Il nome della giornalista Ovsyannikova ha fatto in breve tempo il giro del mondo. Nel corso del telegiornale della tv russa pubblica controllata dal regime, nella quale lavorava, si è presentata alle spalle della giornalista, sua collega, che leggeva le notizie ed ha srotolato, mostrandolo, un cartello con su scritto NO WAR. L'ha potuto fare, senza che le fosse impedito, perché lei stessa lavorava in quella televisione.
Prima del clamoroso gesto, inimmaginabile in una tv di regime, la giornalista russa Marina Ovsyannikova, aveva registrato un video che ha mandato in rete, in cui esortava il popolo russo a svegliarsi, a non accettare supinamente ciò che gli viene raccontato dalla tv, che è un cumulo di bugie. E invitava i telespettatori a ribellarsi. Non ci possono mica incarcerare o uccidere tutti - terminava il suo appello.
Il futuro della giovane giornalista, figlia di genitori uno ucraino e l'altro russo, era dopo quell'atto di denuncia segnato. Il minimo che le potesse toccare era il carcere. Della giornalista si erano perse le tracce.
L'ONU, lanciava un appello - come tanti altri inascoltato dal diretto destinatario - nel quale chiedeva al Governo russo, di lasciare libera la giornalista. Il presidente Macron le offriva asilo nella sua ambasciata di Mosca ecc... Gli appelli di ugual tenore si erano moltiplicati, ma in tutta la mattinata della giornalista si erano perse le tracce. Non si sapeva, letteralmente, che fine avesse fatto.
Poi, improvvisamente, è arrivata una foto tv con la giornalista in compagnia del suo avvocato, nella quale si spiegava che era in tribunale, dove, naturalmente, è stata sottoposta a giudizio per direttissima. L'anticamera del carcere?
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