Naturalmente non parliamo di libertà fisica, ma di libertà creativa degli artisti, quella che si vorrebbe limitare, quando sono chiamati a lavorare ad un'opera preesistente, come nel caso in cui alcuni di loro, famosi e per questo invitati, si cimentano ad esempio con il melodramma, curandone regia e magari anche scene e costumi. Per cui se ne sono viste di cotte e di crude.
Consentiteci di tornare indietro con la memoria, ad un convegno tenuto al Ministero dello spettacolo - così si chiamava allora, anni Ottanta - in via della Ferratella, a Roma, dove noi, per conto del Cidim, eravamo fra gli organizzatori, in cui si discuteva dei tanti problemi del mondo dello spettacolo, tuttora in parte irrisolti, ed anche di direttori artistici.
Ad uno degli intervenuti, alla nostra richiesta di esprimersi sulla libertà del direttore artistico, che secondo noi doveva essere una libertà 'vigilata' nella programmazione e negli inviti agli artisti, gli venne di rispondere che no, non era possibile controllare il direttore artistico, sulla cui libertà di programmare e di affidare a questo o quell'artista taluni compiti, non si poteva derogare. Il direttore doveva essere completamente libero, anche negli errori. Anche se ripetuti e frutto di cattiva gestione artistica? Sì, anche in questo caso.
E infatti in Italia, prima di quel convegno ed anche dopo, gli artisti stranieri continuano ad essere preferiti sempre e comunque a quelli italiani, con gli scandali che fioccano, i cachets degli artisti sono fra i più alti d'Europa, e non c'è regola neanche di decenza che metta un freno ad operazioni di dubbio gusto e di gran costo. L'esempio più eclatante si ebbe, non ricordiamo se prima o dopo, a Firenze, direttore artistico del Maggio, Giorgio Vidusso, musicista e manager culturale intelligente.
Anche lui inciampò clamorosamente, almeno una volta. Quando al Teatro della Pergola, da poco rimesso a nuovo, per la rappresentazione de Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, consentì al regista Ronconi di sbullonare tutte le poltrone in platea, nuove di zecca, per farci, opportunamente impermeabilizzata, un lago, anzi un mare con acqua vera. Di quella rappresentazione vi furono pochissime repliche, gli spettatori erano solo quelli dei palchi e per quella inutile trovata, il Maggio spese una cifra stratosferica. Non sarebbe stato opportuno che in quella occasione - ma ne potremmo citare molte altre che hanno a che fare con certi artisti scritturati o titoli desueti, di quelli che piacciono tanto ai critici e meno al pubblico pagante - qualcuno avesse detto a Ronconi ed a Vidusso che non s'aveva da fare?
Secondo noi sì, nessuno però lo fece per salvaguardare la libertà dell'artista Ronconi e del direttore artistico Vidusso.
Questa storia ci è tornata alla mente mentre ieri sera su Rai 5 vedevamo ed ascoltavamo Turandot di Puccini, diretta da Oksana Lyniv e con la regia, scene e costumi, affidati a Ai Weiwei. Il cui spettacolo ai telespettatori, in tutta la sua invadenza, è stato pietosamente risparmiato, come invece non è stato per gli spettatori in teatro.
Praticamente l'artista cinese ha costruito due spettacoli, il primo sul palcoscenico che in tutto e per tutto rispettava la tradizione ed anche i colori del suo paese d'origine dove è ambientata la notissima favola - straordinari i copricapi, quasi sempre trasparenti, di tutti: vere e proprie lanterne magiche spente!- sullo sfondo invece ha proiettato e realizzato un film vero e proprio con immagini che rimandano ad oggi e che, manco a dirlo, volgevano piuttosto al tragico.
Tutto quel film poteva essere praticamente eliminato e l'opera funzionare ugualmente, magari aggiustando quelle improponibili coreografie di marca cinese.
Ecco dove dovrebbe entrare in gioco la direzione artistica di un teatro: nel dovere di richiamare l'artista, anche famoso, a rispettare certi codici.
Perché non lo fa, anche sapendo che avrebbe fatto risparmiare un bel gruzzolo, impiegato in quelle proiezioni dall'inizio alla fine, senza un attimo di tregua per gli spettatori in sala? Il direttore artistico e il sovrintendente risponderebbero che la libertà dell'artista non va mai tenuta a freno, bisogna insomma che possa fare ciò che vuole.
In realtà la ragione vera è che sovrintendente e direttore artistico molte volte contano sulla trasgressione di certi allestimenti, ai fini della notorietà del teatro. Perché i dirigenti non avrebbero potuto, anzi dovuto dire ad Ai Weiwei che i suoi interventi proiettati erano troppo in ogni senso, lasciando che lo dicessero gli spettatori, addirittura disturbati da quel film che correva parallelo, ma opposto alla favola?
Ieri sera, per la prima volta, abbiamo apprezzato gli interventi 'esplicativi' dal foyer. E sapete perché? Perché erano affidati ad una persona, il regista Stefano Vizioli, competente, che non aveva bisogno di far sapere che lui se ne intendeva - il che era chiarissimo - e che era capace di spiegare.
Ora Rai 5 dovrebbe prendere la decisione di richiamare Vizioli o qualcuno suo pari per competenza e capacità esplicativa e rinunciare definitivamente a quelle coppie o terzetti che ci propina per le serate di sant'Ambrogio, i cui componenti senza eccezione si capisce appena aprono bocca che non sono del mestiere.
Che è poi la stessa cosa che andiamo dicendo ormai da mesi di Corrado Augias, il tipico orecchiante in fatto di musica, al quale Rai Tre ha osato affidare un ciclo di trasmissioni sulla musica - un rischio enorme!- ed il direttore di Repubblica di commentare tutti i più importanti eventi musicali, come fosse uno del mestiere.
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