mercoledì 4 aprile 2018

Il tribunale milanese ingiusto che condanna la dipendente ed assolve l'IKEA

Un nostro  conoscente che vive lontano da Roma, ci raccontò un giorno delle sue vicende familiari segnate dalla disabilità grave di suo figlio. Aveva sposato una tedesca  ed a loro era nato un figlio gravemente disabile. Alla nascita del figlio, decisero di vivere separati, non potendosi lui trasferire per ragioni di lavoro in Germania, ed avendo sua moglie un lavoro in Germania che non aveva lasciato prima di sposarsi, mantenendolo.

La ragione vera della loro vita separata, vissuta in due Stati diversi, era la condizione di grave disabilità del figlio che in Germani aveva  una assistenza dello Stato in ogni campo, da quello strettamente sanitario e fisioterapico alla frequenza scolastica alla mobilità ecc... ed in Italia no. Comprese  le agevolazioni  anche lavorative riservate ai suoi familiari più stretti, nel suo caso, la madre. E concludeva quel nostro conoscente: se nostro figlio fosse vissuto in Italia il peso della sua disabilità, non solo economico, sarebbe ricaduto tutto - quasi tutto - sulle nostre spalle.

Il caso del nostro conoscente ci è venuto in mente  quando abbiamo letto della vicende lavorative della signora del milanese che, per decisione del Tribunale di Milano che ha dato ragione all'IKEA, dove lavorava da tempo, è stata licenziata.

 La signora, che vive da sola, ed ha due figli, uno dei quali disabile al 100%, lavorava da molti anni all'IKEA , azienda nella quale aveva fatto anche una discreta carriera, meritandola. Negli ultimi tempi la signora  non aveva osservato, IN DUE OCCASIONI, l'orario di turnazione stabilito, e in un' altra  aveva abbandonato la cassa  dove prestava servizio quel giorno, evidentemente senza preavvertire l'azienda e forse anche - mettiamoci anche questo, la cosa non cambia - non preoccupandosi della sostituzione emergenziale.

 La signora s'è rivolta al Tribunale del lavoro milanese il quale ha dato ragione all'IKEA, con la seguente motivazione: si è rotto il rapporto fiduciario fra azienda e dipendente, dunque l'IKEA aveva diritto a licenziarla. Come poi ha fatto e mantenuto, forte della sentenza ingiusta del tribunale.

Il quale non ha tenuto in debito conto  né la situazione familiare della signora, situazione di grave disagio, nè  la carriera  della signora  in azienda, conseguenza delle sue capacità lavorative e  della  buona condotta nell'espletarla che anche l'IKEA aveva di fatto riconosciuto.

Considerazione che avrebbe dovuto fare anche l'azienda, prima di arrivare al licenziamento, quali che fossero le  sue giustificazioni, magari assumendo altre decisioni di carattere  censorio nei suoi confronti, come il taglio dello stipendio o qualcosa di simile.

In passato, di recente, c'è stata una protesta dei lavoratori dell'IKEA in Italia, per il peso dei turni e degli orari,  a seguito della quale alcune richieste dei dipendenti, ritenute evidentemente giuste, sono state accolte. Ora, nel caso della signora, perchè  l'IKEA non ha mostrato la faccia umana, preferendo andare allo scontro con una sua dipendente che  aveva premiato, promuovendola, e dimenticando la situazione familiare  della signora con la quale ella giornalmente combatte da sola?

E se l'IKEA  ha deciso di usare il pungo duro con la sua dipendente, perchè il giudice del Tribunale del lavoro di Milano con la sua sentenza  ha sposato la tesi della azienda  fottendosene di quella della dipendente, lasciata sola dallo Stato a gestire una situazione di grave difficoltà familiare?

 Ora che la signora è senza lavoro chi provvede alla sua sopravvivenza ed a quella dei suoi due figli,  e anche allo loro assistenza, giacchè uno dei due - è bene ribadirlo al cieco giudice milanese - è disabile 100%? Provvede il tribunale, ora che l'IKEA  se ne è lavata le mani?

Nessun commento:

Posta un commento