mercoledì 20 novembre 2024

Gabriele Salvatores alla presentazione del suo nuovo film: Napoli-New York: 'una volta i migranti eravamo noi' (da Leggo, di Manuela Santacatterina)

 

 A un anno da «Il ritorno di Casanova», Gabriele Salvatores porta in sala – dal 21 novembre - un nuovo film, «Napoli – New York». Una pellicola che nasce grazie alla scoperta, in un baule, di un soggetto firmato da Federico Fellini e Tullio Pinelli che rischiava di andare perso. La storia di Carmine (Antonio Guerra) e Celestina (Dea Lanzaro), due bambini che, alla fine della seconda guerra mondiale, vivono tra le macerie di una Napoli piegata dalla miseria aiutandosi a vicenda. Una notte s’imbarcano come clandestini su una nave diretta a New York per andare a vivere con la sorella della bambina emigrata mesi prima. Al loro arrivo nella Grande Mela Celestina vede all'orizzonte la Statua della Libertà e inizia a pregarla perché le ricorda la Madonna di Pompei. Un simbolo, quello di Lady Liberty, che oggi ha perso un po' della sua potenza? «L'America dei miei sogni, quella di “Sulla strada” di Jack Kerouac, di Bob Dylan, di tanta letteratura, del meraviglioso cinema americano degli anni Settanta, non so dove sia finita», confessa Gabriele Salvatores. «Il sogno americano si sta trasformando un po' in un incubo. Per quanto riguarda i bambini del film rappresenta, al contrario, il sogno di un cambio, di un miglioramento della propria vita». Carmine e Celestina nella loro avventura devo affrontare svariati impedimenti. Ma, nonostante questo, «Napoli – New York» è un film che mantiene intatta una tenerezza di fondo mista ad un senso di speranza che pervade il racconto. Una risposta all'individualismo che caratterizza il nostro presente? «Il soggetto, cinquantotto pagine che costituiscono un piccolo romanzo molto dettagliato, era un pochino più neorealista, un po' troppo commovente. Nel film, fino all'arrivo negli Stati Uniti dei due bambini, sono stato molto fedele. Poi nella parte ambientata a New York ho dovuto cambiare qualcosa perché Fellini e Pinelli avevano troppa fiducia negli Stati Uniti e nella popolazione americana», racconta il regista. «Il passaggio tra Napoli e New York metaforicamente vuol dire il passaggio da una vita all'altra. Napoli è raccontata in maniera scura, chiusa nei vicoli come un utero. Non a caso nella nave il primo nascondiglio dei bambini è uno spazio piccolo con le pareti dipinte di rosso. Si infilano in un cunicolo e poi finalmente escono. Rinascono». Nel film il regista mostra i due piccoli migranti protagonisti prendere una nave per raggiungere un Paese che per loro rappresenta un sogno. Oggi, invece, la cronaca ci parla di altre navi che i migranti li cacciano via. «È uno degli aspetti che mi ha spinto a fare questo film, riuscire cioè a parlare di un tema molto grave e attuale, ma non in maniera ideologica. Solo ricordandoci che la vita è complicata e le cose cambiano. Oggi a me, domani a te», confessa Salvatores. «Una volta i migranti eravamo noi. Sono sicuro che le persone che hanno una certa età e magari hanno vissuto quell'esperienza hanno un atteggiamento verso i migranti diverso da chi quell'esperienza non l'ha fatta». «Purtroppo il Mediterraneo - che doveva essere una piazza in cui si incontrano vari popoli, cucine, culture e filosofie - è diventato un cimitero», chiosa il regista. «Uno dei più grandi dolori che ho in questo momento nella vita. Perché ti accorgi che il mondo si è fatto molto più piccolo. Non possiamo più pensare di essere solo noi al centro e di avere ragione, che la nostra visione del mondo sia l'unica vera. Chi pensa di avere ragione per forza, ha quasi sempre torto»

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