Il calendario della crisi parte ufficialmente oggi. Questa mattina al Consiglio dei ministri Conte comunicherà e spiegherà le sue dimissioni, poi salirà al Colle per consegnarle nelle mani del capo dello Stato attivando così la procedura consueta. Secondo la prassi Mattarella dovrebbe accettarle con riserva invitando il premier a rimanere per l’ordinaria amministrazione. Fin qui l’iter formale, nella sostanza il “pallino” passa di mano e da Palazzo Chigi finisce al Colle.
Dunque Conte perde il controllo delle prossime mosse che faranno capo al Quirinale anche se nel colloquio di questa mattina avrà un peso quello che dirà a Mattarella, cioè come intenda muoversi e per quale obiettivo e maggioranza lavora. Quello sarà il primo filo che andrà tirato durante le consultazioni che secondo le intenzioni quirinalizie dovrebbero durare un paio di giorni.
I primi a essere ricevuti - tra oggi pomeriggio o più probabilmente domani - saranno i presidenti delle Camere e poi tutti i gruppi ma ci sono due elementi che condizionano i tempi: il primo è la sanificazione per esigenze anti-Covid; il secondo è la formazione con la quale decideranno di essere ascoltati i partiti (per esempio se il centro-destra andrà insieme o si presenterà per gruppi distinti). Nel frattempo dovranno anche maturare posizioni politiche perchè le “condizioni” che, di nuovo, Mattarella ripeterà a Conte sono quelle note: ossia a fronte dello strappo di Renzi e di numeri risicatissimi al Senato (al punto di dimettersi per non affrontare la conta sulla giustizia), ci sarà bisogno di un fatto nuovo - politico o parlamentare - che certifichi l’esistenza di una maggioranza chiara a favore di un reincarico per Conte.
Insomma, sul premier dimissionario dovrà compattarsi una nuova coalizione - o ci potrebbe essere il ritorno della vecchia - con numeri ragionevolmente certi. In questo senso pesano i precedenti e quello più vicino temporalmente è il tentativo di Bersani a cui Giorgio Napolitano affidò un pre-incarico che non si trasformò mai in nomina perché non trovò i numeri sufficienti (non passò la tesi dello “scouting” parlamentare).
Sotto il profilo pratico, le dimissioni avranno come prima conseguenza il fatto che non ci saranno più le comunicazioni del ministro Bonafede sulla giustizia ma - vedi il precedente di Monti - dovrebbe essere consegnata in Parlamento una relazione su cui – ovviamente – non ci sarà alcun voto. Insomma, si elimina il passaggio che ha provocato la scelta di Conte di lasciare Palazzo Chigi ma per tornarci si dovrà giocare la sua partita in queste ore. E se non dovesse trovare numeri a suo favore, si aprirà la porta a nuovi scenari che vanno da maggioranze diverse, a diversi premier fino all’ipotesi delle elezioni anticipate. È noto che Salvini e Meloni spingono per quella soluzione e che perfino dalle parti del Pd (ma non tutto) e dei 5 Stelle (solo i contiani che vogliono la lista del premier) si è tentati dalle urne. Come si sa, sin dall’inizio Mattarella non ha escluso il voto anticipato e, non come scenario auspicabile ma, viste le disarticolazioni politiche e parlamentari, come quello più temuto.
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