( 28.10.2013) Pietro, capisco e condivido la tua
amarezza. Mio padre, però, sosteneva che non c'è limite al peggio.
Diceva esattamente:"Non si sta mai tanto male che non si possa
stare peggio": Temo, perciò, per il futuro più di quanto non
mi lagni del presente. Tuttavia, la direzione di Carioti, con i suoi
limiti, è stata tra le più ricche nella storia del Conservatorio e
non sarà facile emularla; ma ricordo gli esordi di un giovane
insegnante di solfeggio che pochi ritenevano in grado di reggere la
gabbia di matti aquilana. Conosci meglio di me la crisi dei
Conservatori, come delle Università, di tutte le scuole, del nostro
paese sfasciato. Ma, come dimostra la bella avventura della tua
rivista, non mancano oasi di luce. Dipende anche un po' da noi. Mi
dispiace e mi secca che ti abbiano estorto la direzione della
rivista: la conducevi da tempo con il piglio dell'esperto e il garbo
del diplomatico. A me è sempre parsa una parentesi felice nel
grigiore generale della pubblicistica artistica. E la tua capacità
di esperto giornalista ha saputo armonizzare ricerca e cronaca.
Proprio per questo ho collaborato con grande piacere e, lascia che lo
dica, con un pizzico d'orgoglio. Spero ardentemente che il nostro
colloquio continui anche se ti avvii alla pensione. Io mi ci sono
trovato da qualche anno. Molte cose sono cambiate; ma non sono
cambiate la voglia d'imparare e quella di lavorare per la musica, la
divina tra le arti. Una volta, parlando di Antonellini con Vlad, il
grande maestro mi disse: «Walter, nel nostro mondo il guaio è che
troppa gente si serve della musica e pochi servono la musica».
Aspetto il nuovo numero, non per il Berlioz italoabruzzese, ma per il
piacere di vedere, per l'ennesima volta, un bel prodotto
d'intelligenza e d'arte. Sei grande, Pietro, e sono certo che
sentiremo ancora a lungo parlare di te. Ti abbraccio con l'antico
affetto e con moltissima stima. Tuo Walter.
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