dalle principali capitali europee, il discorso dei quali Lei immancabilmente ha interrotto in maniera che definire 'rozza' è poco. Se li si invita, bisogna farli parlare, non  si può, a giustificazione, addurre la ragione che 'il tempo è poco'; se poi, rientrando in studio, porge a Massimo Franco una domanda, la cui formulazione è più lunga delle corrispondenze estere interrotte bruscamente. 

 E' vizio di molti giornalisti, che ha radici nella loro insicurezza  che li spinge a spiegare anche oltre il necessario prima di lasciare rispondere.  Sia in tv che sulla carta stampata si legge spesso o si ascoltano domande che sono molto più lunghe delle risposte, le quali ultime sono certo più attese delle domande stesse, specie se l'interlocutore è addentro alla materia trattata; mentre, invece, nella maggioranza dei casi, non lo è il giornalista.

 E poi, vizio capitale delle trasmissioni televisive a mezza strada fra informazione e intrattenimento, è allestire una platea affollata che fa prevedere, come poi  puntualmente accade, che non tutti si esprimano con chiarezza.  Da questo vizio non è esente  nessuno, neanche il tanto lodato Giovanni Floris che spesso mette insieme una quindicina di persone alla volta, che a mala pena aprono bocca per dire - come d'altronde non  possono che fare - le prime banalità che gli vengono in mente. Senza riuscire quasi mai ad esprimere un pensiero.

Benedetto XVI è scomparso. In suo ricordo il discorso che tenne alla Scala di Milano il 1 giugno 2012, dopo l'ascolto della 'Sinfonia n.9' di Beethoven

 In questo luogo storico vorrei innanzitutto ricordare un evento: era l’11 maggio del 1946 e Arturo Toscanini alzò la bacchetta per dirigere un concerto memorabile nella Scala ricostruita dopo gli orrori della guerra. Narrano che il grande Maestro appena giunto qui a Milano si recò subito in questo Teatro e al centro della sala cominciò a battere le mani per provare se era stata mantenuta intatta la proverbiale acustica e sentendo che era perfetta esclamò: «E’ la Scala, è sempre la mia Scala!». In queste parole, «E’ la Scala!», è racchiuso il senso di questo luogo, tempio dell’Opera, punto di riferimento musicale e culturale non solo per Milano e per l’Italia, ma per tutto il mondo. E la Scala è legata a Milano in modo profondo, è una delle sue glorie più grandi e ho voluto ricordare quel maggio del 1946 perché la ricostruzione della Scala fu un segno di speranza per la ripresa della vita dell’intera Città dopo le distruzioni della Guerra. Per me allora è un onore essere qui con tutti voi e avere vissuto, con questo splendido concerto, un momento di elevazione dell’animo. Ringrazio il Sindaco, Avvocato Giuliano Pisapia, il Sovrintendente, Dott. Stéphane Lissner, anche per aver introdotto questa serata, ma soprattutto l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, i quattro  Solisti e il maestro Daniel Barenboim per l’intensa e coinvolgente interpretazione di uno dei capolavori assoluti della storia della musica. La gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa.

Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della Sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole «O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi», parole che, in un certo senso, «voltano pagina» e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. E’ una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: «la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio» (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione.

Su questo concerto, che doveva essere una festa gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza su tanti abitanti del nostro Paese. Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza.

In quest’ora, le parole di Beethoven, «Amici, non questi toni …», le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò ci sentiamo chiamati da questo concerto.

Grazie, allora, ancora una volta all’Orchestra e al Coro del Teatro alla Scala, ai Solisti e a quanti hanno reso possibile questo evento. Grazie al Maestro Daniel Barenboim anche perché con la scelta della Nona Sinfonia di Beethoven ci permette di lanciare un messaggio con la musica che affermi il valore fondamentale della solidarietà, della fraternità e della pace. E mi pare che questo messaggio sia prezioso anche per la famiglia, perché è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo. E grazie a tutti voi per il momento che abbiamo vissuto assieme. Grazie di cuore!

