lunedì 9 ottobre 2023

Dalle stelle delle istituzioni repubblicane alle stalle degli affari sporchi. Storia di Irene Pivetti ( da La Repubblica, di Sandro De Riccardis e Orlando Marsillo)

 Una vera e propria “fame di denaro”, giustificata “non solo da uno spregiudicato desiderio di profitto, ai limiti della cupidigia, ma altresì dalla necessità di “tamponare” le poste debitorie originate dai precedenti fallimenti imprenditoriali.

L’affare delle mascherine, che ha portato pochi giorni fa il pm della procura di Busto Arsizio Ciro Caramore a chiedere il rinvio a giudizio per Irene Pivetti per frode in forniture pubbliche, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio, contrabbando, bancarotta e fatture false ha aperto uno squarcio su vecchi fallimenti imprenditoriali e rapporti opachi con uomini della criminalità organizzata dell’ex politico leghista.

“L’unica preoccupazione della Pivetti era quella di mettere le mani sui soldi”, scrive la procura. “Ne hanno fatto le spese i clienti, pubblici e privati che si sono trovati in mano mucchi di mascherine del tutto inutilizzabili, col problema aggiuntivo di doverle smaltire correttamente, ovvero trovati a fronteggiare inadempimenti totali e parziali degli obblighi contrattuali”. Anche quando l'ex-deputata si sarebbe accorta della pessima qualità dei prodotti non si sarebbe fatta scrupoli a consegnarle - come afferma una sua collaboratrice sentita dagli investigatori che racconta la scena vista al terminal Beta Trans di Malpensa quando sia Pivetti che il genero si rendono conto della pessima qualità dei dispositivi: "Di fatto, in seguito, la Pivetti ci diede il via libera a consegnare la merce dopo aver parlato con Camil". Camil Grimaldi è il genero di Pivetti, anche lui indagato.

Il tutto, aggiunge Caramore nella sua richiesta di misura cautelare poi respinta dal giudice per le indagini preliminari di Busto Arsizio (per un problema di competenza territoriale, come hanno sottolineato i legali Vincenzo Lepre per Vincenzo Mega e Filippo Cocco per Irene Pivetti), in un quadro di normativa emergenziale in deroga al codice degli appalti ma che comunque “è stata disattesa quasi completamente dai funzionari del Dipartimento di Protezione Civile che in quel momento aveva in mano il delicato compito di procurare quanti più dispositivi di protezione possibili per proteggere gli operatori sanitari”.

Irene Pivetti e il “disastro” dell’incubatore di aziende

Uno dei progetti di Pivetti era la creazione di un incubatore di aziende in viale Monza, in un immobile preso in locazione da una delle sua società a marchio Only Italia. Un progetto che “si risolveva in un disastro”. Ne parla in procura il collaboratore di Pivetti, Raffaele De Rosa. “I pochi soggetti imprenditoriali che sono stati effettivamente presenti nella palazzina se ne sono andati dopo poco tempo. Tra queste era presente la società di Lele Mora, vi era anche un call center e un paio di società cinesi. Questi soggetti avrebbero dovuto pagare per permanere, di fatto spesso non pagavano organizzando piuttosto eventi nell’interesse della Only Italia, o cedendo prodotti. (…) Fu un grande flop, venne addirittura interrotta l’erogazione dell’energia elettrica a causa della morosità della Only. So che la morosità riguardava anche il canone di locazione dell’immobile per centinaia di migliaia di euro".

I rapporti con la criminalità organizzata

L’ex politico leghista, scrive la procura, “in epoca antecedente a questo procedimento, era entrata in rapporto d’affari con ambienti criminali campani, quasi certamente di matrice camorristica, orbitanti nell’area di Castellammare di Stabia”.

Risulta infatti come Pivetti “avesse collaborato con due soggetti – Giuseppe Vitaglione e Alessandro Di Somma – nella realizzazione di attività illecita volta al contrabbando di idrocarburi dall'estero, evasione del pagamento iva e accise”. Per la procura, “tali circostanze ben evidenziano la caratura criminale di Irene Pivetti: costei non si faceva alcuno scrupolo ad entrare in rapporti di affari (illeciti) con esponenti della criminalità organizzata”. Proprio Vitaglione, risulta coinvolto in una procedimento della procura di Bergamo, “coinvolto in un'associazione per delinquere dedita al contrabbando di carburante”.

I rapporti d’affari con i due soggetti campani, sono confermati da almeno cinque testimoni. “Pivetti con molta difficoltà mi disse che avrei dovuto andarmene dalla palazzina di viale Monza perché io ero malvisto da alcuni soggetti con i quali lei voleva collaborare – dichiara Lele Mora - Questi signori mi dissero che sarei dovuto andare via da quegli uffici, che diversamente avrei passato un brutto quarto d'ora. Mi dissero che da quel momento comandavano loro e non la Pivetti, e che i miei accordi con lei non valevano più. […] Credo che in quel periodo la Pivetti avesse parecchi debiti, che doveva sistemare credo che avesse anche avuto lo sfratto della palazzina di viale Monza”.

Dei due napoletani parla anche La Rosa. “Lei avrebbe voluto aprire la Only Italia oil & gas per occuparsi di fornitura di carburanti gas e logistica per il trasporto di carburanti. Su questo progetto la Pivetti aveva dei potenziali soci erano di origine campana. Io ne vidi almeno due più volte. Uno si chiamava Giuseppe, l'altro Alessandro. Uno dei due sembrava Genny Savastano della fiction di Gomorra. Ho capito che questi signori non erano nel mondo dei carburanti e si stavano avvicinando a quel mondo e probabilmente avevano immaginato la Pivetti avesse entrature che in realtà non aveva”. In realtà, per la procura le dichiarazioni di La Rosa “palesemente volte a sminuire la rilevanza del ruolo dei predetti, contrastano con le emergenze investigative”. I campani “sapevano benissimo dove e come procurarsi il carburante di contrabbando”. E i rapporti di Pivetti con la coppia di campani “risulta provata oltre ogni ragionevole dubbio”.

Gli sms di Pivetti per chiedere protezione

Una prova ulteriore emerge dagli sms tra Pivetti e Vitaglione: “Buongiorno Giuseppe sono rientrata, per quello che stiamo costruendo insieme per il lavoro fatto fin qui e per il nostro futuro che ci deve essere vorrei chiederle di parlare con suo padre per presentarmi e farmi conoscere di persona..” scrive l’ex politico il 18 dicembre 2018. “Dopo le feste vedo di farlo salire oppure Buongiorno ci vediamo in un comune diverso dal nostro – risponde il napoletano - non vorrei che nascesse qualche problema per lei se la vedono. Ci organizziamo senza problema”. E ancora, il 20 gennaio 2019, Pivetti chiede “la protezione” di Vitaglione: “Buon pomeriggio Giuseppe la prossima settimana dovrei usare gli uffici per incontrare della gente fastidiosa. Mi sarebbe di grande aiuto incontrarli con lei perché così capiscono che i ricatti non si devono fare i tentativi di estorsione nemmeno. Incontrarli insieme secondo me li aiuta a capire che non siamo fessi”.



P.S.

 Ecco dove porta la tentazione di  ex politici che, non rieletti pensano di sfruttare le conoscenze acquisite per  fare affari, anche sporchi. La lezione di Irene Pivetti, inquisita, serva di monito ad altri/e che passano dagli scranni di Montecitorio o di Palazzo Madama alle poltrone degli studi televisivi e magari dopo anche a quelle di consigli di amministrazione non proprio specchiati.( Pietro Acquafredda)

 

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