Premetto che qualche minuto davanti alla tv ce la faccio a resistere, anche perchè costrettovi, durante il festival nazionalpopolare della canzone italiana che ogni anno inonda Sanremo.
Solo qualche minuto perchè poi la pochezza generale del prodotto e la sfilata carnevalesca di tanti giovani ai quali si fa credere che solo se mascherati hanno chance per le loro canzoni, mi fa cambiare canale.
Premetto, infine, che se uno con quella faccia che ha, è riuscito a rubare al povero Wolfgang il nome: AMADEUS; alla Rai milioni di Euro, e ad imporre anche sua moglie al festival, beh, allora vuol dire che quella faccia non rispecchia l'essenza della sua persona.
E allora veniamo al dunque. Da settimane il mondo della cosiddetta 'cultura' - che il Governo chiama 'intrattenimento', facendoci subito capire in quanta considerazione l'abbia - lamenta, non senza qualche ragione, ma poche a nostro parere, la scarsa attenzione ai problemi del settore. Anche tralasciando le considerazioni 'alte' che si leggono in ogni dove: la cultura è indispensabile in tempi duri, è certo che il problema esiste. E se le rassicurazione relative alla sicurezza del medesimo mondo non hanno fatto risolvere neppure in parte il problema , qualche ragione forse c'è.
Ora, a differenza di quando accusava il Governo di 'riaprire i centri commerciali e i teatri no', quel mondo punta il dito contro Sanremo; perché dice: non è possibile che Sanremo sì e la Scala no.
E, invece, a noi sembra possibile, sempre considerando le premesse tutte che abbiamo fatto in principio.
Perché Sanremo è solo Sanremo, mentre teatro, opera, musica, cinema, vuol dire migliaia di altri luoghi in tutta Italia; e perché assumere precauzioni per qualche giorno è possibile, ma non lo è affatto nel caso dell'apertura dei luoghi della cultura che si protrarrebbe per settimane e mesi; e senza che conosciamo l'esito del decorso della pandemia, aggravata dalla notizia che il flusso regolare dei vaccini si inceppa molto facilmente.
In sintesi. Una città contro migliaia, cinque giorni contro settimane e mesi. Non è la stessa cosa. Senza considerare, inoltre, che lo stesso pubblico della cultura, a differenza degli operatori - dei quali si comprende e condivide il grido di dolore ! - non correrebbe a fiumi all'ingresso di teatri, sale da concerto e cinematografiche solo perchè un DPCM autorizza la riapertura ( lo ha detto, a denti stretti ma con dati alla mano, anche Marino Sinibaldi, nelle passate settimane, e noi lo abbiamo ripreso, condividendone le riflessioni).
Adesso la priorità è uscire dalla pandemia, il prima possibile e con le ossa meno rotte - il prof. Fauci, in America, ha dato qualche speranza per il prossimo autunno - poi si penserà alla riapertura al pubblico dei cosiddetti luoghi della cultura. Che allora, ma solo allora, torneranno a riempirsi. E' sano augurarselo e sperarlo.
Per intanto il mondo della cultura continui a protestare contro il Governo, perché almeno tutti gli abitanti di quel mondo non garantiti - ma molti lo sono, per fortuna!- riescano a superare l'emergenza.
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