 

Gentiloni invita il Governo italiano a ratificare il MES, anche se non intende utilizzarlo

 "Ringrazio Giorgia Meloni, perchè è importante collaborare e conoscersi da molto tempo è utile. Non c'è motivo di grande discussione sul Mes, l'Italia è liberissima di utilizzare o non utilizzare questo fondo, rispetto la posizione della Presidente del Consiglio che ha dichiarato di non volerlo utilizzare". Queste le parole del commissario europeo per gli affari economici e monetari, Paolo Gentiloni, a Radio Anch'io su Rai Radio Uno sul tema del Meccanismo europeo di stabilità che la premier Giorgia Meloni non intende utilizzare: "C'è poi un altro tema, cioè la revisione dello statuto di questo fondo per la quale l'Italia ha concordato un paio di anni fa - ha ricordato Gentiloni sul Mes - Penso che ratificare lo statuto modificato stia nelle cose, anche perchè non implica minimamente il fatto che poi si decida di utilizzarlo".

Sequestrata una 'Resurrezione' di Rubens esposta a Genova

 Un lavoro durato mesi quello per riportare in Italia il Rubens perduto. Il dipinto «Cristo risorto appare alla Madre», solo recentemente attribuito con certezza al maestro del Barocco è stato esposto per la prima volta al pubblico a ottobre nell’ambito della mostra «Rubens a Genova» a Palazzo Ducale. Da questa mattina l’accesso alla sala dove si trova il dipinto è sbarrato da alcuni pannelli. «L’opera non è più disponibile in mostra» si legge su un cartello. Il quadro è stato sequestrato dai carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale della Liguria su disposizione della Procura che ha anche indagato quattro persone per illecita esportazione di opere culturali e riciclaggio.

Il quadro, datato 1612-1616, raffigura il Cristo risorto davanti a due figure femminili, entrambe corrispondenti alla Madonna, una delle quali emersa in seguito a una radiografia e un restauro ancora da ultimare. L’opera, fino a poco tempo fa attribuita genericamente alla scuola fiamminga, almeno dall’inizio del 1800 è di proprietà della famiglia nobiliare genovese dei Cambiaso. Il quadro è rimasto fino ai primi anni Duemila in uno dei palazzi dei Rolli di proprietà della famiglia.

Acquistato per 300mila euro da un collezionista privato nel 2012, da allora si trovava a Praga. Le indagini coordinate dal pm Eugenia Menichetti e dal procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio sono concentrate sul valore dell’opera, lievitata tra un passaggio di proprietà e l’altro, fino a essere assicurata per 4 milioni di euro, e sul sistema utilizzato dai mercanti d’arte per esportarla all’estero. In particolare, sull’attestato di libera circolazione relativo al quadro, rilasciato dall’ufficio esportazione di Pisa, che sarebbe stato ottenuto grazie a false dichiarazioni e omissioni.

La Russia prepara nuovi attacchi in Ucraina durante le festività? Lo pensa la Difesa britannica

 La Russia potrebbe lanciare un altro attacco missilistico in Ucraina nei prossimi giorni per cercare di minare il morale della popolazione durante il periodo festivo: lo scrive il ministero della Difesa britannico nel suo aggiornamento quotidiano di intelligence sulla situazione nel Paese. Nel rapporto, pubblicato su Twitter, il ministero ricorda che giovedì le forze russe hanno lanciato un'altra raffica di attacchi a lungo raggio in tutta l'Ucraina, ancora una volta prendendo di mira soprattutto la rete di distribuzione elettrica. Da ottobre, Mosca lancia attacchi su vasta scala conto l'Ucraina ogni 7-10 giorni, osservano gli esperti di Londra, commentando che con questa strategia la Russia cerca di sopraffare le difese aeree ucraine.

