Sarebbero queste due singolari inaugurazioni di stagione le perle più preziose dell'anno della pandemia per i teatri italiani. Non ricordiamo chi l'ha detto o chi l'ha scritto, ma ricordiamo bene che qualcuno l'ha detto o scritto.
Le perle dunque sarebbero lo spettacolo pensato da Livermore per la serata inaugurale della Scala, visto che la Lucia di Lammermoor programmata non poteva rappresentarsi causa regole sanitarie anti Covid; e il Barbiere rossiniano con la regia di Martone, ripreso in un teatro agito interamente, platea compresa, come set.
Due spettacoli ubbidienti a logiche un pò particolari. Se l'opera non si può dare, facciamo un bel concerto sceneggiato-hanno pensato e deciso alla Scala. Naturalmente niente da dire sulla ideazione e realizzazione; e comunque quel poco che si potrebbe eventualmente dire, si può anche tacere.
L'Opera di Roma ha pensato invece di offrire l'intero teatro - escludendo quelle inutili scorribande per le vie intasate come sempre di Roma in scooter guidato da Daniele Gatti - non avendo pubblico , al regista perché vi facesse qualunque cosa. Martone, ad onor del vero, non ha strafatto, ha occupato palcoscenico e platea, risparmiando qualunque addobbo scenografico, ad eccezione di quella ragnatela di corde che 'impacchettava' l'interno del teatro e che avrebbe dovuto immediatamente suggerire al telespettatore - l'idea era veramente cervellotica - il contenuto dell'opera: la prigionia forzata di Rosina, da parte del suo tutore.
Martone, salvo questo inutile elemento ha lavorato molto bene, ma ci ha tragicamente fatto intravedere cosa potrebbe accadere in futuro quando il teatro potrebbe non avere più pubblico a causa del lungo lunghissimo lockdown.
E, difatti, potrebbe volerci del tempo prima che il pubblico, che forse si è abituato a vedere ed ascoltare musica da casa, via streaming - lo incoraggia anche il geniale Franceschini con quella sua nuova diavoleria che si chiama' ItsArt', genericamente chiamato 'netflix della cultura' - torni a desiderare l'ascolto della musica e la visione delle rappresentazioni dal vivo. Che sono, sia chiaro, altra cosa.
Dobbiamo confessare che ci ha allarmati la dichiarazione di un noto esponente della cultura italiana, radiofonica, come l'attuale e da tempo direttore di Radio 3, Marino Sinibaldi, che recentemente Franceschini ha nominato direttore del 'Centro per il libro e la lettura', il quale a coloro che invocavano la riapertura dei teatri e degli altri locali adibiti a spettacoli dal vivo, diceva di non esagerare nella richiesta, perchè nell'ultimo anno i teatri, quando erano stati riaperti, sebbene per brevi periodi, erano mezzo vuoti. E Sinibaldi, fresco di uscita dal Teatro di Roma ( soprattutto Teatro Argentina), la situazione del pubblico nei teatri la conosceva bene dal di dentro. Dunque non illudetevi, sembrava voler dire Sinibaldi, che appena riaperti - Fauci, ad esempio, in USA, ritiene che possa accadere in autunno. Magari anche in Italia! - li rivedremo di nuovo pieni, almeno nella percentuale, non proprio esaltante, di prima della pandemia.
C'è naturalmente chi non si dà tanta pena per l'attuale situazione e spera anzi che duri a lungo. Pensiamo all'industria discografica che anche dalla balzana idea di Franceschini ( 'ItsART') potrebbe trarre beneficio.
Comunque adesso la strada sulla quale si sono incamminate tutte le grandi istituzioni musicali, anche del nostro Paese, è quella di registrare senza pubblico la normale stagione, di opere o concerti, e trasmetterla, con pagamento di un ticket simbolico (anche per avere un seppur minimo borderò) sui canali degli enti o sulle reti televisive pubbliche dedicate alla cultura, Rai 5 capofila.
Ciò che vogliamo dire, a conclusione di questa breve incompleta panoramica, è che i buoni propositi di inizio pandemia, e cioè che la lunga chiusura avrebbe potuto, anzi dovuto, far compiere sperimentazioni alle istituzioni, sono saltati. Perché le due 'perle' di cui parlavamo all'inizio non hanno nulla di sperimentale, semmai rappresentano un veloce e neppure tanto meditato 'ripiego' per fronteggiare l'emergenza.
E perciò quando leggevamo che alcuni sovrintendenti - l'aveva dichiarato, affaticato e madido di sudore, anche dall'Ongaro per Santa Cecilia - avevano dovuto lavorare tutta l'estate per preparare piani B o C (leggi: varianti di stagione a seconda del protrarsi dell'emergenza e in ottemperanza a possibili divieti di spostamento fra nazioni) era una balla. Oggi vediamo che le istituzioni più importanti, per via del finanziamento statale confermato anche per l'anno in corso, facendo un minimo di economia, tengono la stagione così come l'hanno programmata, senza cioè molti stravolgimenti, se non quelli che si verificano anche nel corso di una normale stagione, e chiudere in quasi pareggio. Perché non dimentichiamo che il finanziamento statale copre, nella maggior parte delle istituzioni, se ben amministrate, le spese fisse del personale e qualche cachet, non certo una sequenza di cachet troppo onerosi e ormai fuori mercato, sui quali occorrerebbe fare una pubblica riflessione.
Effettuate le vaccinazioni, e garantita la cosiddetta 'immunità di gregge' si potrà riprendere la normale attività - 'normale' cosiddetta, ma non nel senso di 'come era prima del Covid', altrimenti non avrebbe insegnato nulla ai sopravvissuti l'epidemia mortale - e riprogrammare con anni di anticipo: 'più o meno quattro o cinque' - come vuole, per la sua fittissima agenda di impegni, la direttrice 'che va forte' - dove? - Beatrice Venezi.
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