Al Berliner Ensemble, tearo berlinese di grossa capienza, hanno già messo in pratica il distanziamento fisico del pubblico. Hanno cioè divelto alcune poltrone per ogni fila, alternando posti singoli e doppi, e facendo in modo che non ci sia nessuna possibilità di stretto contatto fra gli spettatori, neanche quando devono raggiungere o lasciare il loro posto.
Non ci sembra vi siano altre soluzioni di passaggio. Noi da tempo l'andiamo suggerendo ai nostri teatri, senza che nessuno l'abbia preso in seria considerazione. E sbagliano. perchè se non attuano un sistema di distanziamento del genere di quello applicato al Berliner Ensemble, l'ordine del distanziamento nei luoghi pubblici viene disatteso.
Naturalmente c'è anche da provvedere al distanziamento in palcoscenico, prescindendo dal risolutivo monologo che prolifererà in questi mesi, ma a quello penseranno le direzioni, con opportuni accorgimenti. Intanto è fondamentale rassicurare chi, sottovalutando il rischio (che comunque è calcolato) decide di entrare in un teatro per assistere ad uno spettacolo.
C'è chi sostiene - e lo fanno anche a Berlino - che i piccoli teatri, soprattutto i piccoli, attuando il distanziamento e riducendo di molto la capienza e di conseguenza anche le entrate di botteghino, i piccoli teatri sono destinati alla chiusura. Siamo sicuri?
Noi non lo siamo, se si mette mano ad una riforma generale del mondo dello spettacolo, riforma che servirà anche per il dopo pandemia quando si farà fatica a tornare alla normalità e comunque alla normalità precedente non si potrà più tornare.
I piccoli teatri chiuderebbero perchè privi delle risorse per pagare artisti e lavoratori delle istituzioni?
Siamo ancora convinti che gli artisti, quelli di serie A, debbano essere pagati come calciatori di fama? Noi crediamo di no.
Da tempo si va dicendo nell'industria che i manager non debbano superare, nello stipendio, più di una certa maggiorazione rispetto allo stipendio di un operaio.
Noi lo diciamo da tempo che i cachets per gli artistici della lirica e dei concerti, sono ESAGERATI, come lo sono anche quelli dei manager a capo delle istituzioni musicali. Quante volte abbiamo denunciato, a mò di semplificazione, il caso di Michele dall'Ongaro sovrintendente a Santa Cecilia, che ha un compenso annuo di 240.000 Euro, uguale a quello che prende Salini, ad della Rai, o il sovrintendente mettiamo della Scala, manager che hanno da provvedere a ben altri numeri e più importanti impegni? Perfino l'amministratore delegato di Musica per Roma, crediamo che non percepisca il medesimo compenso annuo di dall'Ongaro. Non vi sembra scandaloso? Certo era ancor più scandaloso quel che guadagnava sia Berio che Cagli (parliamo di quasi 100.000 Euro in più ciascuno, per anno: 350.000 Euro circa) predecessori di dall'Ongaro. Come mai? Quei compensi se li sono dati loro stessi, e nessuno del CdA, che li ha avallati, ha osato opporvisi.
Ci sembra che gli uni e gli altri, invocando il mercato, si siano attribuiti privilegi salariali assai simili ai politici, i cui compensi sono immotivati e sovrastimati, relativamente alle loro capacità.
Nella politica ogni tanto se ne parla, anche se non si viene mai ad un accordo , nel mondo dello spettacolo, invece, non se ne parla neanche.
Avete idea di quel che pretendono, che so Muti o Pappano o Kaufmann, Bartoli, Netrebko o Pollini e tanti altri ancora, per ogni concerto? Sono cifre di un certo rilievo, che se venissero decurtate non getterebbero sul lastrico i rispettivi destinatari i quali possono continuare a fare una vita di agi e, oltre tutto, se non dilapideranno quel che hanno guadagnato, potrebbero vivere tranquilli anche la loro vecchiaia, una volta arrivata.
Il discorso del taglio dei cachets degli artisti è da farsi, e non può essere più nè eluso nè procrastinato.
E forse in aggiunta a qualche altra risoluzione, magari pubblica, necessaria in tempo di crisi, non è detto che i teatri piccoli siano condannati alla chiusura.
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