Con la Lazio Youth Card i giovani vanno all'Opera di Roma gratuitamente

 “Con la Lazio YOUth Card la Regione Lazio porta i giovani al teatro dell’Opera”, così il Presidente Vicario della Regione Lazio, Daniele Leodori che spiega: “Grazie alla app della Regione, dedicata agli under 30 che vivono nel Lazio, i ragazzi potranno avere gratuitamente ingresso in uno dei luoghi simbolo della cultura nel nostro Paese e nel mondo.

Abbiamo deciso insieme al Teatro dell’Opera, che ringraziamo di nuovo per la disponibilità, di replicare il progetto considerando anche il successo e il grande interesse dei giovani spettatori nelle precedenti edizioni. Crediamo fortemente nella Lazio Youth Card, strumento capace di rendere più facile l’accesso ad eventi culturali di ogni tipo, ma anche a viaggi e sconti su tante belle iniziative”.

Per la quarta edizione torna infatti l’iniziativa che consente ai possessori della carta giovani del Lazio di poter ricevere un biglietto gratuito per assistere a uno spettacolo in scena al meraviglioso Teatro dell’Opera di Roma.

“Siamo molto contenti di rafforzare un’importante collaborazione istituzionale, legata a vantaggi rivolti al pubblico più giovane che va avanti da anni e che continuerà anche quest’anno”, dichiara Francesco Giambrone, Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma. “Per la nuova stagione, insieme alla Regione Lazio, abbiamo messo a disposizione quasi 3.000 biglietti prenotabili tramite l’app che permetteranno a tanti under 30 di assistere gratuitamente ai nostri spettacoli e di vivere l’energia del teatro. È un’iniziativa a cui teniamo molto e che ci permette di tenere aperta una finestra sul mondo dei giovani, rafforzando l’idea che il teatro è come una casa anche per loro”.

“In questi anni sono stati distribuiti quasi 15 mila biglietti ai giovani aderenti alla LAZIO YOUth Card: un risultato sfidante che conferma il grande interesse delle nuove generazioni per l’opera e il balletto, e in generale per un tipo di spettacolo dal vivo che è sinonimo di impegno, dedizione, studio. A una retorica che troppo spesso dipinge i giovani come svogliati e attenti solo all’entertainment da social network, rispondiamo con dei numeri che dimostrano altro: i giovani hanno curiosità e amore per la cultura, vanno messi nelle condizioni di poterne fruire, ed è questo che facciamo ormai da anni con la LAZIO YOUth Card”, così Lorenzo Sciarretta, Delegato alle Politiche Giovanili e Culturali della Regione Lazio.

Tanti gli spettacoli per cui saranno messi a disposizione quasi 3.000 biglietti, da dicembre all’estate: Dialogues des Carmelites, Don Chisciotte, Elisir d'amore, Aida, Requiem, La Bayadere, Pagliacci, Adam’s Passion, Il Tabarro / Castello del principe Barbablù, Manfred, Le fille mal gardee, Da una casa di morti, Madama Butterfly, Serata coreografi contemporanei, Die Walkure, Giulio Cesare in Egitto, Rossini Cards.

I biglietti disponibili verranno di volta in volta pubblicati sulla App: per prenotare il proprio biglietto (uno per ogni LAZIO YOUth Card), basterà selezionare la data preferita e scaricare il coupon. Con questo si potrà ritirare in biglietteria il proprio titolo di accesso.

L’app LAZIO YOUth CARD, scaricabile su smartphone da Google Play e App Store, è l'App degli under30 della Regione Lazio nata per offrire a tutte le ragazze e i ragazzi tra i 14 e i 29 anni che vivono, studiano o lavorano nel Lazio, l’opportunità di accedere a centinaia di iniziative, sconti riservati, biglietti omaggio e a tantissimo altro.

LAZIO YOUth Card fa parte della EYCA (European Youth Card Association), e dal 2020 ad oggi, per ben tre anni consecutivi, è stata premiata come migliore YOUth card europea per la qualità dei benefit e sconti offerti e per il sostegno che offre ai giovani aderenti.

