Fu lui ad abbattere, il 27 gennaio 1945, a bordo di un carrarmato sovietico T-34, la recinzione elettrificata di Auschwitz: è morto all’età di 98 anni David Dushman, l’ultimo liberatore del campo di concentramento che più di qualsiasi altro simboleggia l’orrore dell’Olocausto. La conferma è arrivata da un portavoce della Comunità israelitica di Monaco, il quale ha precisato che la morte è avvenuta nella notte tra venerdì e sabato in un ospedale della capitale bavarese.
Quel che Dushman, allora appena 21enne, vide nel campo di sterminio non l’abbandonò mai: “Montagne di cadaveri, persone mezze morte di fame, una sofferenza senza fine. Ma in un certo senso non sapevo cosa fosse Auschwitz. L’ho capito davvero solo dopo la guerra”.“La biografia di Dushman è materiale per i libri di storia”, sottolinea il giornale Juedische Allgemeine.
Originario dell’Unione sovietica, alla guida del suo carrarmato “aveva visto numerose volte la morte in faccia”. Tra le tante battaglie alle quali aveva partecipato, giovanissimo, anche quella di Stalingrado: per il coraggio dimostrato in prima linea ottenne numerose onorificenze, paradossalmente non per la liberazione di Auschwitz. Lo scorso aprile, proprio in occasione del suo 98esimo compleanno, Dushman è stato nominato membro onorario della comunità israelitica tedesca. Dopo la guerra è stato – per quasi quattro decenni, ossia dal 1952 al 1988 - l’allenatore della squadra femminile di scherma dell’Urss. In questa veste fu anche testimone vicino del sanguinario attentato terrorista contro la squadra olimpionica israeliana del 1972 a Monaco di Baviera.
Le esperienze della sua vita l’ha raccontate per decenni nelle scuole, dalla guerra ai campi di concentramento fino alle Olimpiadi. Sono molte le atlete portate da Dushman al podio dei campioni mondiali così come a quelli dei Giochi olimpici. In Germania Dushman ci arrivò dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione sovietica. La discriminazione e la diffamazione verso gli ebrei la visse anche là, oltre la cortina di ferro.
Suo padre, un medico, era stato una delle innumerevoli vittime delle epurazioni staliniste, e finì i suoi giorni un campo di lavoro. Un ricordo d’orrore fu anche l’Olimpiade di sangue del 1972: “Eravamo alloggiati proprio di fronte a dove stava la squadra israeliana. Sentivamo gli spari e il rumore degli elicotteri di fronte a noi. Il terrore che l’attentato scatenò tra tutti gli atleti presenti non lo scorderò mai”. Quando compì 95 anni, fu l’allora presidente della Comunità ebraica tedesca, Charlotte Knobloch, a rendergli omaggio: “Basta per almeno tre vite quel che lei ha dovuto soffrire nel corpo e nell’anima– disse rivolto al veterano – ma anche ciò che è riuscito a conquistare di straordinario e i successi fuori dal comune che ha potuto celebrare”.
L’ultimo liberatore di Auschwitz ha continuato a maneggiare fino all’ultimo la spada ed il fiorino. In Germania arrivò dopo la dissoluzione della cortina di ferro, dopo un breve passaggio in Austria. Ma, come non si stancò mai di raccontare, non ebbe mai risentimenti verso la sua nuova patria, la Germania: “Non combattevamo contro i tedeschi, combattevamo contro il fascismo“
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