Come desiderava papa Francesco è rientrato a casa, in Santa Marta e parteciperà alla Settimana santa. Il fantasma del 2005, quando Giovanni Paolo II in fin di vita non poté presiedere i riti pasquali e diede una benedizione tragica e muta dalla finestra è dunque svanito. L’opinione pubblica ha accolto con sollievo questa notizia, ma non ha saputo nulla sulla malattia da cui Francesco è guarito: in assenza di un bollettino medico informazione e disinformazione hanno evocato un controllo di routine, una fibrillazione atriale, una polmonite di strada, un bronchite virale e alla fine della girandola il Papa che ha rifiutato di avere una corte, è stato protetto dal riserbo come un sovrano.
Da par suo, però, Francesco non s’è sottratto al dovere cristiano di consolare due genitori che nella notte avevano perso una figlioletta di cinque anni e visitare i bambini del reparto oncologico, dove anche Dio dubita della sua bontà e sta coi medici. A salutare il Pontefice all’uscita dal Gemelli la dirigenza dell’Ospedale di proprietà dell’Università cattolica, ma anche monsignor Giuliodori, che da Francesco ha avuto l’inedito privilegio di essere assistente ecclesiastico sia dell’Ateneo del S. Cuore sia della Azione cattolica. Ad accogliere il Papa in Vaticano l’affetto dei fedeli di Roma: ma anche un battesimo celebrato troppo in fretta a favore di telecamere, per non chiedersi perché voler dare così presto un senso di normalità e la conferma del difficile viaggio in Ungheria, luogo in cui per anni si attendeva l’incontro fra il vescovo di Roma e il patriarca di Mosca, svoltosi invece in una modesta saletta dell’aeroporto di Cuba.
Intanto sui giornali è apparsa la trecentosettanseiesima versione del breve romanzo ’complotto dei cardinali’ (il Papa stesso ci aveva scherzato su qualche anno fa). Articoli che dipingono un collegio sempre frammentato e oggi frammentatssimo pronto al suo dovere, per fortuna, e popolato da anime nere: dimenticando che Francesco ha scelto un’ottantina di questi porporati e che nella quarantina scelta dai predecessori ci sono anche quelli che l’hanno votato.
Se c’è dunque un ambito nel quale il lavoro dei retroscenisti è incerto e inutile è infatti quello del futuro conclave e anche le banalità lette in questi due giorni lo confermano. Innanzitutto perché il conclave decide con una maggioranza dei 23 che è inimmaginabile per chi vive dentro dinamiche democratiche: in proporzione, per fare un parallelo, Giorgia Meloni ha avuto 7 milioni di voti su 47 milioni di elettori, mentre Bergoglio ha avuto il 66% di un plenum che non può disertare l’urna della Sistina. E poi perché gli schemini (bergogliani-antibergogliani-indecisi oppure europei-non europei) non funzioneranno mai. Ogni cardinale serio infatti è bergogliano (come non ammirare la sua limpidità evangelica e come non dare al vicario di Cristo l’obbedienza che gli spetta?) Ed è insieme antibergogliano (come non vedere che la verticalità del suo governo non può essere un modello?) e indeciso (perché in conclave non si vota una bandiera, ma una persona che avrà pregi e limiti diversi dai predecessori e dai successori).
Così, mentre l’opinione pubblica pregava o curiosava in un futuro che è nelle mani di Dio e del Papa, la lenta macchina della istituzione s’è mossa e ha fatto sapere che sarebbe stato celebrante dei riti delle Palme e della Pasqua il vicedecano e il decano del collegio cardinalizio: cioè i vertici dell’organo che quando la sede di Roma diventa vacante provvedono alla Chiesa e al conclave, senza scossoni, senza fantasie, ma secondo regole disegnate e novellate per provvedere ad una transizione ordinata. Che, come dicevano i peggiori ambasciatori presso la santa Sede, "non è imminente, ma certa".
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