A Salvatore Sciarrino.
Oggi, per il suo compleanno
A proposito del recente
volume
Il Suono, il Silenzio, l'Ascolto di
Pietro Misuraca
edito dalle edizioni NeoClassica
Conosco Salvatore
Sciarrino da molti anni, una quarantina circa. Cominciammo a
frequentarci a Perugia; lui si era da poco stabilito a Città di
Castello, ed insegnava al Conservatorio Morlacchi, dove anch'io fui
destinato nei primi anni di insegnamento.
Poi ci perdemmo di vista
per un certo periodo, purtroppo non breve, per colpa di un articolo -
che egli giudicò malamente e che io avrei dovuto, secondo lui, non
pubblicare - scritto da Sylvano Bussotti, per Piano
Time, il mensile che avevo fondato nel 1983 e
che allora dirigevo.
Riallacciammo i rapporti
in occasione di una edizione del Festival
internazionale delle Nazioni di Città di
Castello e riprendemmo a frequentarci, al punto che nel 2003 quando
la presidenza del festival propose a lui la direzione artistica, lui
fece il mio nome per l' edizione dell'anno successivo ed io accettai
con entusiasmo - ancora si ricorda l'eccezionale riuscita di quella
edizione del festival.
Da allora e fino ad oggi i
nostri rapporti sono stati sempre buoni, ci siamo spesso visti ed
anche sentiti, pur abitando lontani, come due buoni amici. Inutile
aggiungere che io mi sono sempre sentito onorato della sua amicizia,
ma penso anche lui.
Perchè racconto questo?
Per dire semplicemente che in tutti questi anni io non l'ho mai
intervistato né scritto alcunchè su di lui, pur avendone la
possibilità e conoscendolo abbastanza bene; e non perchè sono
mancate le occasioni. Per la ragione che con un amico - mi è
capitato anche altre volte con altri amici musicisti - non riesco ad
avere il necessario distacco che il lavoro giornalistico
consiglierebbe. Al punto che, quando ascolto una pubblica esecuzione
della sua musica, come numerose volte mi è capitato, perdo la
necessaria libertà di pensiero e di ascolto, indispensabili ambedue.
E perciò tutte le volte
che sulle riviste che ho diretto ho fatto uscire qualcosa su
Sciarrino, a cominciare da Piano Time, ho preferito,
profittando della sua amichevole disponibilità, pubblicare un suo
scritto - come è accaduto tante volte, anche sulle pagine
dell'ultima rivista che ho diretto, Music@.
Uno in particolare, che
pubblicai su Music@ mi colpì: 'Malinconia degli studi', di
sapore anche autobiografico ma non esclusivamente tale, che era poi
la 'lectio magistralis' che Sciarrino pronunciò nel 2007 a Palermo, sua città
natale, in occasione del conferimento, per i suoi sessant'anni, della laurea honoris causa
della Università cittadina che aveva frequentato ancora con i
pantaloni corti, negli anni in cui vi insegnava anche Luigi Rognoni.
Quasi sempre, negli anni,
2007-2013 ho potuto anticipare su Music@ le fascinose e profonde
presentazioni che ha fatto delle sue opere, anche quando i titoli si
presentavano nella loro asciutta ed antica bellezza: madrigali,
quartetto...i quali, secondo il suo pensiero e convinzione,
necessitavano a maggior ragione di un qualche chiarimento per non
essere fraintesi ed assunti come 'comodo' ritorno all'antico.
Per la gran parte degli
altri titoli c'è da augurarsi che un letterato creativo, mettendoli
in fila, faccia un giorno emergere la trama che racconta via via
oltre la sua personalità, gli interessi, le scoperte e le passioni
che Sciarrino vive ed alimenta insieme alla musica.
Venendo poi agli scritti
ormai innumerevoli che critici musicali, musicologi, semiologi hanno
dedicato alla sua opera, non escluse monografie, cataloghi ragionati
ed anche alcune tesi di laurea, un termine campeggia e ricorre, più
di ogni altro, come non accade nelle esegesi musicali di qualunque
altro compositore: 'suono'.
Lo si trova anche nel
titolo dell'ultima monografia (alla cui presentazione romana, nelle
passate settimane, ad opera di Susanna Pasticci, abbiamo assistito),
scritta da Pietro Misuraca
e appena pubblicata dalla editrice NeoClassica:
Il suono, il
silenzio, l'ascolto. La musica di
Salvatore Sciarrino dagli anni Sessanta a oggi.
Già
nel 2008 Misuraca aveva pubblicato per l'editrice palermitana
Unda maris,: Salvatore
Sciarrino. Itinerario di un alchimusico, in
riferimento alla ben nota alchimia con cui Sciarrino ci ha abituati a
trattare il suono.
E,
non a caso, Carte
da suono (1981-2001) è
anche il titolo di
una silloge di scritti di Sciarrino, pubblicata nel 2001 dalle
Edizioni Novecento-Cidim.
