Riassunto. Da marzo non ci sono più concerti e quelli dell'estate sono stati tutti cancellati o rinviati. Il Decreto RIlancio prevede che dal 15 giugno sarà possibile fare concerti con, al massimo, 200 spettatori al chiuso e 1000 aperto. Tutti distanziati, tutti controllati, tutti garantiti. Uno scenario che, almeno per quanto riguarda la musica leggera popolare, è difficile immaginare difatti tutti o quasi i promoter di concerti hanno espresso dubbi. Gli Stati Generali della Musica Indipendente ed Emergente (circa 50mila posti di lavoro), chiedono di rivedere il decreto. Claudio Trotta della Barley Arts ha dichiarato a Stefano Mannucci sul Fatto Quotidiano di essere pronto a dimostrare come, ad agosto, sarà già possibile tenere concerti in sicurezza per migliaia di persone. Ferdinando Salzano di F&P (che gestisce tanti grandi, da Ligabue a Baglioni a Zucchero) ha spiegato al Qn che "con queste regole non ha senso fare concerti". E via dicendo. In effetti, la ragione sociale di un evento pop è soprattutto la condivisione, la vicinanza, lo scambio, tutti aspetti chiaramente impossibili oggi. E l'allestimento di questi eventi, già di per sé snaturati, comporterebbe un costo quasi insostenibile per molti organizzatori.
In più - come proprio in questi giorni accade per altre riunioni tra persone - non è detto che il pubblico ne abbia effettivamente voglia. Non è sicuro, insomma, che abbia superato la (comprensibile) diffidenza a stare in mezzo a tanti altri potenziali contagiati. Quindi lo scenario è abbastanza chiaro: il Covid-19 ha spento la musica dal vivo. Almeno per questa estate. Un danno che, secondo Assomusica, supera il miliardo e mezzo, considerati i 650 milioni di mancati incassi fino almeno a settembre e il miliardo di indotto. Ci sono artisti come Cesare Cremonini o Ultimo che avevano sognato per un anno un tour negli stadi e adesso lo devono rinviare. C'è Vasco senza San Siro. Ci sono Festival e concerti che sono stati cancellati come il gesso sulla lavagna. Ci sono, soprattutto, tantissimi artisti che d'estate guadagnano per tutto l'anno e che presumibilmente quest'inverno saranno in difficoltà. Su tutti, c'è un intero settore produttivo composto da centinaia di migliaia di lavoratori che è a incasso zero. Però qualcosa bisogna inventarsi anche perché, presumibilmente, a estate inoltrata le maglie dell'epidemia saranno ancora meno strette e i margini, magari anche grazie all'intervento di un altro decreto, potrebbero consentire concerti più affollati o, comunque, meno scanditi da controlli. Francesco Barbaro di Otr (l'agenzia che cura Silvestri, Diodato, Gazzé e altri) ha detto sempre al Fatto che è "meglio fare concerti da mille posti che chiudere a lungo". Soprattutto, credo, sia importante dare un segnale. Pur con tutte le disastrose e imprevedibili difficoltà, gli artisti - dai più famosi in giù - hanno l'occasione giusta per inventarsi qualcosa, per collaborare, per improvvisare, per ricalibrare la propria ispirazione. Lo hanno fatto con i concerti via social network durante la quarantena, che si sono moltiplicati poi hanno anche annoiato e quindi si sono volatilizzati. Ora hanno l'occasione di venire un'altra volta a patti con l'epidemia e fare eventi piccoli a piccoli costi, di scegliersi un repertorio particolare oppure di riunirsi in duo o trio improvvisati senza bisogno del grande stadio per fare musica. Le difficoltà sono chiaramente gigantesche, forse insuperabili per certi ego che mai e poi mai avrebbero accettato una deminutio. Ma adesso chissà. Questa è una situazione straordinaria che richiede coraggio e intuizioni straordinarie. Roba da artisti, appunto. Forza!
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P.S.
Leggendo il mio ex collega al Giornale - ciao, Paolo! - sono sorpreso dal fatto che parlando di 'concertì', saltati quest'estate, si pensi solo ad un settore dei concerti, quello dei concerti 'leggeri' - diciamo così - senza che si sia mai sfiorati dall' idea che sono concerti anche quelli sinfonici e cameristici che si tengono numerosi - si tenevano, è forse il caso di dire - in ogni angolo del nostro paese, nei festival estivi.
Ma di questa non recente esclusione - comunque offensiva dimenticanza - della cosiddetta musica 'classica' dal panorama italiano, la colpa è anche dei musicisti del settore, che in Italia sono sempre andati ognuno per proprio conto, non rivendicando e non difendendo il diritto di esistere e di essere considerati, anche socialmente. Ben gli sta!
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