A lamentarsene pubblicamente, accompagnando il grido di allarme con lo strappo delle vesti, è stato Alexander Pereira, sovrintendente del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Il pubblico dei nostri teatri - ma lui si riferiva in particolare al suo - stenta a tornare. Sarà che il nuovo teatro è molto grande ed ha capienza superiore a quella che una città come Firenze può riempire - ha ipotizzato Pereira. Abbiamo dimostrato nei giorni scorsi, su questo blog, che il vecchio Teatro Comunale aveva più o meno la medesima capienza del nuovo, e che tutte le volte che ci siamo andati - certo molti anni fa, quando ci andavamo tutte le settimane - tante poltrone vuote come lamenta oggi Pereira, non le abbiamo mai notate. Dunque è vero che un tempo il pubblico c'era, ed altrettanto vero che oggi è diminuito in modo vistoso.
Prima di qualche riflessione, vogliamo intanto correggere cifre che taluni, credendo che abbiamo tutti memoria corta, aggiustano alla bisogna. Natalia Aspesi oggi, su Repubblica, scrive che il pubblico tv per il Macbeth è stato di circa 2.600.000 spettatori. La verità è che è stato di 2.060.000 - quasi 600.000 in meno, che non è poco.
Anche Silvia Calandrelli che difende a spada tratta le sue scelte, a Rai Cultura, gonfia le cifre di quei due esperimenti fatti all'Opera di Roma con Barbiere e Traviata, regia di Martone. Dichiara - in un articolo molto circostanziato di Repubblica, a firma Gregorio Moppi, che illustra la situazione del pubblico dei nostri teatri - che " su Rai 3 hanno fatto 1.000.000 di spettatori sia il Barbiere di Siviglia che la Traviata, con la regia di Martone". I dati diffusi all'epoca dalla Rai parlavano di 650.000 circa per il Barbiere e di 960.000 circa per Traviata. I numeri, e questo vale per tutti ed in ogni momento, sono numeri e non si possono modificare a piacimento.
Venendo ora al pubblico dei nostri teatri d'opera, di cui scrive oggi Gregorio Moppi, la situazione è generale e deve dare da pensare. Certo, a pandemia non ancora debellata, la paura di stare in un luogo chiuso per qualche ora persiste nel pubblico, anche in quello più affezionato. Solo che, una volta che la pandemia ce la lasceremo alle spalle, nessuno può pensare che tutto d'improvviso tornerà come prima, ammesso che la situazione del pubblico, anche prima della pandemia, non fosse tale da dover procurare qualche riflessione e qualche pensiero a chi governa le nostre istituzioni musicali più importanti (il problema riguarda anche l'Accademia di Santa Cecilia che sembrava, a differenza dei teatri, godere buona salute. E invece ha gli stessi problemi di tutti).
Allora occorre, innanzitutto, attendere che la pandemia finisca di torturarci per poi lavorare di buona lena a riportare in teatro il pubblico più fedele, ma anche a cercarne uno nuovo, fra i giovani.
Perciò quei reggitori dei nostri teatri che sostengono che i prezzi dei biglietti - a Napoli, addirittura, per la serata inaugurale del San Carlo, biglietti da 130 a 800 Euro, e al Maggio Fiorentino per la prossima inaugurazione del nuovo auditorium, biglietti da 100 a 400 Euro - non hanno mai spaventato nessuno, dicono sciocchezze. Stiamo parlando di cifre assai consistenti che moltissimi cittadini non possono permettersele. E per la stessa ragione, va invitato a riflettere anche Livermore, regista del Macbeth che , sempre su Repubblica, a proposito del costo dei biglietti, ha detto: se vai a mangiarti una pizza spendi 30 Euro, a Genova vai a teatro (lui parla del teatro di prosa) con 28 Euro. Non considera che c'è molta più gente che va in pizzeria di quanta va a teatro, e che comunque il paragone con i 'pizzettari' non regge in nessun caso.
Insomma del problema dell'alto costo dei biglietti, se se ne è accorto anche il Sovrintendente della Scala, non è una invenzione, specie ora che la crisi economica e la pandemia hanno creato problemi anche di sopravvivenza a molti cittadini.
Nessuno però prende in considerazione l'alto costo degli artisti e non solo di quelli di prima fascia. Perchè nessuno dice quanto prendono star come Netrebko, ma anche Chailly o Muti o Pappano, tanto per fare dei nomi, e se, causa pandemia, hanno calmierato le loro pretese? Se mettiamo insieme tutti i cachet, e li riduciamo, come sarebbe opportuno e morale, ci sarebbe intanto un bel risparmio sulle spese.
A questo risparmio se ne potrebbe aggiungere un secondo, quello degli allestimenti. Altro risparmio. Intanto si comincino a ridurre i costi, così i mancati introiti da botteghino, in attesa che il pubblico ritorni, vengono in parte compensati dalle minori spese.
E infine, Moppi, fa un discorso che in parecchi ogni tanto si azzardano a fare: lo streaming, la tv, il cinema - ai quali si è ricorso durante la chiusura forzata dei teatri - potrebbero essere una soluzione alternativa? Affatto. Lo sono solo nel senso che durante la chiusura dei teatri hanno mantenuta viva la memoria del melodramma; non che possano sostituirsi ai teatri , ed allo spettacolo dal vivo. Dove andrebbero a riprendere gli spettacoli? E, in Italia, il Pese dai mille campanili e mille teatri, dovremmo buttare questo immenso tesoro?
Senza dimenticare poi che quei nuovi mezzi non sono gratuiti, che anzi sono costosi, senza ritorno proporzionato in fatto di costi. La tv, le piattaforme, le sale cinematografiche che percentuale di incassi girano ai teatri dove hanno registrato gli spettacoli che poi trasmettono? Perfino La Scala che è la Scala dalla Rai riceve qualcosa come 1.000.000 di Euro circa per anno in pagamento delle opere ( tre, se ricordiamo bene, a stagione) oltre che degli spettacoli di balletto e concerti inclusi nel contratto che li lega per riprese e trasmissioni.
Oltretutto, non crediamo che la Rai faccia altrettanto con altre istituzioni, pur prestigiose, del nostro paese. Ad esempio, quanto dà alla Fenice per il Concerto di Capodanno - che fa, meglio: faceva ai nostri tempi, quando ce ne occupavamo anche noi, quasi 5.000.000 di telespettatori? - Alcune decine di migliaia di euro; spiccioli.
Ciò che i sovrintendenti devono mettersi in testa è che è arrivato il momento di non assistere più impassibili di fronte al calo del pubblico e lamentarsene soltanto, ma di tirarsi su le maniche e lavorare per inventarsi un modo, e qualsiasi mezzo per fidelizzare nuovamente il pubblico. Non l'hanno mai fatto, perchè fino all'altro ieri lo hanno avuto senza sforzo, ora non l'hanno più e se non si danno da fare non lo recupereranno in futuro.
Infine, maggiore attenzione agli artisti italiani, specie ai giovani - e ve ne sono di valore- che vengono spesso esclusi a vantaggio di quelli stranieri, con operazioni che hanno fatto venire spesso il sospetto che ci fossero di mezzo guadagni illeciti ( mazzette, le chiamano), e qualche volta non solo il sospetto, come nel caso del Regio di Torino con il sovrintendente Graziosi e un suo agente di riferimento, ora a processo.
Questo discorso lo sentiamo fare troppo spesso, ma subito dopo tutti lo dimenticano e tornano a fare i loro comodi.
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