Scusate ma che colpa ha il Festival di Sanremo? Negli ultimi giorni fior di attori e registi si sono scatenati contro il Festival colpevole di andare in scena "con il pubblico" mentre i teatri e i cinema sono obbligati a restare vuoti per i ben noti divieti legati al controllo della pandemia.
Ieri l'ultimo a far polemica è stato il regista Davide Livermore che sulla Stampa ha usato toni minacciosi: "Davanti a Sanremo con gli spettatori dal vivo il teatro italiano tornerà militante". Ossia: "Noi apriremo i teatri e sul palco ci sarà il nostro festival: primo concorrente Shakespeare".
Anche Emma Dante e Gabriele Lavia, tra gli altri, non hanno usato giri di parole. Il motivo della protesta è perfettamente comprensibile. L'obiettivo della protesta no.
Il Festival di Sanremo non andrà in scena violando una legge o un Dpcm. Non farà qualcosa di vietato. Se gli attori e i registi (o i produttori e gli impresari) vogliono protestare, almeno scelgano il bersaglio giusto.
E il "bersaglio" è chi ha definito il mondo dello spettacolo con un persino offensivo "i nostri artisti che ci fanno divertire", ossia il premier Conte che da bis sta diventando ter.
Perché, invece, di prendersela con chi in queste settimane sta lavorando al Festival, gli operatori dello spettacolo "che ci fa divertire" non se la prendono con il Presidente del Consiglio o con il ministro Franceschini che, a detta di quasi tutti, non hanno finora preso le misure adatte e necessarie ad affrontare la situazione?
Ha detto bene ieri Enzo Mazza della Fimi alla AdnKronos: "Basta lotte fratricide nella filiera culturale". Specialmente quando non servono a nulla. D'accordo che il Festival di Sanremo è la calamita perfetta per chi vuole attirare attenzione e titoli di stampa. Critichi Sanremo e vai sui giornali. Però, almeno in questo caso, non risolvi il problema. Se i teatri e i cinema restano vuoti, non è certamente colpa di Amadeus. E usarlo come pretesto per far polemica ha come unico e sconsolante risultato quello di non portare risultati.
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