domenica 17 gennaio 2021

Del disastro INPGI gli editori prinicipali resposnabili ( di Roberto Reale)

 La crisi della nostra previdenza vede ormai volare gli stracci. Sotto accusa finiscono un po’ tutti: Inpgi, Fnsi, Ordine, Governo. Ma quasi mai si mettono nel mirino gli editori, forse i principali responsabili del disastro. 

Provo ad elencare:

1) In Italia quasi tutti gli editori sono “impuri”. Non puntano a fare utili con un’informazione sana e democratica ma usano i media per fare politica e ottenere benefici per il loro business. Piangono sulle perdite delle copie invendute, mentre i miliardi spremuti alla collettività per auto, cemento, energia non compaiono come attivo nei loro bilanci. Difficile immaginare che i Paperoni dell’industria comprino una testata giornalistica per guadagnare qualche euro. In effetti, dei lettori a loro non importa affatto. I veri interlocutori siedono a Palazzo Chigi.

2) Per decenni – con la complicità della politica – i proprietari dei media hanno usato l’Inpgi come un Bancomat, versando due o tre punti in meno di contribuzione rispetto al regime Inps. Hanno ristrutturato aziende sane grazie a norme compiacenti sui prepensionamenti e, approfittando dell’inerzia del sindacato, sono riusciti a sfruttare migliaia di colleghi con abusivismo, compensi ridicoli, falsi co.co.co e false partite Iva. Le aziende fuorilegge sono spesso recidive: ad ogni ispezione vengono trovate con le mani nella marmellata.

3) Nonostante i controlli e una miriade di cause in tribunale, sono state evase negli anni contribuzioni per centinaia di milioni di euro, crediti che l’Inpgi ha dovuto in parte svalutare e in buona parte non riesce a recuperare. Perché non si comincia ad agire con richieste di pignoramento sui beni dei proprietari delle aziende pirata? Incredibile nella patria del dirittto: con lo scudo Fieg, gli editori si sono fatti beffe perfino di un istituto contrattuale come l’ex fissa, per cui migliaia di giornalisti vantano un credito senza che si riesca ad identificare chi è il debitore. E ancora oggi sfruttano compiacenza e asservimento della politica per ottenere, a carico della categoria, risanamenti di aziende editoriali che sono incapaci di gestire: come la Rai, impresa pubblica in continuo calo di audience ma pronta a scaricare sulla previdenza di categoria il costo di milioni di euro per un nuovo esodo di giornalisti prepensionati.

Non “Cavalieri del lavoro” dunque, ma troppo spesso cavalieri dello sfruttamento e della disoccupazione. Perché nessuna delle voci più autorevoli e indipendenti della categoria afferma l’esigenza di un’informazione veramente libera (che non risiede nell’autonomia dell’Inpgi ma nell’indipendenza dei giornalisti) mobilitando su questo tema l’opinione pubblica? Fino a quando, divisi in misere beghe tra maggioranza e opposizione, Fnsi e Ordine si inginocchieranno davanti a politicanti e finti editori?

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