Le mille azioni con diritto di voto date a Gialuigi Torzi, con le quali poteva continuare a controllare il palazzo di Sloane Avenue a Londra, nonostante la proprietà fosse della Santa Sede, furono «un grave errore dell’Ufficio Amministrativo». Lo ha detto ieri monsignor Mauro Carlino, uno degli indagati della vicenda, nell’undicesima udienza del procedimento in corso in Vaticano.
Secondo la dichiarazione spontanea resa in aula, il sacerdote - che si è dichiarato inesperto di questioni finanziarie e che è stato segretario del cardinale Angelo Becciu (quando era sostituto della Segreteria di Stato) e poi incaricato dal suo successore nell’incarico, l’arcivescovo Edgar Pena Parra, di tenere i rapporti con Torzi, per cercare di risolvere il problema - neanche sapeva di quel palazzo. Fino a quando, nel gennaio del 2019, Pena Parra si sfogò con lui, rappresentandogli il problema e temendo addirittura che Torzi potesse vendere l’immobile.
«Dopo vari tentativi andati a vuoto – ha riferito Carlino – la volontà di papa Francesco era fare la trattativa, spendere il meno possibile e farsi restituire le azioni».
Carlino, sempre secondo il racconto del presbitero, agì con il contributo di tre esperti, il consulente Nicola Dal Fabbro, l’ingegnere Luciano Capaldo che stava a Londra e il funzionario interno Fabrizio Tirabassi (co-imputato nel processo). Pena Parra invece aveva emarginato monsignor Alberto Perlasca «perché – parole testuali di Carlino nel riferire il pensiero di sostituto - si era manifestato infedele e disubbidiente». E questo perché, come Carlino stesso ha riferito, fu Perlasca a concludere il contratto che dava a Torzi le famose mille azioni, anche se poi, ha precisato il sacerdote, quel contratto «fu ratificato».
La trattativa con Torzi, che nel processo deve rispondere di estorsione, si concluse con il versamento allo stesso Torzi di 15 milioni di euro (dai 20 chiesti inizialmente). In ogni caso, ha sottolineato più volte Carlino, di tutti i passaggi, fino all’accordo raggiunto il 2 maggio del 2019, «il sostituto ha informato costantemente il segretario di Stato e il Santo Padre: ogni decisione era del sostituto e del segretario di Stato. E per quanto mi riguarda - ha aggiunto -, io non ho mosso un dito senza avere l’autorizzazione dei superiori. D’altra parte le decisioni non possono mai essere prese dai dipendenti, solo dai superiori».
La «grave infedeltà» di Perlasca - la cui posizione è nel frattempo stata archiviata - sarebbe consistita proprio dall’aver firmato contratti senza l’autorizzazione superiore (ma con successiva ratifica, come già detto). Carlino, a tal proposito, ha anche riferito che il sostituto monsignor Pena Parra aveva detto che il Papa era contento che si potesse finalmente chiudere la questione».
Nel corso dell’udienza il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, ha anche reso noto che il Papa ha dispensato il cardinale Becciu dal segreto pontificio sulla vicenda di Cecilia Marogna e dunque egli potrà rispondere sulla vicenda nell’udienza fissata il 7 aprile (il processo riprenderà comunque il 5, con l’interrogatorio di altri imputati). Carlino ha riferito anche sull’improvviso dietrofront dello Ior rispetto al prestito chiesto dalla segreteria di Stato (prima sì, poi no, secondo l’imputato per volontà soprattutto del direttore Gian Franco Mammì) e sulla volontà di Pena Parra di vederci chiaro, anche attraverso un’attività di indagine affidata all’allora comandante della Gendarmeria, Domenico Giani.
Per quanto riguarda infine i fondi alla Caritas di Ozieri e, in particolare alla cooperativa Spes (che ha tra i suoi dirigenti il fratello di Becciu) secondo Pignatone e il promotore di giustizia Alessandro Diddi, è stato aperto un procedimento anche sul finanziamento dato dalla Cei (Becciu deve rispondere invece dei 125 mila euro mandati dalla Segreteria di Stato).
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