Torna a salire il Pil italiano nel primo trimestre dell'anno dopo il calo registrato nella seconda metà del 2018. Secondo le informazioni più recenti elaborate dalla Banca d’Italia, il prodotto dovrebbe essere aumentato dello 0,1 per cento nei primi tre mesi del 2019. Nella media del trimestre invernale, scrivono i tecnici di via Nazionale nel Bollettino economico, l’attività sarebbe cresciuta nell’industria in senso stretto, mentre si sarebbe confermata debole nei servizi e nelle costruzioni.
Restano tuttavia negative le previsioni sulla crescita in media d'anno. "Incorporando l’andamento sfavorevole dell’attività economica registrato negli ultimi trimestri del 2018 e le informazioni congiunturali per i primi mesi dell’anno in corso", afferma Bankitalia, "tutti i previsori privati e istituzionali hanno rivisto verso il basso le loro proiezioni di crescita per l’Italia per il 2019. Gli analisti censiti da Consensus Economics, che in dicembre prefiguravano per quest’anno un aumento del Pil dello 0,7 per cento, nell’ultima rilevazione indicano una crescita compresa tra il -0,1 e lo 0,2 per cento.
Conferma dell'ISTAT
L'Italia è fuori dalla recessione, anche se la crescita è davvero modesta: nel primo trimestre dell'anno il Pil italiano (corretto per giorni lavorativi) è cresciuto dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti. L'economia è così uscita dalla recessione tecnica dovuta ai due cali consecutivi del prodotto interno lordo registrati negli ultimi due trimestri del 2018, entrambi chiusi a -0,1%. Secondo i dati della prima stima flash dell'Istat, su base tendenziale, cioè nel confronto con il primo trimestre 2018, la crescita è stata dello 0,1%.
L'economia italiana, rileva l'Istat, ha registrato "un moderato recupero che ha interrotto la debole discesa dell'attività registrata nei due trimestri precedenti". Nel complesso, "l'ultimo anno si è caratterizzato come una fase di sostanziale ristagno del Pil, il cui livello risulta essere nel primo trimestre del 2019 pressoché invariato rispetto a quello di inizio del 2018".
In attesa dei dati definitivi e della loro scomposizione, l'Istat segnala gli incrementi del valore aggiunto del comparto agricolo, dell'industria e dei servizi, ma - dal lato della domanda - di un contributo negativo sul fronte interno e per altro al lordo delle scorte. Dopo questo segnale positivo, in ogni caso, per il ministro Tria "la previsione di crescita annuale (0,2% in termini reali) indicata nel Def può essere raggiunta e anche superata se il contesto internazionale sarà moderatamente favorevole".
“Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani !”. Cioè, non aumenteremo le tasse e non toglieremo diritti ai cittadini. E’ il proclama più sbandierato dei politici che governano.
Comunque vadano le cose, c’è però sempre un’eccezione. Se gli italiani sono pensionati,il proclama non vale. Infatti, anche il Governo giallo-verde ha cominciato a frugare nelle loro tasche dal 1° gennaio 2019 per rosicchiare le loro pensioni. Un diritto che viene, palesemente, calpestato. Per comprendere meglio le insolenti “palpazioni”, bisogna fare un po’ di storia.
Dal 1969, le pensioni degli italiani beneficiano di un meccanismo definito “perequazione automatica delle pensioni”. L’importo della pensione si rivaluta in base all'inflazione.
L’aumento del valore dell’assegno, e quindi del suo potere d’acquisto, protegge il pensionato dalla crescita del costo della vita. Nel 2001, le pensioni sono state ripartite in tre fasce e la perequazione viene applicata in misura decrescente via via che cresce l’importo della pensione (a seconda, cioè, che superi tre o cinque volte il trattamento minimo di pensione).
Nel 2012, c’è il primo grosso furto ai pensionati. Il Governo Monti, e la riforma delle pensioni Fornero, bloccano la perequazione per le pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo stabilito dall’INPS. Nel 2015, la Corte Costituzionale dichiara illegittimo questo blocco. Il Governo Renzi non vuole però essere da meno di quello di Monti. Nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, nello stesso anno 2015 compie il secondo grosso furto ai pensionati. Stabilisce che la perequazione sia parziale e scatti solo per i trattamenti compresi tra 3 e 6 volte il trattamento minimo. La rivalutazione è bloccata per le pensioni che superano 6 volte il trattamento minimo. In soldoni, se la pensione supera 6 volte il trattamento minimo, il pensionato non avrà alcun aumento indipendentemente dai contributi versati e poco importa se il valore della pensione non si adegua più al costo della vita. Dovrebbe però esserci uno spiraglio. I blocchi sono temporanei, e l’ultimo blocco scadrà con il 2018. Dal 2019, dovrebbero ritornare le regole più favorevoli della perequazione anteriori al 2001. Cioè una rivalutazione effettivamente legata al costo della vita. Ma, ahimè, non è così. Il 1° giugno 2018 entra in carica il Governo Conte giallo-verde.Le promesse elettorali sono state grandiose. Tra queste, quella di corrispondere ai meno abbienti un reddito o una pensione di cittadinanza. Però bisogna trovare i miliardi per coprire i costi delle promesse. Perché non mettere le mani nelle tasche dei pensionati?
Da anni sono un bancomat immediatamente disponibile per alimentare le casse dello Stato.
E così la legge di bilancio 2019 targata Di Maio/Salvini, oltre che ad abolire le cosiddette “pensioni d’oro”, stabilisce criteri peggiorativi per la perequazione di tutte le altre. Dal 1°gennaio 2019, e per il triennio 2019-2021, alle pensioni che superano 3 volte il minimo, e cioè superiori a 1.522 euro mensili lordi, si applicheranno criteri di rivalutazione più bassi di quelli stabiliti dai governi precedenti.
I ritardi nell’approvazione della legge di bilancio 2019 hanno impedito all’INPS di procedere alle riduzioni delle pensioni dal 1° gennaio 2019. Le riduzioni sono state applicate dal 1° aprile 2019. Ora però si deve recuperare quanto pagato in più per il trimestre gennaio-marzo. L’INPS precisa che: “Nei prossimi mesi comunicherà le modalità del recupero delle somme relative al periodo gennaio-marzo 2019”. E si calcola che la stangata di recupero che sarà appioppata ai pensionati potrà arrivare fino a 200 milioni di euro.
Con una circolare del 22 marzo 2019 l’INPS precisa che, dei 5,6 milioni di pensionati assoggettati ai nuovi sistemi di calcolo, per circa 2,6 milioni la riduzione della pensione ammonta a una media mensile di circa 28 centesimi. Poi la decurtazione sale gradualmente, in ragione dell’importo della pensione goduta. Per esempio, chi prende 3mila euro al mese subirà un taglio mensile di circa 13 euro; per chi ne prende 5 mila il taglio sarà di 30 euro. Moltiplicando gli importi di riduzione mensile per l’intero anno, 13^ compresa, si arriva a perdite di decine e centinaia di euro. Un bel regalo da chi prometteva e promette di non mettere le mani nelle tasche degli italiani.