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il link dedicato all’iniziativa lyc.GenerAzioniGiovani.it, oppure visitare la pagina Instagram, o ancora scaricare l’applicazione.

venerdì 30 dicembre 2022

1668 giornalisti uccisi nel 2022 nel mondo. il numero più alto degli ultimi quattro anni (Europa Press)

 Reporter senza frontiere (RSF) ha avvertito che il numero di giornalisti uccisi nel 2022 è il più alto degli ultimi quattro anni, con un totale di 1.668 giornalisti uccisi negli ultimi due decenni nel corso del loro lavoro.

Secondo gli ultimi dati forniti da RSF, nel 2022 sono stati uccisi 58 giornalisti, con un aumento del 13,7% rispetto all’anno precedente, quando i giornalisti uccisi erano stati 51. In totale, ogni anno vengono uccisi in media 80 giornalisti.

«Dietro i numeri ci sono i volti, le personalità, il talento e l’impegno di coloro che hanno pagato con la vita la loro ricerca di informazioni, la loro ricerca della verità e la loro passione per il giornalismo», ha dichiarato il segretario generale di RSF Christophe Deloire in un comunicato.

L’Iraq e la Siria sono i Paesi più letali per i giornalisti. Rappresentano il 17,9% e il 16,17% di tutti i decessi, con 299 e 279 morti rispettivamente. Ai primi tre posti c’è il Messico, con 125 omicidi.

Completano la classifica Filippine (107), Pakistan (93), Afghanistan (81), Somalia (78), India (58), Brasile (42), Yemen (40), Colombia (31), Cisgiordania e Gaza (29), Honduras (26), Russia (25) e Bangladesh (24).

Dei 686 omicidi perpetrati dal 2014, 335 sono avvenuti in zone di conflitto, come Siria, Afghanistan o Yemen; il 2012 e il 2013 sono stati particolarmente critici, rispettivamente con 144 e 142 omicidi di giornalisti, principalmente a causa del conflitto in Siria.

L’ONG sottolinea, tuttavia, che i decessi nelle zone di guerra si sono stabilizzati a meno di 20 vittime all’anno, anche se l’invasione russa dell’Ucraina, che da febbraio ha provocato la morte di otto giornalisti, ha nuovamente puntato i riflettori sulla sicurezza dei giornalisti e sulla mancanza di libertà di espressione in Russia.

Nel farlo, RSF ha ricordato l’omicidio della giornalista Anna Politkovskaya, una delle voci più scomode e influenti della Russia, uccisa con quattro colpi di pistola il 7 ottobre 2006. All’epoca, stava indagando sulla repressione e sulle violenze commesse dall’esercito russo durante la seconda guerra cecena, che risale al 1999.

RSF sottolinea che negli ultimi due decenni sono stati uccisi più giornalisti in «zone di pace» che in «zone di guerra» a causa delle loro inchieste su corruzione e criminalità organizzata, con una situazione particolarmente critica in America Latina e nei Caraibi, dove si è registrato il 47,4% del numero totale di morti nel 2022.

Per quanto riguarda i Paesi della regione, il Messico da solo rappresenta il 7% delle uccisioni di professionisti dei media avvenute in 20 anni. Il 2022 è l’anno più letale per i reporter nel Paese latinoamericano, ha riferito MSF ad agosto.

Infine, RSF ricorda che mentre il 95% dei giornalisti uccisi negli ultimi due decenni sono stati uomini, almeno 81 donne sono state uccise in 20 anni, ovvero il 4,86% del totale.


giovedì 29 dicembre 2022

Domani il discorso di Mattarella: Costituzione, giovani, guerra i temi principali (da La Repubblica, di Concetto Vecchio)

 Iniziato con Sergio Mattarella l'anno finisce con lui. Di mezzo l'invasione della Russia in Ucraina, il rincaro del gas, la caduta del governo Draghi, l'inedito delle elezioni in autunno, Giorgia Meloni prima donna premier. Un Paese che cresce a dispetto di tutto e che ha nella contraddizione la sua vera cifra. Mattarella lo scorso Capodanno ci aveva salutati e invece poi è stato rieletto a furor di Parlamento e quindi domani farà il suo ottavo discorso alla nazione. 

