Si riduce la partecipazione alla messa domenicale, ma quelli che la frequentano assiduamente sono mediamente anche i più assidui nella partecipazione a una politica che, però, poco gli assomiglia
. La “terza questione” cattolica – dopo quella legata alla “questione romana” seguita all’unità d’Italia e dopo la stagione dell’unità politica – dura ormai da trent’anni ed è al centro del tradizionale seminario promosso dalla rivista
Il Regno al monastero di Camaldoli (luogo altamente evocativo in virtù del “Codice” qui elaborato 80 anni fa), che oggi si chiude con l’intervento del segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin.
L’altra sera è stata divulgata una ricerca a cura dell’ex ministro Arturo Parisi, in veste di studioso di comportamenti politici, e del sociologo Paolo Segatti. «La prevalenza del centrodestra, neppure schiacciante, nelle scelte politiche dichiarate dai cattolici praticanti, non sorprende», come spiega il direttore del Regno, Gianfranco Brunelli, e conferma Segatti, docente emerito alla Statale di Milano, esperto di comportamenti elettorali. «Non fa altro che replicare una prevalenza che c’è anche nella platea più complessiva dei votanti». Più significativo è invece il dato «poderoso» che vede i cattolici che vanno a messa tutte le domeniche dichiararsi partecipanti abituali al voto nella misura dell’85%, mentre fra chi non ci va mai afferma di recarsi al voto solo il 71%, 14 punti in meno; al netto, spiegano i curatori, di una comune tendenza a dichiarare malvolentieri la mancata partecipazione al voto, visto che poi l’astensione è più alta. «Non mi stupisce - spiega Segatti –, è una tendenza che è stata riscontrata fin dal secolo scorso, anche negli Usa e in Europa». Per Brunelli è il segno, confortante, «di un sacramento che rimanda a una appartenenza comunitaria e a una responsabilità civile».
Il dato dei singoli partiti, poi, si presta ad alcune riflessioni interessanti. «Tutto sommato Fdi e Pd – che vedono rispettivamente il 22% e il 19% dei loro elettori andare a Messa tutte le domeniche – si discostano poco (Fdi) o nulla dal 19% della media generale». Colpisce però quanto nel partito di maggioranza relativa i valori cattolici vengano esibiti molto più che nel Pd, dove i cattolici mostrano disagio. «All’esibizione di simboli religiosi spesso non si abbina una reale partecipazione religiosa, lo si nota particolarmente nel dato molto carente dei “messalizzati” della Lega», annota Brunelli. Dato che vede solo il 10% dei loro militanti andare a Messa. «Il campione in questo caso è piuttosto limitato – ammette Segatti –, ma poi è confermato nell’analisi incrociata sulla platea di chi frequenta la messa divisa per partiti, in cui emerge che su 207 intervistati che dichiarano di andare a messa ogni domenica solo il 2% si professa leghista. Pochi anche per il M5s, che raggiunge solo il 10% fra chi va a messa ogni domenica, mentre Forza Italia (con Noi Moderati) arriva al 14%, pur essendo una formazione che sul piano nazionale ha minori consensi. Ancora più netto, al riguardo, il dato che esamina, dentro i singoli partiti, la frequenza alla messa domenicale. Forza Italia vede un elettore su 3 (33%) andarci abitualmente, bene anche il Terzo polo (Azione-Iv), che arriva al 24 a fronte, come detto, di una media sul totale degli intervistati del 19. Per Segatti sul dato del M5s «influisce anche la percentuale elevata di giovani del loro elettorato».
Per Brunelli, però, «si può cogliere però una certa idiosincrasia dei cattolici verso le formazioni populiste, mentre sui due schieramenti emerge, in proporzione, una certa propensione per le formazioni centriste. E mi pare rilevante anche che, nel raffronto con la ricerca che facemmo 14 anni fa resta invariata la richiesta alla Chiesa di occuparsi di tutti temi più scottanti, dall’immigrazione all’omosessualità».
«Non mi sorprende nemmeno il dato della Lega - conclude Segatti - perché replica pari pari la scarsa partecipazione alla messa in partiti identitari esteri, come il Rassemblement National di Le Pen in Francia e l’Afd in Germania, entrambi alleati della Lega».
C’è tanto da fare, in concreto. Il nodo principale, per Pierluigi Ciocca, ex vicedirettore di Bankitalia, al primo punto c’è la «vergogna sociale di 100 miliardi di evasione, mentre ne basterebbero solo 9 per riportare sei milioni di persone oltre la soglia di povertà assoluta».
E la “questione cattolica”? «Si ripropone, irrisolta, in un Paese come il nostro che - annota Brunelli - in pochi anni si è affidato a quattro diversi “vincitori”: Renzi, Grillo, Salvini e Meloni». Per Angelo Panebianco essa va inserita in «un problema più complessivo, anch’esso trentennale, che c’è in Italia e che vede - oltre a partiti deboli, problema comune al resto d’Europa - deboli anche le istituzioni, con spezzoni della magistratura che non a caso remano sempre contro ogni riforma». Una partita che Panebianco ormai dà per persa, incluso il progetto in corso che punta al premierato. Ernesto Galli della Loggia conferma la sua tesi della «irrilevanza» attuale dei cattolici, denuncia «l’utopia delle parole, che sfugge sempre al redde rationem dei fatti». Ci scherza su citando Alberto Ronchey: «Il pessimista è un ottimista bene informato», dice. Brunelli replica citando invece Romano Guardini: «Il cristianesimo è un pessimismo vissuto, è la vittoria sul pessimismo, attraverso la Resurrezione».
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