Grande, aggettivo in costante inflazione d'suo, non conosce, in ambito musicale, nè soste nè rallentamenti. Ed è assai curioso che il suo uso eccesivo riguardi soprattutto la musica , molto meno alcune altre forme d'arte - perchè non lo si usa quasi affatto, ad esempio, per la pittura e anche per il teatro, forse appena un pò per il cinema.
Il fatto è che tale aggettivo, usato a sproposito, come etichetta che dà garanzie, nasconde quasi sempre una truffa.
Prendiamo ad esempio il nostro caso, quello cioè delle tre trasmissioni che, fra luglio e agosto, trasmetterà Rai Tre, con Pippo Baudo e Antonio Di Bella che dall'Arena, e nell'Arena, di Verona racconteranno tre capolavori del nostro melodramma. Sarebbe a dire la 'Grande' opera.
Di grazia. Ci sarebbe e quale sarebbe, eventualmente, la 'piccola' opera? E' evidente che non ce ne è, e che quell'aggettivo va letto solo come richiamo per allodole distratte e stonate. Un pò come i proclami che si leggono, anche in questi giorni, nelle vetrine dei negozi, a proposito degli sconti sulla merce, che vengono definiti appunto 'grandi' e che qualche volt nascondono una 'sola', come si dice a Roma, ovvero una 'truffa'.
Poi c'è il capitolo dei narratori. Baudo e Di Bella, una strana coppia messa insieme da un certo Mazza che a Verona imperversa - a fianco, e talvolta anche contro l'Arena - ma che il pubblico televisivo conosce bene per la sua presenza al vertice organizzativo del Festival di Sanremo.
All' origine, è dall'ambito della musica leggera, cosiddetta, che quell'aggettivo è rimbalzato nella musica 'pesante', cosiddetta.
Basta che ci siano tre o quattro cantanti o cantautori, e che vi sia un' orchestra che li accompagni, e si legge, di consueto . la 'grande' musica, dove di grande c'è forse solo il numero dei componenti nel caso dell'orchestra, mentre tutto il resto è piccolo piccolo.
A 'grande' si è voluto accompagnare, in questo caso, anche una precisazione ancora più enfatica: per la prima volta si tenta un simile esperimento.
Ora non sappiamo di Di bella, ma di Baudo sappiamo per certo che ha visto quelle belle edizioni di 'All'Opera! ' con Lubrano, seguitissime e per questo cancellate dopo sei cicli, che avevano un doppio vantaggio: il racconto dell'opera fatto da quell'istrione della tv che è Antonio Lubrano e, soprattutto, l'ascolto e la visione dei punti salienti dell'opera in questione.
Non sappiamo cosa intendono fare i due ora prestati al melodramma, ma temiamo che prenderanno il sopravvento sull'ascolto dell'opera, che è poi ciò che la televisione dovrebbe fare per risvegliare la memoria del nostro passato musicale, in via di dimenticanza. E questo All'Opera! lo faceva in modo superlativo.
In questi giorni si è svolto a Milano il Prix Italia, dove sono state presentate due realizzazioni operistiche effettuate all'Opera di Roma, ad opera del regista Martone - l'aspetto singolare stava proprio nella regia che usufruiva dell'intero teatro senza pubblico - con la direzione musicale di Daniele Gatti, in partenza dal teatro della Capitale. Per nessuna delle due neanche una 'menzione' dalla giuria.
E ci è venuto in mente che una quindicina di anni fa o poco più, in un'altra edizione del Prix Italia, che ebbe luogo e Reggio Emilia, noi , proprio noi presentammo alla stampa internazionale alcune puntate di All'Opera!, che suscitarono molto interesse, perchè assoluta novità nell'intento di diffondere nuovamente nel pubblico televisivo, quello di Rai Uno, la conoscenza ed anche l'amore per l'opera.
Dunque l'attuale esperimento che vedremo fra luglio e agosto su Rai Tre, novità assoluta non lo è affatto. Della sua efficacia nell'avvicinamento del pubblico al melodramma non siamo sicuri, mentre sulla preponderante presenza del 'principe' dei presentatori possiamo scommettere fin d'ora.
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