Discorso di fine anno, Mattarella parlerà di Costituzione, guerra e giovani
Discorso di fine anno, Mattarella parlerà di Costituzione, guerra e giovani© Fornito da La Repubblica

Parlerà in piedi nell'ala neoclassica del palazzo. Un intervento non lungo, cui ha iniziato a lavorare ieri pomeriggio insieme ai collaboratori più stretti. Sarà rivolto ai cittadini, come ha sempre fatto. Temi: le conseguenze della guerra, il lavoro, i giovani, l'ambiente. Il Paese reale che in questi anni di turbolenze si è aggrappato al Quirinale. Quattro le parole chiave cerchiate di rosso sul taccuino del Presidente: solidarietà, visione, responsabilità, comunità. La bussola di Mattarella. E naturalmente la Costituzione, il faro di ogni atto, che in questi giorni taglia il traguardo del 75esimo anniversario. Vi dedicherà un paragrafo.

A 81 anni ha girato instancabilmente l'Italia, l'Europa e persino l'Africa. Ha parlato lo stretto necessario. E ha soprattutto ricucito gli strappi, facendo opera di diplomazia, specie con l'Europa. In estate la destra pensava di dargli una spallata (ricordate l'uscita di Silvio Berlusconi?), ma poi hanno capito che sarebbe stato un suicidio. 

Questa destra sovranista è agli antipodi del modo di vedere il mondo di Mattarella, ma con la premier il Capo dello Stato ha instaurato sin da subito un rapporto di civile convivenza. Le ha dato una mano durante la formazione dell'esecutivo. A novembre, allo scoppio della tensione con la Francia sui migranti, proprio mentre era in visita di Stato in Olanda, è stato Mattarella a chiamare Macron ristabilendo, d'accordo con palazzo Chigi, un canale di comunicazione. Ha mediato con Ursula von der Leyen, affinché accogliesse la richiesta del governo di disporre di più margini sul Pnrr: un piano che il Capo dello Stato ritiene fondamentale per la ripartenza. E quando, a Berna, i cronisti gli hanno chiesto del Belpaese maglia nera dell'evasione fiscale - erano i giorni del Pos a 60 euro - ha difeso l'Italia nella convinzione che non si parla male del proprio Paese all'estero; ma ribadendo anche che bisogna rispettare quanto prevede il piano di resilienza: il sommerso va ridotto, non aumentato. Dal Colle del resto era arrivato lo stop all'idea leghista di varare l'aumento del contante a 5000 euro per decreto.

Sull'Ucraina offesa e ferita da "una sciagurata aggressione" è tornato innumerevoli volte, a cominciare dal primo accorato intervento nel gelo di Norcia, il 25 febbraio. Ha difeso strenuamente le sanzioni contro Mosca. E ha ricordato che non si può non stare dalla parte della Nato. A Strasburgo, a fine aprile, parlando al Consiglio europeo, ha proposto una conferenza di pace "nello spirito di Helsinki, non di Jalta". La pace, ha però sottolineato con chiarezza, deve essere "giusta". Anche le notizie che giungono dall'Iran lo hanno indignato. È stato tra i pochi leader a dedicarvi più di un pensiero di condanna pubblica.

