martedì 8 marzo 2022

Ospedali, scuole, case: le bombe russe non risparmiano nulla in Ucraina ( da Avvenire, di Nello Scavo)

 C’è del fumo all’orizzonte e sembra un bastimento a carbone che si allontana dalla costa. È una delle nove fregate russe che stazionano minacciose nel golfo di Odessa, in attesa dell’ordine di invasione via mare. È stata centrata da un missile scagliato da terra. Indietreggia lenta, mentre in città la gente in fuga esulta per un attimo: è quella l’ultima immagine che porteranno nel cuore prima di raggiungere la frontiera moldava. Anche il ragazzo russo vede il fumo, ma non esulta. Le forze di Mosca sono allo stremo, chiedono rinforzi che non arrivano. 

La Russia ha mobi-litato «quasi il 100%» delle forze di combattimento che erano state stanziate prima dell’invasione dell’Ucraina, ha riferito un alto dirigente del Pentagono, citato dalla  Cnn. Ma in Bielorussia avevano affrontato mesi di esercitazioni senza un giorno di licenza per tornare a casa. «La mia compagnia, la N6, non esiste più, e neanche il nostro tenente esiste più. È una carneficina, mamma, 9mila ragazzi sono morti in 8 giorni, suonano sempre le sirene, i nostri bombardano le città». Valera è un giovane prigioniero. Gli ucraini che lo hanno catturato gli passano il telefono e lui parla con la madre. Non è da escludere che i numeri siano gonfiati ad arte. La guerra di propaganda non fa sconti. 

Ma a fiaccare il morale delle truppe e dell’opinione pubblica russa sono soprattutto le domande della mamma di Valera, di tutte le mamme, all’altro capo del telefono: «Sei ferito? Ti trattano bene? Quando torni a casa?». «I nostri stanno bombardano i civili, Putin ci ha traditi, capisci mamma? Ci ha fregati», singhiozza il soldato ragazzino che al papà assicura: «Non ho sparato a nessuno, non ho ucciso nessuno: qui succede un casino, i civili muoiono, i bambini muoiono ». Per questo si scappa. E adesso tocca alle donne più povere. Quelle che la casa l’hanno persa, o che non avevano un’auto per mettersi in viaggio. Oppure l’auto ce l’avevano ma l’hanno vista cannoneggiata manco fosse un panzer nemico. Arrivano alla frontiera sud a piedi, spingendo passeggini e portando in groppa bambini e fagotti con le poche cose arraffate per il viaggio di sola andata. Molte non hanno un centesimo in tasca. Magari il conto in banca non è in rosso, ma i Bancomat sono vuoti. Alcune hanno raccontato che durante il tragitto si sono fatti avanti dei tizi, anche anziani, per offrire un passaggio o un tetto per la notte. 

E qualche volta è andata a finire come in ogni guerra: «Hanno allungato le mani promettendo denaro e un viatico facile per donne e bambini ». La notizia viene confermata ad  Avvenire da fonti diverse sui due lati, in Ucraina e in Moldavia. Anche alcune religiose hanno raccolto le confidenze di queste donne, sole e spaventate, con un peso enorme sul cuore e sulle braccia. «Molte già ci dicono di non avere notizia del mariti, oppure hanno saputo che sono morti. Non hanno più una casa e non sanno dove andare né a chi chiedere aiuto », racconta una volontaria. La storia si ripete, lungo le rotte dell’Est. Oleksandra era passata da qui dopo la caduta del muro. Aveva incontrato i volontari italiani di don Cesare Lodeserto, il sacerdote pugliese che aprì i primi cen- tri di accoglienza quando dal Canale di Otranto a centinaia sbarcavano dall’Albania. Oleksandra era passata con altre ragazze in fuga dalle tossine sovietiche, che non avevano fatto meno danni del disastro nucleare di Chernobyl. Ragazza di strada, cameriera, badante. Finalmente era tornata in Ucraina. Un Paese cambiato, in meglio. Non c’erano più i comunisti. E i nazionalisti, per chi ha vissuto il comunismo, in fondo preoccupavano di meno. 

Ora ha ripercorso l’unica strada che conosceva. E mai avrebbe immaginato di ritrovare, stavolta in veste di vicario della diocesi cattolica di Chisinau, proprio don Lodeserto. Le vie di fuga sono però un baratto di guerra. Mosca si lamenta perché nessuno percorre i corridoi aperti in alcune zone di combattimento. E accusa Kiev di trattenere i civili e usarli come scudi umani. Ma su quei corridoi continuano a piovere ordigni, con poche scuse per la precisione mancata. Una deliberata strategia di guerra che vuole terrorizzare la popolazione. Dappertutto, perché dappertutto arrivano le bombe. A Kiev circa 4.000 persone sono bloccate in alcuni sobborghi. Secondo fonti in città, i tank russi stazionano ormai tra i condomini della periferia. 

Ma il governo Zelensky resiste. E ieri ha anche rivendicato l’abbattimento di due aerei russi. Vadym Denysenko, consigliere del ministro degli interni ucraino, ha detto, poi, che 2.000 persone sono state evacuate dagli insediamenti di Irpin (dove due giorni fa è stata sterminata una famiglia di 4 persone che si dirigevano verso i “corridoi”), e da Bucha, da Hostomel, fuori Kiev, tutti centri che hanno visto pesanti combattimenti. Nel mirino ci sono finiti anche due depositi di petrolio a Zytomyr e Cernjachov. Secondo l’Onu, finora il conflitto ha provocato la morte di 406 civili, e oltre 800 feriti. I danni provocati dall’inizio della guerra ammonterebbero già ad almeno 10 miliardi di dollari. Ma i numeri sono una delle grandi incognite del conflitto. 

Soprattutto quelli sulle perdite militari. Kiev parla di 10mila soldati russi uccisi. Mosca ne conferma 500. Anche sugli ospedali danneggiati non ci sono cifre univoche. Il governo Zelensky parla di 34 strutture colpite – insieme a 202 scuole e 1.500 case –, ma l’Organizzazione mondiale della sanità ne ha censite 16. Resta il fatto che edifici che dovrebbero essere risparmiati sono finiti sotto le bombe. Come i profughi. Nella serata di ieri è stato confermato che non ci sarà un passaggio sicuro per i civili intrappolati a Mariupol e Volnovakha (aree della regione Donetska controllate dal governo Ucraini). «Finora uscire e correre al riparo lontano dagli scontri era è stato impossibile, poiché i combattimenti infuriano nonostante un cessate il fuoco negoziato e concordato dalle parti», ha denunciato la missione in Ucraina dell’Ufficio Onu per i diritti umani. Il 6 marzo, il capo della delegazione ucraina per i colloqui con la Federazione Russaaveva dichiarato che c’era la possibilità di un “corridoio umanitario” fuori da Kharkiv, città che le Nazioni Unite hanno definito «devastata ». La domanda è cosa 


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