Nella
stessa direzione si muove la motivazione di uno dei premi che
Sciarrino ha meritato, quello della Fondazione spagnola BBVA,
intitolato 'Frontiere della conoscenza' che egli nell'indagare il
suono ha allargato.
La
ragione di tale insistenza la spiega nel prologo-prefazione del suo
studio Misuraca: “Sciarrino, per la
novità nella concezione del suono, la pioneristica attenzione alle
leggi della percezione e dell'ascolto... è uno dei protagonisti
della panorama musicale contemporaneo”.
Dove
comincia dalla particolare sua formazione di autodidatta. Scrive il
compositore, in prima persona:”... essere
autodidatta vuol dire studiare bene i classici e respirare a pieni
polmoni la libertà: essa è necessaria a costruire la propria
personalità. Essere autodidatti significa non smettere mai di
scoprire e di studiare... Ognuno deve approfondire la propria
coscienza e allargare i propri orizzonti: verso il fondo di se stessi
e verso la realtà. Sono questi due movimenti che la scuola non ci
insegna e che invece danno vita alla personalità di un artista”.
Altro
elemento della formazione di Scariino, spiega ancora Misuraca, è
l'assimilazione della poetica dell'haiku
giapponese: bandire dalla poesia la nostra soggettività.
I
poeti dell'Occidente parlano quasi sempre in prima persona e di se
stessi, quelli orientali, invece, fanno parlare gli eventi, i fatti.
E
per questo il musicista proteso verso la centralità del suono, prese
le distanze sia dal 'postwebernismo' che dal 'dadaismo', già nelle
prime esperienze da compositore. La concezione della musica e il
particolare mondo sonoro apparvero subito singolari e: “ mi
pesarono”
– riflette Sciarrino, che li “
pagò con l'isolamento. Mi trovavo in mezzo a musicisti assillati
dall'ordinamento delle altezze quasi fosse l'ultima speranza...
Nutrivo esigenze di suono, di totalità, di manifestarne la
costituzione...”
La
sua produzione, dunque, è animata da un 'concreto desiderio di
suono': “la nascita del suono è
fenomeno conturbante ben più di qualsiasi gioco di pallottoliere”.
Dal
suono all'
ascolto. “ Le vere strutture del
linguaggio non possono prescindere dalla percezione, sono, anzi,
senza di questa, rese affatto prive di senso, addirittura non
esistono”, scrive
Sciarrino, che in una intervista precisa:
“tutti i miei pezzi tentano di capire cosa accade quando qualcuno
l'ascolta. Ed
ancora: “ Nella mia musica c'è uno
spostamento dell'attenzione dal mondo oggettivo del testo, del
linguaggio, a ciò che arriva all'ascoltatore e a come egli lo
percepisce”.
Il
suo modo di ascoltare la musica è lo stesso sia che si tratti di
musica moderna che antica, perchè la percezione è la stessa.
Sciarrino tende “a dar vita ad un
nuovo umanesimo in cui passato e presente possono essere guardati
allo stesso modo”. Di
conseguenza, realizza anche un filone fondamentale della sua
produzione, quello dello studio, della ricostruzione filologica e
dell'elaborazione di musiche preesistenti. Anche in questa posizione,
evidente la sua polemica contro certe avanguardie che puntavano a
creare una sorta di tabula rasa con il passato; dove egli è alla
ricerca della originaria carica di novità, piuttosto che al recupero
di tratti retrospettivi. Si ascolti il recente 'Sposalizio' da Liszt,
scritto per l'Orchestra di Padova.
“ Ostinatamente ho
cercato di confrontarmi con i grandi del passato. Ma è una sfida
etica, non estetica. Non confondere: mentre io ho dimestichezza con
loro, nei risultati la mia musica ne è lontanissima. La sfida
lanciata a noi dai classici, che si può vincere, è nel superare i
propri limiti. Anzi: nel superarli con larghezza, proprio dove
abbiamo dato il meglio, lì dobbiamo ancora impietosamente superarci”
.(Sciarrino)
Fin
qui la chiarissima prefazione che Misuraca dedica a Sciarrino, e che
noi abbiamo cercato di sintetizzare. Poi, in modo singolare, procede
la sua ricerca, che insegue e segnala elementi ricorrenti della
produzione di Sciarrino, ma attraverso un sistema che definiremo
per 'cerchi concentrici', dentro i quali trovano posto anche
riflessioni, ad esempio, sulla 'nuova vocalità' sperimentata nelle
composizioni vocali, numerose, come anche in tutti i titoli del suo
già ricco, ma non concluso, catalogo di teatro musicale, fino allo
Stradella,
scritto per la Scala. Si leggano i capitoli 'La nuova vocalità', e
'Cantare con silenzio'
Il
volume, di quasi 300 pagine densisime, si conclude con il catalogo
aggiornato delle opere di Sciarrino e la già sterminata
'bibliografia', nella quale indispensabile e privilegiato spazio
occupano gli scritti del compositore. (Pietro
Acquafredda)
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