Per effetto della legge “Valore cultura”, alla fine del 2014 i vertici delle nostre fondazioni liriche sono decaduti, e subito dopo sono stati ricomposti, in gran parte all’insegna del dilettantismo, con molti debutti e altrettante riconferme. Tutto come prima, come sempre.
“Si è generata una nebulosa per cui fare cose lontane da quelle che si sanno fare veramente è sexy e attraente. E i risultati, purtroppo, si vedono” – ha scritto Roberto Cotroneo sul settimanale del Corriere. E questo, in Italia, vale dappertutto; a eccezione di quei pochissimi settori nei quali se sei una schiappa si vede subito e ti buttano fuori, come nel campo della ricerca, bistrattata in Italia, anche perché i fondi per gli studi in quel caso non te li dà nessuno.
Nelle fondazioni liriche, un settore nel quale il nostro paese dovrebbe eccellere, alla fine dello scorso anno i vertici sono stati in gran parte rinnovati, alcuni riconfermati; ma gli elementi per una svolta decisiva non si vedono. La legge che imponeva il rinnovo dei consigli di gestione, che un tempo si chiamavano CdA (Consigli di Amministrazione) e oggi Consigli di Indirizzo (CdI), ha ridotto il numero dei loro componenti, e li ha privati di alcune loro mansioni importanti; allo stesso tempo è stata riconosciuta maggiore autonomia al sovrintendente, una sorta di amministratore delegato, senza però stabilire se ai cattivi amministratori si debba richiedere conto dei buchi di bilancio, come necessario e salutare. Ha stabilito, invece, che le Fondazioni liriche che navigano in cattive acque possono chiedere il “salvagente” del fondo speciale, a patto che osservino alcune disposizioni, alla stregua di ciò che l’Europa e il FMI pretendono dalla Grecia per scongiurarne il fallimento.
La stessa legge che impone alle fondazioni che la scelta dei suoi amministratori debba spettare al Ministero è fra le più disattese, specie da quelle fondazioni i cui amministratori locali sono in grado di fare la voce grossa con il ministro... Sta qui il punto: ministri e sottosegretari girano come trottole da un ministero all’altro, senza avere competenza in nessuno, lasciando perciò grande spazio di manovra ai superburocrati che fanno il buono e cattivo tempo.
Nel braccio di ferro fra Ministero (leggi: Nastasi) e sindaci che vogliono farsi valere, in alcuni casi vincono i sindaci in altri la spunta il Ministero, fregandosene delle tensioni che possono sorgere fra sovrintendente e sindaco (presidente del teatro) al quale il sovrintendente è inviso, come nel caso di Napoli, dove il Ministero starebbe per riconfermare la Purchia, sostenuta da Nastasi. Per questo, coloro i quali nutrono tanti sospetti nei riguardi di Nastasi, potentissimo e protettissimo, a causa dell’incompetenza dei vari ministri e in forza dei suoi padrini eccellenti, vedi Gianni Letta, hanno tutte le ragioni possibili dalla loro parte. Ci si può fidare di un direttore generale, commissario di un teatro nel quale crea un museo per mettervi come coordinatrice sua moglie – il MeMus del Teatro san Carlo, dove fino all’altro ieri figurava in pianta stabile, come coordinatrice, Giulia Minoli? E non è che un esempio della tracotanza del potere.
Un altro capitolo che meriterebbe maggiore attenzione da parte del ministero è quello dei compensi sia ai vertici delle Fondazioni che agli artisti scritturati, dove vige la più totale anarchia. Alla Scala, ad esempio, Lissner aveva un compenso da manager di azienda privata, intorno al milione di euro, tutto compreso, mentre ora a Pereira è stato riconosciuto un compenso nella norma, e cioè di 240.000 euro; Santa Cecilia, l’unica “sinfonica” fra le fondazioni, riconosceva a Bruno Cagli un compenso di oltre 300.000 euro, nonostante egli avesse un’affollata direzione artistica, con dirigenti e consulenti. E comunque il presidente/sovrintendente dell’Accademia prenderebbe lo stesso stipendio del direttore generale della Rai, che ha ben altre responsabilità. Recentemente una rivista ha fatto, su dati forniti dallo stesso Ministero, i conti in tasca ad ogni fondazione, rilevandovi anomalie e disparità che il Ministero ben conosce ma che si guarda dall’eliminare. E così il sovrintendente dell’Arena guadagna 240.000 Euro; Vergnano del Regio di Torino quasi 190.000; Giambrone, a Palermo, 170.000; Chiarot, a Venezia, 165.000, mentre il suo direttore artistico, Ortombina, 167.000; Ernani a Bologna ne prendeva fino a febbraio, quado era in carica, soltanto 120.000, e non sappiamo ancora quanti ne daranno a Nicola Sani, suo successore.
A queste anomalie, negli ultimi anni, se ne è aggiunta un’altra. I ritardati pagamenti agli artisti, specie se giovani. Ritardi di mesi quando non addirittura di anni (Cagliari – si dice – è in cima alla lista delle fondazioni che non pagano), con richieste di riduzione di cachet, nonostante il ritardo; e ritardi negli stipendi dei dipendenti delle Fondazioni. Insomma, in un settore in grave crisi – una decina di fondazioni su quattordici sono con l’acqua alla gola e obbligate a ricorrere al fondo speciale di salvaguardia – il Ministero continua a gestire le poltrone, sulle quali ha la faccia tosta di rimettervi amministratori, mesi prima commissariati. Anche il Governo sembra disinteressato al settore, salvo che per il completamento del teatro della città del premier, tant’è che non ha ancora dato la sveglia a Franceschini e non si è ancora posto il problema dell’allontanamento di Nastasi dalla sua poltronissima, nonostante le numerose critiche che gli sono piovute e gli piovono addosso ogni giorno, anche dal suo stesso partito (Orfini lo ha criticato in più di una occasione pubblica).