La premessa sgombra il campo dalla prima, prevedibile, spiegazione: «Non sono gli attacchi ad avermi spinto a lasciare, mi hanno ferito, ma mai impaurito». Sergio Castellitto getta la spugna, lascia il ring del Csc dove, dall’attimo in cui è entrato, non ha vissuto un giorno senza essere avvolto dal ronzio delle polemiche: «E’ una decisione che meditavo da tempo – spiega l’attore e regista -. Semplicemente voglio tornare a fare il mio vero mestiere, che ho trascurato per più di un anno». Scelta inattaccabile, certo, ma l’affondo finale parla chiaro: «Il Centro Sperimentale è un luogo dove si studia, si promuove e si protegge l’arte cinematografica. Non consentite mai che diventi territorio di conquista per altri scopi». Eppure, ancor prima della nomina, al termine di una lunga fase di indiscrezioni e supposizioni, Castellitto aveva dovuto mettere i puntini sulle i: «Non nascondo che l’idea sia affascinante – aveva risposto a chi lo interrogava sui rumors -. L’unica cosa che mi sento di dire è che io non sono un uomo di appartenenza, ma di competenza, e, sicuramente, questo è stato recepito».
La nomina aveva la firma dell’ex-Ministro Sangiuliano e, sulla scelta di Castellitto, dopo il clamore provocato dall’azzeramento delle precedente dirigenza guidata da Marta Donzelli, si era subito espresso Pupi Avati, membro del cda della Fondazione Centro Sperimentale e convinto sostenitore del neo-presidente: «La designazione di Castellitto è bipartisan, e sgombra ogni polemica. Sono nel cda con la mia storia fatta di 54 film e con me ci sono persone di alto profilo, a cominciare da Giancarlo Giannini che ha un curriculum d’attore come nessun altro interprete italiano. Il Csc è la migliore scuola di cinema del mondo e merita il massimo». Il mantra è lo stesso di Castellitto («scelte per competenza e non di appartenenza»), ma non basta a frenare l’onda delle critiche. Castellitto va avanti, puntando soprattutto sulla «Diaspora degli artisti in guerra», l’iniziativa, realizzata nello scorso giugno, in cui la scuola di via Tuscolana è diventata per tre giorni palcoscenico di scambi, lezioni e masterclass, con autori provenienti da zone di conflitti. L’evento è poi entrato nella lunga lista di accuse, quando si è venuto a sapere che la partecipazione della moglie del presidente Margaret Mazzantini all’incontro con lo scrittore David Grossman sarebbe stata retribuita con la cifra di «4mila euro lordi come tutti gli altri ospiti della rassegna».
Durante la Mostra di Venezia, alla fine di agosto, s’incendia, a Cinecittà, un bel numero di pellicole storiche (la cifra esatta è al centro di dibattito), Castellitto, subito incolpato, fa sapere di aver già segnalato, appena insediato, l’alto rischio cui sono sottoposti materiali altamente infiammabili come la celluloide, tanto che, in passato, c’erano già stati casi di film in fiamme. Ma l’elenco degli attacchi continua ad arricchirsi, si va dai licenziamenti di collaboratori assunti con contratti a tempo determinato («il progetto di digitalizzazione era in scadenza a luglio», ha spiegato Castellitto, aggiungendo che non c’erano le «coperture finanziarie» necessarie a rendere i contratti a tempo indeterminato) alle spese sostenute al Lido di Venezia nei giorni della Mostra e alla rimessa in vendita del Cinema Fiamma, resasi necessaria visto che non c’erano i fondi per «l’onerosa ristrutturazione». L’esposizione dei chiarimenti si chiudeva, allora, alla metà di settembre, con un avvertimento: «Il mio incarico è a titolo gratuito. Non so per quanto resisterò». Ora il tempo è finito, resta solo quello per i bei ricordi: «Avrò certamente nostalgia, ma non rimpianti – scrive Castellitto nella lettera di dimissioni rivolta al Csc –perché insieme abbiamo realizzato cose di cui essere fieri. Ho visto negli occhi di molti di voi scintille di entusiasmo per esservi sentiti apprezzati e riconosciuti nelle vostre singole competenze. Vi ringrazio per tutto il tempo speso insieme e per i consigli che mi avete dato. So che continuerete a lavorare sulla stessa traiettoria con identica onestà».
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