Il momento di maggior amarezza è stato la caduta di Mario Draghi a luglio. Finiva così l'esperienza del governo del Presidente e quel pomeriggio, presentandosi al cospetto degli italiani, per annunciare lo scioglimento delle Camere, è apparso sinceramente deluso per la decisione del Parlamento proprio mentre i progetti del Piano di resilienza entravano nel vivo. Ne ha però rispettato le indicazioni, rinunciando a intenti manovrieri, nella convinzione morale che il Presidente della Repubblica è l'arbitro della partita. Un arbitro con le sue idee, che vengono fuori quando invita i disabili o i cittadini in difficoltà nei giardini del Quirinale per la festa del 2 giugno, o quando ricorda che dietro i migranti che sbarcano ci sono uomini e donne. A dicembre ha contratto il Covid. Non si può abbassare la guardia, ha ricordato davanti a mezzo governo lo scorso 28 ottobre, difendendo i vaccini. La differenza con la Cina la stiamo vedendo in queste ore.

Sergio Mattarella entra quindi nel suo ottavo anno. Non ha fatto nulla per farsi rieleggere, a gennaio. Lo hanno votato al termine di una settimana di colpi di scena che la politica nostrana difficilmente dimenticherà. È davvero convinto che l'Italia sia migliore di quel che appare, ma allo stesso tempo non ha mai smesso di pungolarla, invitandola a superare i propri vizi atavici con quel suo fare asciutto. 

I giovani guardano a lui come a una figura cui fare affidamento. Forse perché li ha sempre esortati ad una serena radicalità, difendendone le battaglie per l'ambiente e l'innovazione. E sapendo che dal loro rispetto passa il nostro futuro. 

Ratzingergate? il papa, che soffre di una grave insufficienza renale, rifiuterebbe il ricovero in ospedale; il suo segretario mons.Gaenswein torna in tutta fretta dalla Germania ( da Quotidiano.Net, di Nina Fabrizio)

 Al di là dei bollettini ufficiali, sempre vergati con cauto ottimismo, a parlare sono soprattutto i messaggi partiti in queste ore dal monastero Mater ecclesiae e diretti, senza finzioni, sui display di alcuni confratelli tedeschi residenti a Roma: "La situazione – recitavano – è molto grave". 

Per il papa emerito Benedetto XVI quelli al monastero sulla sommità dei Giardini vaticani potrebbero essere gli ultimi giorni, se non le ultime ore. Ore vissute nel suo letto, poiché Benedetto, come rimbalza dalla Germania, non ha voluto accettare un ricovero in ospedale dopo l’aggravamento di Natale. Intanto il caso riguardante le sue reali condizioni di salute, al di là delle mura leonine, si è già trasformato di fatto in una sorta di ‘Ratzingergate’ dai risvolti tutti da scrivere. 

Papa Francesco infatti sarebbe rimasto molto deluso dall’improvvida partenza di monsignor Gaenswein il giorno di Santo Stefano per raggiungere i familiari in Germania in una visita di quattro giorni, partenza che ha così lasciato scoperto Ratzinger, assistito solo dalle ‘memores domini’ e dal fido infermiere vaticano, fra Eligio, proprio nei giorni in cui si è improvvisamente aggravato. L’indignazione di Bergoglio per la mancanza di cautela del segretario personale Gaenswein spiegherebbe come mai Francesco abbia voluto annunciare così platealmente nell’udienza generale di mercoledì scorso che il papa emerito è "molto ammalato" e perché si sia poi diretto lui stesso, accompagnato di corsa in auto, a sincerarsi delle condizioni di Ratzinger, mentre Gaenswein in tutta fretta attraversava le Alpi a ritroso. 

Papa Ratzinger, la morte del fratello e il caso abusi. Messo alla prova dai colpi più duri. Il comunicato ufficiale di ieri vuole così trasmettere distensione: "Il Papa emerito è riuscito a riposare bene la notte scorsa, è assolutamente lucido e vigile e oggi, pur restando gravi le sue condizioni, la situazione al momento è stabile. Papa Francesco rinnova l’invito a pregare per lui e ad accompagnarlo in queste ore difficili". Ci si prepara comunque al peggio. Coricato nel letto della sua stanza al primo piano del Mater, il pigiama sostituito con un camice, la stola appena adagiata sulle spalle al momento di prendere parte alla messa, per consentire la concelebrazione, Ratzinger viene descritto da chi gli è vicino come "estremamente sereno", quasi come se non tentasse nemmeno di opporre resistenza a ciò che gli riserva il destino. 

Sottovoce, il vero problema sembra essere quello di una grave insufficienza renale che alla sua età, e con il quadro già compromesso da diversi acciacchi, potrebbe volgere in un blocco senza ritorno .

Intanto teologi, canonici e storici cominciano a discutere il rebus delle ipotetiche esequie. Certamente non potrà applicarsi in tutto e per tutto il protocollo dei Papi, con le novendiadi e i funerali di Stato, ma c’è chi come lo storico Alberto Melloni è pronto a scommettere che sarà comunque Francesco a presiedere il rito con la possibilità, dunque, che si venga a configurare un caso senza precedenti nella storia: due Papi alle stesse esequie. 

Una ipotesi supportata anche dal consultore del dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, don Claudio Magnoli, che ricorda tuttavia come siano "passati 600 anni dall’ultima volta che un Papa rinunciò e nessun protocollo liturgico è stato preparato per il funerale di un Papa Emerito in Vaticano". A meno di sorprese last minute nel testamento dello stesso Ratzinger.

Ore d’ansia per il Papa emerito Benedetto XVI è "vigile e sereno" I media tedeschi: rifiuta il ricover
Ore d’ansia per il Papa emerito Benedetto XVI è "vigile e sereno" I media tedeschi: rifiuta il ricover

Una intera collezione di arte contemporanea, oltre 100 opere, donata dalla famiglia di Armando Testa ai Musei civici di Venezia

 Oltre cento opere d'arte contemporanea, per un valore di oltre 17 milioni di euro, sono state donate al Comune di Venezia da Gemma De Angelis, moglie di Armando Testa. Una collezione privata che è stata contraccambiata simbolicamente dal primo cittadino veneziano Luigi Brugnaro con un Leone di San Marco e un mazzo di fiori. 

«È stata una questione complessa, affidiamo le 105 opere alla Fondazione 'Musei civici' di Venezia», ha commentato il sindaco. Mentre De Angelis ha replicato: «Lasciare le opere non è mai facile, ma suggerisco di farle gestire ai musei, spero che il mio gesto faccia il suo effetto». 

Si tratta di una delle più importanti donazioni dagli anni Sessanta a oggi, una donazione centrata sul contemporaneo che andrà nelle gallerie di Cà Pesaro. «Le persone speciali si riconoscono dalle azioni che fanno, il mondo cammina sugli esempi e la signorilità è donare

Queste opere ora diventano a disposizione di tutti, faccio un invito ai privati che si fregiano di tenere opere in cassaforte a donare, sarebbe bello vedere questi gesti di generosità», ha concluso Brugnaro.

Torna l'obbligo delle mascherine in particolari luoghi, in Italia, a causa della PARADOSSALE situazione epidemiologica del Covid in Cina

 Oggi ho firmato l'ulteriore proroga fino al 30 aprile 2023 dell'obbligo dell'uso delle mascherine nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie, ivi compresi gli ambulatori e gli studi dei medici di medicina generale". Così il ministro della Salute, Orazio Schillaci, nell' sui provvedimenti di controllo sanitario negli aeroporti per i passeggeri provenienti dalla Cina, elencando una serie di "ulteriori misure" adottate nel nostro Paese, a fronte dell'evoluzione epidemiologica Covid-19 in Cina che lo stesso ministro ha definito "paradossale". (Adnkronos Salute)

Morto un papa l'altro si dimette? chi ipotizza simili idiozie?

  Benedetto XVI è lucido, ma non riesce ad articolare le parole. Papa Francesco ha invitato a pregare per lui ed è andato in visita al suo capezzale. C’è chi ipotizza che la sua dipartita potrebbe portare anche alle dimissioni di Jorge Mario Bergoglio. Il Corriere della Sera ha ricordato che Ratzinger è stato strumentalizzato dagli anti-Bergoglio e che si sono formate come due tifoserie. Bergoglio ha fatto sapere di aver già preparato le dimissioni in caso di malattia, ma una volta scomparso Ratzinger, potrebbe decidere di rinunciare al papato.

Sono gli snob e i radical chic ad usare termini anglofoni, secondo il ministro Sangiuliano che ne fa uso, come pure fanno soprattutto gli ignoranti che non conoscono l'italiano (da Il Riformista, di Antonio Lamorte)

 C’è stato un tempo in cui in Italia non si doveva dire “bar” ma “mescita”, “acquavite” invece di “whisky”, non “cocktail” ma “bevanda arlecchina”. E oggi c’è il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, giornalista, napoletano, scrittore, che, in un’intervista al quotidiano Il Messaggero sull’idea lanciata dal giornale romano, e che è diventata anche oggetto di una proposta di legge, di inserire l’Italiano nella Costituzione, ha dichiarato come “un certo abuso dei termini anglofoni appartenga a un certo snobismo, molto radical chic, che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana”.

Et voilà: ci ha messo pochissimo per entrare in tendenza sui social, oggetto di indignazione, sfottò e meme. I più veloci hanno fatto notare come lo stesso Sangiuliano nelle sue dichiarazioni abbia utilizzato più di una parola straniera. “Radical chic”, non a caso utilizzata dagli avversari per accusare di snobismo la sinistra, e “snobismo” dall’inglese “snob”. Altri ancora hanno fatto notare come la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si sia presentata all’insediamento come un’“underdog” e come Adolfo Urso sia stato nominato ministro delle imprese e del made in Italy. In tanti infine hanno ricordato quell’epoca in cui le parole straniere venivano tradotte o italianizzate.

Ovvero l’aspetto più noto della politica linguista lanciata dal fascismo una volta arrivato al potere in Italia. Come ha ricostruito Valeria della Valle su Treccani: “Con la legge dell’11 febbraio 1923 il purismo di matrice nazionalista e irredentista subì un’ulteriore impennata, imponendo una tassa sulle parole non italiane. Ebbe inizio così una nuova campagna di purismo xenofobo che riempì le pagine dei quotidiani e delle riviste”.

Quell’ostilità non risparmiò i cognomi, italianizzati, le insegne in lingua straniera, il “lei” considerato troppo “femmineo” e “straniero” da sostituire con il “tu” o il “voi” a seconda del grado di confidenza con l’interlocutore. La Reale Accademia d’Italia fu incaricata di tradurre o italianizzare le parole straniere in nome della difesa dell’italianità. La politica linguistica continuò contro i dialetti e le minoranze. Non è questo quello di cui ha parlato o cui faceva riferimento Sangiuliano: ma il collegamento è venuto spontaneo a tanti, ne hanno scritto e lo hanno ricordato sui social.

“Valorizzare e promuovere la nostra lingua non significa ignorare il mondo che ci circonda. Non significa, cioè, in alcun modo che in un mondo globalizzato non si debbano studiare e apprendere bene altre lingue, a cominciare da quella inglese, come diceva Tullio De Mauro il multilinguismo ci aiuta a gestire la complessità del presente”. Il ministro ha riconosciuto come “la consacrazione della lingua nazionale è in molte Costituzioni, di gran parte dei Paesi non solo europei” come la lingua sia “l’anima della nostra nazione, il tratto distintivo della sua identità. Il secolo scorso insigni studiosi del calibro di Croce, Gentile, Volpe hanno a lungo argomentato sulla circostanza che l’Italia sia nata molto prima della sua consacrazione statutaria e unitaria. L’Italia nasce attorno a quella che fu definita la lingua di Dante".